Nell’intervista a Milena Bertolini pubblicata un anno fa la nostra allenatrice, come ogni volta che parla in pubblico, non si faceva problemi a sfoggiare un'idea contemporanea di calcio. Già allora - prima che l'Italia riuscisse a qualificarsi per i Mondiali - batteva su concetti originali per tracciare l’evoluzione del gioco nell’ultimo decennio: «Non è un caso che il calcio di Guardiola sia stato raccontato anche come molto femminile; condivido il pensiero, quel Barcellona giocava sulla tecnica, sui fraseggi e sul gioco corto, era una squadra che arrivava al gol con tanta manovra; queste sono tutte caratteristiche che osserviamo nel calcio femminile».
Bertolini nel 2010/11 aveva ottenuto la licenza UEFA Pro pubblicando una tesi dall’oggetto ambizioso, “Una settimana nella cantera del F.C. Barcelona”, e dai contenuti altrettanto interessanti: «La mia passione per il Barcellona parte da dentro, da quel bisogno che ognuno di noi ha di sentirsi protagonista attivo, propositivo, artefice del proprio destino e non passivo, remissivo, nascosto e timoroso, in attesa di una sconfitta triste». È una tesi dall’indirizzo molto teorico, quasi filosofico, in cui Bertolini spende molte pagine a parlare di transizioni, di densità intorno al pallone e di riconquista alta: le chiavi che a quasi dieci anni di distanza ci hanno permesso di battere l’Australia.
I temi tattici della partita
L’Australia si è presentata ai nastri di partenza dei Mondiali da sesta potenza al mondo, almeno secondo il ranking FIFA, portandosi dietro una di quelle storie che rendono grandi i Mondiali: l’allenatore molto amato dalle leader dello spogliatoio, rimasto in carica per oltre quattro anni, che aveva contribuito a plasmare questa rosa e a indirizzare i suoi successi, viene esonerato senza troppe spiegazioni a marzo di quest’anno. Al suo posto viene ingaggiato un assistente federale alla prima esperienza con il calcio femminile, che insiste subito sul tema della difesa alta, che accompagna tra dubbi e incertezze le "Matildas" verso la Francia.
Alanna Kennedy, difensore arcigno dai piedi morbidi, secondo Carolina Morace prossima a trasferirsi nel campionato italiano, alla vigilia della partita aveva parlato di "cambiamento positivo", finalizzato allo spettacolo, e altrettanto sicura era apparsa il capitano Sam Kerr, uno dei più forti attaccanti al mondo: «Il nostro obiettivo è arrivare in finale».
Foto di Tullio M. Puglia / Getty Images.
Sono loro i due riferimenti principali nello scacchiere di Milicic assieme al numero 10 Van Egmond, che da playmaker del 4-1-4-1 si abbassa spesso tra i centrali per avviare la fase di costruzione. Forse proprio con l’idea di aggredire in parità il triangolo di costruzione australiano, Bertolini ha inizialmente schierato l’Italia con il rombo a centrocampo.
Il 4-3-1-2 dell’Italia confermava le promesse del commissario tecnico: saremmo scesi in campo per vincere. L’esempio più lampante è la scelta dei terzini ai lati di Gama e Linari, dove Bertolini ha adattato per l’occasione due ali pure come Bergamaschi e Guagni, che nell’ultima stagione ha segnato 10 gol in 20 partite e nella precedente era stata eletta miglior calciatrice del campionato: un vero vantaggio competitivo in quella posizione delicata.
A centrocampo veniva privilegiata la qualità di Giugliano e Cernoia, completata dal senso tattico e dalla presenza difensiva di Galli. Sulla trequarti, come spesso accade, a Bonansea veniva data massima libertà di svariare tra la fascia sinistra e la zona centrale dove all’occorrenza poteva abbassarsi anche il numero 10 Girelli, lasciando come unico riferimento offensivo Mauro, classico centravanti italiano di fatica e sostanza.
Questa fluidità innestata nello schieramento offensivo ha comportato degli squilibri che non siamo sempre stati bravissimi a tamponare. Non a caso, tutti i pericoli costruiti dall’Australia nel primo tempo sono nati sulla fascia destra, dalle incursioni palla al piede di Carpenter che sulla carta partiva in posizione di terzino, ma nella sostanza ha giocato quasi da esterno a tutta fascia.
In particolare sugli eleganti cambi di gioco di Kennedy, nettamente la prima in campo per numero di passaggi completati (69/80), l’Italia faticava a scivolare lateralmente se Bonansea si trovava in posizione centrale, perché Galli doveva coprire molti metri di campo alla sua sinistra. Le difficoltà di Galli nel trovarsi nella zona del pallone si riflettono anche nelle statistiche (1 contrasto tentato, 0 intercetti, 3 falli commessi), e rientrano all’interno di una più generale difficoltà a coprire lo spazio sulle fasce di una squadra come l’Italia, molto attenta alla compattezza orizzontale e verticale, e a condensare i canali centrali del campo.
Già nei primi 3 minuti, con il cross di Catley da 40 metri per servire un colpo di testa di Kerr di un nulla alto sopra la traversa, si era intuito che qualunque pallone piovuto nei pressi del capitano australiano avrebbe potuto creare problemi, ma alla fine la strategia ha pagato: l’Australia ha chiuso la partita con 8 cross completati su 33, l’Italia si è accontentata di tentare 16 cross completandone 4, tra cui quello decisivo per il sorpasso al 95’.
La fase offensiva dell’Italia, al contrario, era composta da blitz improvvisi per sottrarre il pallone alle australiane e altrettanto immediate verticalizzazioni. Il risultato è che le statistiche (tanto sotto la lente dei tiri tentati quanto sotto quella degli xG) non riescono a premiare l’enorme mole di occasioni costruite dalle italiane, perché quasi tutte avvenute dopo che il gioco si era interrotto per fuorigioco, o nella maggior parte dei casi dopo che il VAR aveva verificato che il fuorigioco effettivamente ci fosse, comprese le azioni dei due gol annullati a Bonansea e Sabatino, uno per tempo.
In particolare, il presupposto per il primo dei due gol annullati all’Italia nasce da un pallone vinto in contrasto da Linari in uscita dalla linea difensiva, un’arma forse un po’ rischiosa a cui l’Italia è ricorsa spesso. A quel punto Giugliano è accorsa sulla palla vagante e si è ritrovata completamente libera dalla pressione avversaria. L’Australia non ha tentato neanche un accenno, e la playmaker del Milan si è potuta permettere il lusso di inciampare per un attimo sul pallone, ritrovare l’equilibrio, alzare la testa e lanciare Bonansea alle spalle della difesa australiana.
Allo stesso modo ma sessanta metri più avanti, un recupero aggressivo di Bonansea, che ha punito un controllo impreciso della centrale australiana Polkinghorne, ha creato i presupposti per il gol del pareggio realizzato in solitaria dalla stessa Bonansea.
La vittoria di Bertolini
La partita contro l’Australia ha dimostrato una volta di più come Bertolini sia un tecnico capace di coniugare una solida base di competenze tattiche, che trasmette all’interno di un impianto di gioco strutturato e coerente, con la capacità più sottile di leggere l’andamento di una partita e di individuare in corsa quelle due o tre soluzioni in grado di far saltare gli equilibri.
Per l’Italia, che ha chiuso il primo tempo sotto di un gol dopo il rigore di Kerr parato da Giuliani e respinto ancora in porta dal capitano australiano, è stato fondamentale l’ingresso di Bartoli, un terzino di ruolo, al posto di Galli. Bartoli è andata a sistemarsi sulla fascia sinistra, dove l’Italia stava soffrendo maggiormente l’Australia, così che Guagni potesse spostarsi sulla fascia destra e giocare quindi con il suo piede naturale, mentre Bergamaschi andava a sistemarsi davanti a lei, accentrando la posizione di Cernoia.
Così l’Italia è passata da un finto 4-4-2, chiamato a deformarsi tra le fasi di possesso e non possesso, a un vero 4-4-2, in cui Bonansea recuperava il compito naturale di ala sinistra. Bartoli ha giocato una brillante partita difensiva (2/2 contrasti vinti, 1 anticipo, 3 disimpegni, 2 cross bloccati e 1 fallo subito), e l’Australia ha smesso di fare paura. Nel finale, con l’ingresso dell’esperta De Vanna, Kerr si è vista costretta a cercare spazi altrove, ritrovandosi spesso confinata sulla fascia destra, e Bartoli non è andata in sofferenza neanche al cospetto di un avversario più tecnico e potente.
Decisivi sono stati anche gli altri due cambi offensivi ordinati da Bertolini nel secondo tempo: Sabatino ha iniziato a mettere giù quei palloni che Mauro non riusciva a controllare, illudendoci di aver segnato il gol della vittoria a dieci minuti dalla fine, mentre Giacinti, altra attaccante di fatica al servizio della squadra, ha preso il posto di Bergamaschi e si è posizionata a destra, dove grande spirito di sacrificio ha macinato chilometri tra le due metà campo, fino a strappare al 95’ la punizione decisiva per il vantaggio dell’Italia.
Foto di Tullio M. Puglia / Getty Images.
Nel rispetto della tradizione, come in tutte le vittorie epiche del calcio italiano, una squadra con un tasso tecnico nella media (164/260 i passaggi completati, con il 63% di precisione) e le idee molto chiare ha battuto una squadra più forte che le idee non le aveva chiare affatto. Al netto di tutte le situazioni di fuorigioco (8 per la precisione, contro le 4 rimediate dalle australiane), i lanci di prima a testa bassa di Giugliano e Cernoia per gli inserimenti degli attaccanti sono stati una gioia per gli occhi e un tarlo nella testa della difesa australiana, ancora inadeguata ai meccanismi della difesa alta.
È stato facile riconoscersi in questa Nazionale, e cominciare ad appassionarsi alle sue giocatrici. Gama che indossa la fascia da capitano, il numero 5 ed è il punto di riferimento morale quando le cose si mettono male. Provvidenziale per l’inerzia della partita il suo salvataggio dopo la più bella azione palla a terra dell’Australia al 25’, cioè a 5 minuti dall’ingenua trattenuta che aveva provocato il rigore del vantaggio australiano.
Cernoia calcia benissimo le punizioni e indossa la 21 lasciandoci suggestioni che non vi sto neanche a dire. Guagni invece non è particolarmente tecnica ma incredibilmente più veloce e potente rispetto alla media, a suo agio a qualunque altezza di qualunque fascia, e c’è Giuliani che è invece tutta la nostra tradizione di portieri, glaciale e rassicurante al tempo stesso, anche lei molto più forte della media.
Come da tradizione abbiamo una batteria di centravanti forti ma non fortissimi, che faticano a fare reparto da soli, e poi c’è Girelli che è un'attaccante completissima ma un po’ in là con gli anni. In più c’è Giacinti, che da piccola per giocare staccava la testa alle bambole, e oggi non ha problemi a defilarsi sulla fascia destra e combattere corpo a corpo.
Bonansea è un’ala veloce e potente che corre con la testa bassa e il pallone attaccato al piede. Ieri ha segnato tre gol, di cui due convalidati, e sufficienti a ribaltare il risultato e i pronostici della vigilia. Bonansea era in campo anche quattro anni fa ad Abano Terme con la maglia del Brescia, assieme a Girelli, Rosucci, Cernoia, Sabatino, Linari e Tarenzi, durante una finale di Coppa Italia che il Brescia vinse 4-0 su un campo dissestato, tipico del calcio dilettantistico.
Il giorno prima, il Consiglio direttivo della LND aveva sfiduciato all’unanimità il presidente Felice Belloli a causa del virgolettato "Basta, non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche", saltato fuori dal verbale di una riunione del Dipartimento calcio femminile. Era una delle due condizioni fissate da Brescia e Tavagnacco perché quella finale potesse giocarsi: la seconda era il distacco dalla LND e la composizione di una Lega Calcio Femminile autonoma.
È incredibile a credersi, ma c’è stato un momento nella storia del nostro calcio in cui i dirigenti chiamati a tutelare gli interessi del movimento femminile erano gli stessi che lo riducevano a "quattro lesbiche", e quel momento era quattro anni fa, e le calciatrici che allora scioperavano sono le stesse che oggi ci hanno regalato questa vittoria da favola nella partita d’esordio dei Mondiali.