
La palla è mobile e capricciosa, qual piuma al vento, e così una squadra nobile e gloriosa come il Torino, solo per il fatto di essere stata grande nel momento sbagliato, può fregiarsi di una sola finale europea – e com'è noto, anche in quella circostanza la fortuna non perderà occasione di dimostrargli da che parte preferisca guardare. Capita nella stagione 1991/92, annata campale per la storia d'Italia e anche per quella dei ragazzi di Emiliano Mondonico: mentre la squadra galoppa con tono imperioso in coppa UEFA, la società rimane invischiata nelle spire di Mani Pulite rischiando seriamente un crack che verrà alla luce solo parecchi mesi dopo. Comunque la pensiate, un'annata memorabile. Un'annata da Toro.
Primo turno, Torino-KR Reykjavik (19 settembre – 2 ottobre 1991)
Il Torino torna in Europa dopo cinque anni ed è il fiore all'occhiello di un presidente rampante e ambizioso, l'ingegner Gian Mauro Borsano, che sogna la scalata alle alte sfere sul modello di Silvio Berlusconi. Nel 1989-90, sotto la guida di Eugenio Fascetti, è tornato trionfalmente in serie A; l'anno dopo si è classificato quinto, uno dei migliori risultati di sempre per una neopromossa (il record, probabilmente imbattibile, appartiene al Vicenza di Paolo Rossi secondo nel 1977-78), strappando alla Juventus tre punti su quattro e diventando l'unica squadra proveniente da fuori Genova a vincere in casa della Sampdoria campione d'Italia. 2006-2007 a parte, sarà l'ultimo campionato della storia granata concluso davanti alla Juventus, clamorosamente fuori dalle coppe dopo 39 anni.
La coppa UEFA 1991/92 è un profluvio di nobiltà, allignando ben sette squadre precedentemente vincitrici della Coppa dei Campioni: Ajax, Inter, Bayern Monaco, Amburgo, Celtic Glasgow, Liverpool, Real Madrid. Il miglior risultato europeo della storia del Toro, invece, è una dimenticata semifinale di Coppa delle Coppe nel 1965, persa contro il Monaco 1860.
Poco male: il cammino inizia a Reykjavik, capitale islandese dove sono comprensibilmente a digiuno di Ezio Loik e Valentino Mazzola: i sostenitori del KR stampano decine di volantini con su stampato un giocatore locale intento a infilzare un torello stilizzato. Data la pochezza dell'avversario, la partita non ha storia: il Torino passeggia con un totale di 8-1 (0-2 in Islanda, 6-1 a Torino) in cui trovano gloria il pupillo di Sacchi Roberto Mussi, il difensore Enrico Annoni detto “Tarzan” per la sua leggiadria, l'altrettanto etereo Roberto Policano detto “Rambo” e anche due autentici quasi-campioni come l'interno spagnolo Martin Vazquez e il fantasista belga Vincenzo Scifo, colpo dell'estate granata, tornato in Italia dopo una breve e impalpabile esperienza all'Inter, quando era ancora troppo giovane (quando andrà via nel 1993, Mondonico lo ripudierà: «Non è mai stato decisivo. Rende quando la squadra gioca bene, gioca malissimo quando accade il contrario. Tipico di chi ha scarsa personalità»).
Torino-Reykjavik 6-1.
Secondo turno, Torino-Boavista (24 ottobre – 6 novembre 1991)
Il primo turno ha fatto comunque vittime illustri: per esempio il Parma, bruciato all'esordio europeo dal CSKA Sofia, o un'Inter sull'orlo di una crisi di nervi, dopo che il presidente Ernesto Pellegrini ha provato a scimmiottare il Milan di Sacchi pescando dalla Lucchese l'avventuriero Corrado Orrico: i nerazzurri si sono fatti buggerare dal sornione Boavista, che è proprio l'avversaria del Toro al secondo turno.
Ma al Delle Alpi i portoghesi a scacchi confermano tutti i luoghi comuni sul loro calcio e cedono 2-0 senza colpo ferire, subendo due gol assai brutti da Lentini e Annoni su altrettanti calci piazzati, in una partita in cui il brivido maggiore è il tremendo scontro tra Annoni e il centravanti Brandao, che crolla a terra esanime. Gli salvano le penne il medico Bianciardi e il massaggiatore Marini, mentre i giocatori del Boavista attorno a lui sono sull'orlo delle lacrime, incapaci di intervenire. L'episodio è il pretesto per una notte da tregenda due settimane dopo, con Luca Marchegiani eroe borghese nella miglior tradizione delle trasferte italiche all'estero. I tifosi ospiti ingaggiano un duello leggermente imprudente con la polizia portoghese, e Borsano deve intervenire in prima persona con un appello dagli altoparlanti per placare gli animi.
Il giovane portiere granata è bersagliato senza sosta dai Black Panthers, la frangia più oltranzista del tifo locale, che lo accusano di essere “un assassino” (citazione testuale di uno striscione in curva) e gli tirano monetine, accendini, persino una radiolina. Nonostante l'ingenua espulsione di Lentini a fine primo tempo, i ragazzi di Mondonico non perdono mai la testa e conducono in porto lo 0-0 che vale gli ottavi di finale, in un clima da corrida più scenografico che reale. Non sarà il Boavista quello che scorna il vecchio Toro.
Boavista-Torino 0-0.
Terzo turno, AEK Atene-Torino (27 novembre – 11 dicembre)
Il gioco si fa duro: dall'urna esce il temibile AEK Atene, primo nel campionato greco e capace di eliminare il quotato Spartak Mosca (per informazioni chiedere a Maradona e compagni, un anno prima). Il derby del 17 novembre rivela una perniciosa tendenza, da parte di alcuni giocatori granata, a esasperare il concetto di Cuore Toro: Pasquale Bruno e Roberto Policano vengono espulsi con disonore, il primo dopo una scenata invereconda ai danni dell'arbitro, il secondo per un proditorio calcio in faccia a Casiraghi, e rimedieranno cinque giornate di squalifica a testa.
Niente di meglio che calarsi con tali colonnelli nell'inferno di Nea Filadelfia, quartieraccio ateniese dal nome torinisticamente suggestivo, che in campo è guidato dal centromediano jugoslavo Sabanadzovic, campione d'Europa in carica con la Stella Rossa. Quello di Atene è un ottimo Toro che anche senza lo squalificato Lentini strappa un bel 2-2 ritrovando la verve offensiva di Bresciani e Walter Casagrande, un gol a testa. Al Delle Alpi basta un 1-0, firmato ancora Casagrande, per darsi appuntamento al 1992.
È un Torino non brillantissimo, che segna poco anche in campionato, ma ha trovato una solidità insperata in una difesa a tre in cui, davanti all'eccellente libero Cravero, Annoni e Bruno non fanno passare neanche le mosche.
AEK Atene-Torino 2-2. Giorgio Bresciani ringrazia pubblicamente Mondonico, e “non per ruffianismo”.
Intermezzo giocoso
Nel Torino 1991/92 c'è un lato oscuro che non possiamo esimerci di trattare. C'entra naturalmente il direttore generale Luciano Moggi, vero e proprio Richelieu del presidente Borsano e secondo molti in predicato di prenderne il posto una volta che, a primavera 1992, Borsano verrà eletto deputato con il PSI, traguardo a cui si sta dedicando anima e corpo dopo essere entrato nelle grazie di Bettino Craxi, noto tifoso granata.
Appena arrivato da Napoli, dove aveva gestito con piglio inconfondibile i capricci di Maradona, Moggi si barcamena tra le bizze di Scifo e le ruvidità di Mondonico, che con un dirigente del genere proprio non riesce a legare (e solo qualche anno dopo, a divorzio consumato, voleranno gli stracci). La vicenda più spinosa riguarda almeno due partite con cui abbiamo appena avuto a che fare, Torino-Boavista e Torino-AEK Atene.
Dal verbale dell'interrogatorio alla Procura di Torino, effettuato nel 1993, del ragionier Giovanni Matta, contabile del Torino fino al gennaio 1992: «Ammetto il fatto di pagamenti a favore di terne arbitrali. Trattasi di pagamenti che compiacenti signore vennero a chiedermi in sede. L’importo fu sempre lo stesso e le signore compiacenti erano sempre le stesse. Era stato Moggi a combinare questi incontri. Una volta avevo mandato via la signora, ma Moggi mi disse che aveva ragione a voler essere pagata, e per Torino-AEK Atene mi disse che l’arbitro e i due guardalinee erano costati 2 milioni e 100 mila lire ciascuna (6,3 milioni in totale). So e ribadisco che vennero impiegati quasi 10 milioni per intrattenere piacevolmente arbitri e guardalinee. Ripeto che tali incontri erano organizzati da Moggi. Gli arbitri venivano accompagnati nei negozi per acquistare oggetti di valore di circa 700-800 mila lire a testa per ogni arbitro. Ma qualche volta si superò detta soglia. Il più delle volte io diedi il denaro a Moggi o al segretario Pavarese a saldo di tutte le spese, in via forfettaria e senza una distinta analitica».
Queste dichiarazioni, sostanzialmente confermate tempo dopo anche da Borsano (nel frattempo caduto in disgrazia) oltre che dalle varie signorine, non si trasformeranno in una condanna penale essenzialmente per due motivi. Per il “favoreggiamento alla prostituzione”, primo capo d'accusa per Moggi, manca la prova dell'“abitualità della condanna criminosa” (essendo i casi accertati solo due, come abbiamo visto). Per l'accusa di illecito sportivo Moggi viene graziato perché, incredibilmente, la legge italiana che regola l'illecito sportivo si applica solo per le competizioni nazionali, e non per quelle UEFA.
Anche l'UEFA ovviamente apre un'inchiesta ma, di fronte alle smentite dei diretti interessati, arbitri compresi, la commissione Controllo e Disciplina di Zurigo non potrà far altro che archiviare tutto, in modo anche abbastanza sbrigativo. Quanto sopra è contenuto in un libro che fece furore nei tardi anni Novanta, dal titolo “Lucky Luciano”, scritto da due anonimi giornalisti sotto pseudonimo di Mezzala Destra e Ala Sinistra – tempo dopo, si scoprì che almeno uno degli autori era Marco Travaglio. Ma ora, torniamo alla Coppa UEFA 1991/92.
Quarti di finale, B1903 Copenhagen-Torino (4-19 marzo 1992)
Un altro sorteggio amico aiuta il Torino a schivare gli ostacoli Liverpool, Ajax, Real Madrid, finanche Genoa. Capitano i misteriosi danesi del B1903 Copenhagen, che pure al secondo turno hanno inflitto un'umiliazione epocale al Bayern Monaco, battuto 6-2 in Danimarca. Ma, com'è noto, la pausa invernale fa il gioco di chi sta continuando a giocare, e il Torino archivia la pratica con facilità quasi irrisoria già all'andata in trasferta, dove il solito Casagrande e una bomba di Policano su punizione orientano il doppio confronto, e anche un rigore sbagliato da Scifo passa indolore.
È un turno storico per il nostro calcio, con la prima vittoria italiana della storia in casa del Liverpool, opera dello strepitoso Genoa di Osvaldo Bagnoli, vero alter-ego in salsa milanese di Mondonico. Il ritorno è la solita formalità, vinta 1-0 per un autogol di Nielsen, con l'incontentabile pubblico granata che si concede persino qualche fischio per una prestazione un po' troppo in souplesse. Ma adesso non si scherza più: sono rimaste in tre, una è il Genoa, le altre due sono Ajax e Real Madrid. In bocca al Toro.
Semifinali, Real Madrid-Torino (1-15 aprile)
“Da Madrid a Licata, fieri di essere granata” è lo striscione che più di altri rappresenta l'orgoglio torinista. La notte del Bernabeu è il momento più alto degli ultimi cinquant'anni di storia del Toro: non tanto per il risultato, pur sempre una sconfitta, quanto per il fatto di esserci e lottare alla pari per 90 minuti, risultando credibili, all'altezza di uno stadio del genere, con le divise interamente granata da capo a piedi. Per l'ennesima volta di questa stagione, le partite in trasferta del Torino sono corride che si incendiano da un momento all'altro.
È una serata particolare per Martin Vazquez, che fino al 1990 era uno dei componenti della Quinta del Buitre, il gruppo di cinque canterani che erano stati i pilastri del grande Real dominatore di Spagna (ma mai campione d'Europa) a fine anni Ottanta: il leader era Butragueno, gli altri tre erano Sanchis, Michel e Pardeza. Ma quando Vazquez torna da avversario, il Bernabeu lo ricopre di insulti, dal classico “pesetero” al facilmente traducibile “maricon”. Il Real non ha timore di sporcarsi le casacche bianche con entrate proditorie, il pubblico ulula a ogni contrasto. La polizia madrilena riserva ai tifosi granata in piccionaia un trattamento non dissimile da quello dei loro colleghi portoghesi in autunno.
La partita prende fuoco in otto minuti indimenticabili in cui innanzitutto succede l'inaudito: una paperona di Buyo spiana la via del gol al solito Casagrande e, se avete uno zio o un fratello maggiore irrimediabilmente granata, fateveli raccontare, i tre minuti in cui il tabellone dice REAL MADRID 0 – TORINO 1. Poi un fuorigioco difettoso spiana la via dell'1-1 al rumeno Hagi, non ancora fuoriclasse del Brescia, e cinque minuti dopo uno schema ben congegnato su punizione si conclude con la capocciata vincente di Fernando Hierro, in quel periodo della vita in cui scendeva in campo con la maglia numero 9.
A riprova che la storia del Torino, quando non è dolorosamente tragica, ha quasi sempre una venatura surreale, la telecronaca su Italia1 è a cura di Sandro Piccinini e Roberto Bettega, che non solo si esprime in un italiano quantomeno incerto - la presa difettosa di Buyo sul gol dello 0-1 è definita “peccaminosa” - ma non è esattamente un pasdaran granata.
Il Toro ne esce male, anche se non malissimo, a causa di una volgare pedata ad altezza rotula di Hagi che mette fuori causa Cravero, e del solito cartellino rosso per Policano. Superato lo scoglio del Bernabeu tutto sommato senza spargimenti di sangue, il popolo granata si dà appuntamento il 15 aprile e per una notte lo stadio Delle Alpi sembra dimenticarsi della sua natura di sgorbio senz'anima, cancella quelle enormi distanze tra campo e spalti, amplificate dalla pista d'atletica, e diventa semplicemente Filadelfia.
È una notte magica che si mette subito benissimo, con l'autogol di Rocha, in tilt per paura di Casagrande su un cross da destra di un Lentini finalmente ai massimi livelli, dopo sette minuti. È la partita in cui tutta Italia si accorge del lavoro straordinario realizzato da Mondonico in due anni: una squadra di uomini veri prima ancora che di giocatori, perché nel mondo reale Pasquale Bruno ed Emilio Butragueno sarebbero incomparabili, eppure “o Animale” cancella dal campo il temuto Buitre; mentre un gregario come Luca Fusi vive la sua serata da leggenda, interpretata da libero, marcatore e perfino goleador, come testimonia la zampata del 2-0 a un quarto d'ora dalla fine, quando la paura di farcela stava quasi per bloccare la circolazione (emblematici un paio di rinvii di Marchegiani direttamente in fallo laterale).
L'ultima avversaria sarà l'Ajax, che ha eliminato il Genoa con merito e si è lasciato alle spalle gli anni Ottanta e l'era Van Basten sotto la guida di un tecnico giovane e arrogante, Louis van Gaal, così tanto diverso da Mondonico. Sarà una grande sfida.
Torino-Real Madrid 2-0.
Finale, Torino-Ajax (29 aprile-13 maggio 1992)
Il nuovo faro tecnico dei lancieri è l'efebico Dennis Bergkamp, 23 anni da compiere tra l'andata e il ritorno, già pedina importante della Nazionale che in estate, al nostro contrario, sarà tra le favorite agli Europei di Svezia. Ma l'Ajax è anche tanto altro, ha nomi più pesanti rispetto a un Toro che ha anche (per i tempi) il piccolo svantaggio di giocare l'andata in casa, tra l'altro senza lo squalificato Fusi.
La prima partita vive su un equilibrio barcollante a causa di attacchi enormemente superiori alle difese: uno dei rarissimi errori stagionali di Marchegiani, addormentato su una legnata di Jonk dai 25 metri, porta gli olandesi in vantaggio. L'assedio generoso del Toro non dà frutti fino al 62', quando finalmente il solito Casagrande punisce una respinta difettosa di Menzo su tiro di Scifo. Gli sbandamenti difensivi del Torino portano a un rigore causato da una frittata Annoni-Benedetti, francamente inadeguati su Bergkamp: Pettersson segna l'1-2, ma l'ennesima prodezza di Casagrande (sesto gol in Europa, a fronte di altrettanti gol in tutto il campionato), ubriacante su Blind, fissa il risultato sul 2-2 che lascia speranza per il ritorno. Con un Fusi e un Policano in più, ma senza i gladiatori Annoni e Bruno, a loro volta squalificati.
Torino-Ajax 2-2.
L'Amsterdam ArenA è ancora di là da venire: si gioca nel fatiscente Olimpico di Amsterdam, costruito per i Giochi del 1928 e probabilmente mai più ristrutturato, con tristi sedioline di legno o di plastica al posto delle panchine, e incongrui cartelloni pubblicitari a bordo campo (su uno di questi c'è sponsorizzato Basic Instinct, il film con Sharon Stone di prossima uscita). Nel suo undici titolare sono ben cinque (Roy, Jonk, Winter, Kreek, Van't Schip) i giocatori che nel giro di tre anni rivedremo in serie A.
Mondonico schiera una specie di 3-4-2-1 con Marchegiani in porta, Cravero libero, Benedetti e Fusi marcatori, Policano e Mussi a tutta fascia, Venturin e Martin Vazquez interni, Scifo e Lentini a supporto di Casagrande. Ma qui dobbiamo cambiare discorso, perché la storia ha tramandato il mito di Ajax-Torino non come partita tattica, ma come una specie di tonnara da cuori in tumulto stile Azteca 1970. Rivedendo le immagini dopo 26 anni dobbiamo dissentire, perché il Torino giocò certamente meglio e avrebbe meritato la coppa, se non altro per i proverbiali tre legni (Casagrande di testa, Mussi da fuori area con deviazione, Sordo in mezza rovesciata al 90') che si sono tramandati per generazioni di torinisti; ma la partita fu comunque ordinata, combattuta con stile, con un Ajax cinico nel gestire lo 0-0 portando l'arte del proprio palleggio alle estreme conseguenze, senza preoccuparsi della forma, anche senza la stella Bergkamp in attacco (sostituito dal modesto Alflen).
Ajax-Torino 0-0.
E la sedia? Beh, bisogna avere il coraggio di scrivere l'indicibile: Mondonico alzò la sedia intorno al 25' del primo tempo per protestare contro l'arbitro jugoslavo Petrovic per un rigore inesistente. Cravero era stato bravissimo nei tempi di sganciamento e ad arrivare fino in area, ma l'uno contro uno con De Boer lo vide accentuare notevolmente un contatto che al replay non sembrò neanche esserci. Immagine fortissima, ripresa anche con l'angolazione giusta, la sedia è diventata un simbolo che è andato ben oltre la ragione e il torto.
A differenza del grande manipolatore Mourinho che contro la Sampdoria farà il gesto populista delle manette soltanto per aizzare gli animi, fingendo dissenso verso l'arbitraggio di Tagliavento, che in realtà – per quanto impopolare – era stato fin lì impeccabile, il buon vecchio Mondo, in quel momento di stress inimmaginabile, usò un presunto errore arbitrale come valvola di sfogo per la frustrazione di essere l'allenatore di una grande squadra, dalla grande storia e dai grandi giocatori, destinata a essere fermata a un centimetro dalla gloria.
A fine partita, mentre il giovane Marchegiani guardava Blind alzare la coppa UEFA e cercava di ostentare un ottimismo lodevole ma decisamente fuori posto, fu ancora più chiaro capitan Cravero, nell'intervista a caldissimo rilasciata a Franco Costa: «Esiste solo una società al mondo che perde delle finali così. Questo qui è il Torino, siamo maledetti».
Più che un gesto di ribellione verso l'arbitro, Mondonico aveva brandito quella sedia nell'aria perché in quel preciso frangente il presagio di sventura, sentimento così ricorrente nella storia granata, era diventato certezza. Il Mondo aveva ormai capito tutto, ed era impazzito, e voleva spaccare quella sedia in testa al destino, a un imprecisato dio.
Non è il gesto più torinista che si possa immaginare?