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Le multiproprietà sono diventate la normalità in Europa
17 lug 2024
17 lug 2024
E l’ultima decisione della UEFA su Girona e Manchester City lo conferma.
(foto)
IMAGO / Pressinphoto
(foto) IMAGO / Pressinphoto
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Prendete una città che ha meno abitanti di Bolzano, mettetela in una regione dove c'è un solo club di calcio egemone, e portatela in Champions League. In un mondo virtuale, diciamo su Football Manager, basterebbero dedizione e intuizioni da gamer per farcela. Nella vita reale, invece, sono servite tre cose: 81 punti nella Liga spagnola, il capocannoniere del campionato e due striminzite righe di comunicato. "L'Assemblea straordinaria degli azionisti del Girona FC tenutasi oggi ha approvato la nomina di Matthew Shayle, Edward Hall e Paul Hunston come nuovi membri del Consiglio di amministrazione". È il primo luglio e il Girona, con questo nuovo assetto del consiglio d'amministrazione, ha di fatto messo piede in Champions.



L'ufficialità è arrivata una settimana fa, dopo che l'Organo di Controllo Finanziario dei Club (CFCB) ha dato il suo via libera definitivo ai catalani, ammettendoli alla prossima edizione della Champions League. L'azionista di maggioranza del Girona è infatti il City Football Group, gruppo industriale che controlla tra gli altri anche il Manchester City, che ovviamente anch'esso nella stagione 2024/25 sarà in Champions League. E questo è impedito dall'articolo 5 del Regolamento UEFA sulle competizioni per club, che teoricamente vieta a due o più club con uno stesso azionista di giocare la stessa competizione europea. Com'è stato possibile, quindi?






Multiproprietà nel calcio europeo: i primi casi


Quel che è certo che non è la prima volta che succede. Il tema è ricorrente da decenni e la UEFA ha ormai regolamentato la presenza nello stesso torneo di due squadre che condividono un azionista, se non l'intera proprietà. La questione è stata sollevata da ben prima che la Red Bull portasse Lipsia e Salisburgo ai vertici del calcio continentale.



È dal 1998 che se ne parla e l'Italia è al centro del caso: il Vicenza dei miracoli, quello di Guidolin vincitore della Coppa Italia e che per una settimana aveva sognato persino lo Scudetto, è in Coppa delle Coppe dopo aver scampato il crac. A salvare il club nell'estate del 1997 interviene la Stellican, società inglese controllata dal gruppo Enic, che rileva la società all’asta per oltre 22 miliardi di lire. Un'operazione che fa diventare "il Lane" la prima squadra di calcio italiana con una proprietà straniera, ma che soprattutto apre per la prima volta al panorama delle multiproprietà a livello globale (a livello nazionale, proprio in quegli anni, c'è Gaucci che sbarca a Viterbo...).



Quando il Menti s'illumina per le notti europee contro Legia, Shakhtar, Roda JC e Chelsea, il Vicenza è solo un pianeta della galassia Enic, che comprende tra le altre AEK Atene, Slavia Praga, Basilea e Glasgow Rangers. Due di queste, AEK e Slavia, partecipano alla stessa edizione della Coppa delle Coppe in cui la squadra di Guidolin si spinge fino alle semifinali. Tre società controllate dallo stesso soggetto, nella stessa competizione, senza però mai incontrarsi. Un potenziale imbarazzo evitato dalla sorte, ma che inizia a far sorgere questioni. È possibile ammettere due club con lo stesso proprietario allo stesso torneo?



La risposta del Comitato Esecutivo UEFA arriva il 19 maggio 1998: no. Sei giorni dopo, la UEFA comunica all'AEK Atene (terzo in campionato) l'esclusione dalla Coppa UEFA 1998/99, in quanto già presente lo Slavia Praga (secondo in campionato). I greci ricorrono al TAS di Losanna e il 16 luglio, la corte svizzera ribalta il verdetto: possono partecipare entrambe alla stessa competizione, ma solo perché la decisione della UEFA è arrivata quando le Cup Regulations per la stagione 1998/99 erano state già adottate, dunque quando Enic e i suoi club potevano legittimamente aspettarsi che non sarebbero insorte restrizioni.



Enic vince la battaglia, ma sa bene di non aver vinto la guerra. La richiesta è infatti quella dell'annullamento della risoluzione del Comitato Esecutivo UEFA, ma questa viene respinta dal TAS di Losanna, che accoglie parzialmente solo una richiesta: quella di prolungare la coesistenza delle multiproprietà fino al termine della stagione calcistica 1999/2000. Conseguentemente, la UEFA può adottare la sua risoluzione dalla stagione 2000/01. Finisce qui? No, perché Enic si rivolge alla Commissione Europea per vedere riconosciuto il diritto di far partecipare alle competizioni continentali tutti i club di cui è azionista, che nel frattempo sono diventati sei con l'acquisizione delle quote del Tottenham nel 2001. Il 27 giugno 2002 il caso, di fatto, è chiuso: «Lo scopo principale della norma UEFA è proteggere l'integrità della competizione, in altre parole, evitare situazioni in cui il proprietario di due o più club partecipanti alla competizione possa essere tentato di manipolare partite», dirà il commissario per la concorrenza Mario Monti - sì, quel Mario Monti - aggiungendo che «sebbene la norma possa teoricamente rientrare nell'articolo 81 del trattato UE, è intesa a garantire che le competizioni sportive siano giuste e oneste, il che è nell'interesse del pubblico e dei tifosi in particolare».



Inizia così lo smantellamento dell'impero Enic, che già nel 2001 aveva ceduto le proprie quote dell’AEK Atene: nel 2004 la società inglese esce anche dall’azionariato dei Rangers e, complice anche un progressivo declino nei risultati sportivi, vende il Vicenza a Sergio Cassingena e Nicola Baggio. Negli anni successivi toccherà anche a Slavia Praga (non senza polemiche con i futuri acquirenti) e Basilea, mentre verrà contestualmente allargata la quota di partecipazione nel Tottenham, che diventa l’unica società controllata da Enic. Questo proprio mentre l’Europa inizia ad aprirsi alle multiproprietà, pur trovando ancora la resistenza da parte della UEFA.



Quando nel 2004 il Chelsea di Roman Abramovich viene inserito nel girone di Champions League col CSKA Mosca, suona di nuovo l’allarme, dato che la Sibneft del magnate russo ha siglato un accordo di sponsorizzazione proprio col club moscovita. Il direttore generale dell'UEFA Lars-Christer Olsson annuncia l'apertura di un'indagine, ma il caso si chiude meno di un mese dopo e viene accertato che Abramovich non detiene azioni del CSKA, dunque non può esercitare alcun controllo sul club.



Cosa intende la UEFA per “influenza decisiva”


Certo, Abramovich non era proprietario di Chelsea e CSKA, ma non era nuovo al concetto di multiproprietà, avendo dato il via a quella che ufficialmente era una partnership tra il club londinese e il Vitesse, società olandese militante in Eredivisie. Nel marzo 2023, alcuni documenti raccolti da The Bureau of Investigative Journalism (TBIJ) e dal Guardian, riveleranno come l'oligarca russo abbia finanziato con almeno 117 milioni di euro il Vitesse tramite una rete di società offshore. Questi però sono legami nascosti, per di più tra due club che non disputano le stesse competizioni continentali, dato che il Vitesse non è mai arrivato in Champions League e l’unica volta che ha superato i preliminari di Europa League è stato nella stagione 2017/18.






Il vero elefante nella stanza si materializza nel 2016. A sette anni dalla sua fondazione, il RasenBallsport Leipzig approda in Bundesliga e lo fa in grande stile: è la miglior neopromossa del calcio tedesco dai tempi del Kaiserslautern di Otto Rehhagel, campione di Germania nel 1998. Il Lipsia si fermerà al secondo posto, alle spalle del solito Bayern Monaco, staccando così il biglietto per l’accesso alla Champions League 2017/18. Nella stessa edizione, parte dai preliminari il Red Bull Salzburg, che col Lipsia condivide colori, sponsor e proprietari. RasenBallsport è infatti l’escamotage per adottare l’acronimo RB col club di Lipsia, non potendo da regolamento chiamarsi “Red Bull” nella Bundesliga tedesca. Va da sé che c’è poco da nascondere: i due club sono sotto il controllo dello stesso soggetto e potrebbero ritrovarsi a giocare la stessa competizione.



Il 26 maggio 2017, con la Bundesliga ormai terminata, Lipsia e Salisburgo sono deferite alla Camera giudicante del CFCB della UEFA. Secondo il collegio presieduto dal portoghese José Narciso da Cunha Rodrigues, però, Red Bull "non ha un'influenza decisiva sul processo decisionale dell’FCS", ovvero del Salisburgo che già il 3 marzo 2015 aveva annunciato l'uscita dal consiglio d'amministrazione di Volker Vichtbauer e Walter Bachinger, uomini di area Red Bull. Al loro posto, sono stati nominati Franz Rauch e Herbert Resch, esterni alla proprietà.



Basta questo per scindere il legame tra due club con la stessa proprietà? Per la UEFA sì, perché, così facendo, Red Bull non ha più una "influenza decisiva" su una delle due società e questo è un punto fondamentale, stando all’articolo 5 dei Regolamenti della Champions League, secondo cui "nessuna persona fisica o giuridica può avere controllo o influenza su più di un club che partecipa a una competizione per club UEFA".



Come si determina questa posizione di controllo o influenza? La Camera giudicante prevede quattro punti:



detenere la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti

avere il diritto di nominare o rimuovere la maggioranza dei membri dell'organo amministrativo, direttivo o di vigilanza del club

essere un azionista e controllare da solo la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti in virtù di un accordo stipulato con altri azionisti del club

poter esercitare con qualsiasi mezzo un'influenza decisiva nelle decisioni del club.


Nel caso del Salisburgo, viene notato come Red Bull avesse "la capacità di controllare l'accesso ai membri ordinari dell'Assemblea Generale" della controllante, ma per rientrare nei parametri previsti dalla UEFA sono stati rimossi alcuni componenti dell'assemblea e il presidente del board si è dimesso. Inoltre, riguardo alla "preoccupazione per la mancanza di un quorum per le risoluzioni dell'Assemblea Generale", è stata approvata una modifica allo statuto. Per questo, il rapporto tra Red Bull e il Salisburgo "assomiglia solo a un rapporto di sponsorizzazione standard". Sul fronte sportivo poi il DS Ralf Rangnick non lavora per entrambe le squadre, ma solo per il Lipsia.



Sulla base di tutto questo e con l’impegno da parte del Salisburgo di risolvere due situazioni giudicate ancora al limite dei regolamenti (cioè lo stadio e l'identità visiva del club), la Camera giudicante del CFCB della UEFA decide di ammettere sia Salisburgo che Lipsia alla Champions League 2017/18, decisione poi ufficializzata dalla UEFA il 20 giugno. Nella stagione successiva finiranno nello stesso girone di Europa League e ad oggi resta l’unico confronto in campo europeo tra le due squadre, benché si siano qualificate entrambe alle cinque successive edizioni della Champions, fino appunto all’ultima stagione. Nella prossima, la prima edizione col nuovo formato, ci saranno entrambe: il Salisburgo dalle qualificazioni, il Lipsia dalla fase finale.



Red Bull, City e il boom delle multiproprietà


Il semaforo verde per Lipsia e Salisburgo apre la strada ad una nuova era di multiproprietà nel calcio europeo. Stando a quanto pubblicato nel report UEFA "The European Club Financeand Investment Landscape”, sono 225 i club coinvolti in strutture multi-societarie in 15 Paesi in tutto il mondo. Di questi, 182 appartengono a campionati europei e 81 a leghe di massima divisione, dunque potenzialmente in grado di qualificarsi ai tornei continentali. Ma questo solo per quanto riguarda Inghilterra, Italia, Spagna, Francia, Portogallo, Belgio, Germania, Svizzera, Austria, Danimarca e Paesi Bassi. Se si allarga l’analisi su tutte le federazioni affiliate alla UEFA, invece, sono 105 i club di massima divisione ad "avere un rapporto di investimento incrociato con uno o più altri club". Un numero che non sembra destinato a diminuire: basti pensare al Gruppo Friedkin, già al comando di Roma e Cannes, che punta all'acquisizione dell'Everton in Premier League, giusto per legarci alle notizie di più stretta attualità.



Un anno fa, il CFCB si è espresso in merito ad un procedimento su tre casi di controllo multiplo per club partecipanti alle competizioni europee: Aston Villa e Vitoria (V Sports), Brighton e Union Saint-Gilloise (Tony Bloom), Milan e Tolosa (RedBird). I club aventi in comune uno stesso soggetto come azionista hanno intrapreso misure per rientrare nei parametri, accettando condizioni quali il divieto di trasferimenti reciproci di giocatori (sia a titolo definitivo che in prestito), di stipulare accordi di cooperazione, tecnici o commerciali comuni e di utilizzare sistemi di scouting condivisi o database comuni di giocatori. A breve vedremo con ogni probabilità un comunicato simile anche per il Girona e il Manchester City, ovvero il primo caso di questo genere riguardante il City Football Group (CFG), il conglomerato esclusivamente calcistico di maggior valore nel 2024 (6.85 miliardi di dollari) secondo Forbes. Proprio qui su Ultimo Uomo avevamo spiegato come funzionavano i due principali sistemi di multiproprietà oggi in Europa, cioè quello Red Bull oltre a quello legato al City Football Group.



Dal 2017, la holding dello sceicco Mansur controlla il Girona, del quale detiene dal 2020 il 47% delle quote. Nel 2024, dopo un’agevole salvezza nella precedente stagione da neopromossa, il Girona ha stupito la Liga conquistando il terzo posto in campionato, trascinato dal capocannoniere Artem Dovbyk. Un rendimento che è valso la qualificazione alla Champions League, ma con dei nodi da sciogliere sul fronte multiproprietà. È la prima volta che il CFG si ritrova in una situazione del genere, dato che nessuno degli altri club europei sotto il suo ombrello è mai arrivato anche solo a lottare per un piazzamento UEFA: non il Troyes, protagonista di una doppia retrocessione dalla Ligue 1 alla National 1; non il Lommel, che ha perso lo spareggio interdivisionale col Kortrijk e si appresta a disputare la seconda divisione belga per il settimo anno di fila; non il Palermo, che in due stagioni da club di area City ha raccolto un nono e un sesto posto in Serie B, perdendo quest’anno la semifinale play-off.



Situazioni totalmente diverse rispetto al Girona, che ha dovuto attendere prima di risalire nella Liga, riuscendoci solo al terzo anno e tramite play-off. Una volta tornati in massima serie, però, i biancorossi non hanno sofferto il salto di categoria, fino all’impresa celebrata in casa, il 4 maggio scorso, nella vittoria per 4-2 in casa sul Barcellona. Pochi giorni dopo, la UEFA ha concesso al Girona l’autorizzazione a disputare le partite di Champions League allo stadio Montilivi. Alla fine del mese, il club ha annunciato un accordo con un nuovo sponsor: Etihad, lo stesso del Manchester City, tra l’altro al centro delle indagini sulle 115 presunte violazioni contestate al club campione d’Inghilterra. La sponsorizzazione, come abbiamo visto, non è però determinante. Non lo è stato per Chelsea e CSKA, come per Lipsia e Salisburgo. Non sarà determinante nemmeno per l’imminente trasferimento di Savio al Manchester City: formalmente il giocatore era in prestito al Girona dal Troyes e non di proprietà, quindi non si tratterà di una cessione diretta.



Il passo fondamentale è sempre uno: "influenza decisiva", quella che il City non deve esercitare sul Girona, motivo per cui non può avere gli stessi soggetti nel board delle due società. Da qui si torna all'inizio, al primo luglio e al comunicato del club catalano. Si dimettono i consiglieri di area City John MacBeath (che risulta essere nel board del City dal 2010), Simon Cliff (già nel consiglio d'amministrazione del Palermo e General counsel del CFG, ma in precedenza anche presidente del Troyes) e Ingo Bank. Al loro posto, sono nominati Matthew Shayle, Edward Hall e Paul Hunston, tutti e tre partner della Wiggin Osborne Fullerlove, società britannica di consulenza legale e fiscale, dunque non legati al club di Manchester. Ma non dovrebbe essere questa l’ultima mossa: stando a quanto riportato dal Times, infatti, il CFG dovrebbe ridurre la propria quota all’interno del Girona dal 47 al 30%. Il gruppo in questione, poi, ha trasferito le sue azioni del Girona in un blind trust, che verrà monitorato dalla Prima Camera del CFCB. Se vi ricorda quanto fatto da Lotito con la Salernitana, beh, avete buona memoria.



Il presidente della Lazio, però, alla fine la Salernitana l’ha ceduta. Il City Football Group, invece, non appare intenzionato a lasciare Girona, dove oltretutto non è il solo azionista, ma ha al suo fianco il boliviano Marcelo Claure e Pere Guardiola, il fratello di Pep, che è anche presidente del consiglio di amministrazione del club catalano. Affari di famiglia, che nella prossima Champions League potrebbero risolversi anche in campo.


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