Il 14 settembre 2020 Vedat Muriqi sbarca a Ciampino e dice: «Mi hanno detto che avevano bisogno di uno come me». È stata una trattativa estenuante, durata settimane. La Lazio per averlo dal Fenerbahce spende 17,5 milioni più 2 di bonus, facendone il secondo acquisto più costoso dell’era Lotito, appena dietro Zarate. Tare è raggiante, dice una frase che suona strana: «Senza Covid non avremmo potuto prenderlo». Il significato è che senza la contrazione dei prezzi dovuta alla pandemia, Muriqi non sarebbe costato così poco. È un affare quindi.
In quei giorni Repubblica lo chiama “titolare aggiunto, non bomber di scorta”. Lo si vuole smarcare dall’etichetta di vice Immobile, di semplice necessità numerica per quando il miglior attaccante della Serie A ha un raffreddore o un dolorino alla schiena. La stagione precedente Immobile ha segnato 36 gol, pareggiando il record di Higuain, ma gli altri attaccanti della rosa non sono arrivati neanche in doppia cifra. La Lazio è rimasta attaccata al primo posto fino allo stop al campionato a causa della pandemia, ma alla ripartenza è scivolata dietro, mostrando una scarsa profondità nella rosa. Muriqi è il profilo individuato dalla società per fare un salto di qualità, se non vincere lo Scudetto, almeno restare lì, tra le prime quattro.
Facciamo un salto in avanti, a oggi. Muriqi è in campo con la maglia del Maiorca. Porta i capelli lunghi legati sopra la testa e indossa il numero 7. Dani Rodriguez dall’esterno lo serve con un pallone rasoterra al limite dell’area un po’ arretrato. Muriqi è perpendicolare alla porta ma non ci pensa due volte: con l’interno del sinistro quasi lo scava per creare qualcosa a metà tra il pallonetto e il tiro a giro che scavalca la mano tesa di Pacheco per infilarsi in rete.
È il suo undicesimo gol stagionale, il più bello. Il Maiorca è decimo in campionato, appena tre punti dietro il sesto posto che varrebbe l’Europa, una stagione che era difficile aspettarsi da una squadra in perenne lotta per la salvezza. Un mese fa ha battuto il Real Madrid, il gol decisivo è stato un autogol di Nacho, provocato però dalla presenza di Muriqi su un cross; prima della sosta è toccata la stessa sorte all'Atletico Madrid, battuto in casa da un suo gol. L'allenatore Javier Aguirre dice che Muriqi è «un insetto brutto e strano, quando lo vedi cambi marciapiede». È una frase che può sembrare cattiva, ma che è piena d’affetto. Muriqi e il Maiorca si sono trovati: una squadra soprannominata i Piratas e un calciatore che a un pirata somiglia davvero.
Muriqi è alto 194 centimetri, i denti sono storti, i lineamenti del viso spigolosi. Quando si muove sul campo sembra che qualcuno lo abbia montato male. Non ha la grazia dei centravanti di questo millennio e non fa nulla per ricercarla. Se c’è un pallone in aria prova a prenderlo di testa, se è a terra prova a difenderlo o buttarlo in porta. È secondo in Liga per duelli aerei vinti, primo per tentati. Il calcio sembra semplice per i giocatori come Muriqi, ma non è quasi mai così.
Quando aveva cinque anni i soldati serbi entrarono con le armi spianate nella casa della sua famiglia a Prizren, una città molto importante per la popolazione albanese del Kosovo, ex capitale durante la dominazione ottomana del Paese dove venne teorizzata la cosiddetta "grande Albania". E proprio in Albania i genitori di Muriqi fuggono, in fretta e furia. Di quell'esodo Muriqi ricorda «una carovana di automobili, vestiti stesi per strada, soldati e persone con magliette macchiate di sangue». Alla fine della guerra, appena tornati a casa, va a vedere il padre giocare a calcio con gli amici, è un momento di festa. A un certo punto il padre va in porta, è stanco dice. Pochi minuti dopo si accascia a terra. L’ultima cosa che fa è «un'incredibile parata che è stata accolta con una standing ovation. Non si è più rialzato». Un infarto.
La figura paterna, allora, diventa lo zio. Quando Muriqi gli dice che vuole fare il calciatore, quello gli risponde che non esistono calciatori in Kosovo e, a 15 anni, gli trova lavoro come cameriere. Muriqi lascia la scuola, serve ai tavoli per portare i soldi a casa e nel tempo libero gioca a calcio. A 17 esordisce nel campionato kosovaro con il Liria, a 19 è in Albania, a 20 nella Serie B turca.
Muriqi non va di fretta, nessuno lo segue con attenzione. Per arrivare al Fenerbahce ci mette più di cinque anni, ma a quel punto è pronto. In una stagione segna 17 gol e fa 7 assist. Il suo strapotere fisico nel campionato turco è diventato evidente, può permettersi giocate anche raffinate intervallate a gol da centravanti di razza. In estate, sembra, lo voglia mezza Premier League. Il suo compagno Max Kruse dice che «potrebbe giocare nel Bayern Monaco». Come abbiamo visto, a spuntarla è la Lazio.
Subito dopo le visite Muriqi torna in Turchia per delle questioni burocratiche. Prima di prendere il volo di ritorno scopre di avere il Covid, inoltre è infortunato. Per vederlo a Formello bisogna aspettare un altro mese. Il giorno della presentazione dice: «È un onore essere in questo club. Non sarò l'Ibrahimovic della Lazio, sarò il Muriqi della Lazio». Esordisce pochi giorni dopo, in una brutta sconfitta per 3-0 contro la Sampdoria, un cattivo presagio.
La Lazio non è quella della stagione precedente, ma Muriqi non trova molto spazio nonostante le premesse. Immobile è intoccabile, accanto a lui ruotano Correa, un attaccante quasi opposto al kosovaro, e Caicedo, un talismano di questa squadra che segna gol nel recupero per vincere le partite. A fine dicembre Tare dice che Muriqi era stato preso come sostituto del ecuadoriano che aveva un’offerta del Qatar, poi saltata. Una dichiarazione che suona ambigua, visti i soldi spesi e l’idea di farne un possibile partner per Immobile, nel 3-5-2 di Inzaghi. L’allenatore lo usa spesso a partita in corso, ma non è chiaro come le sue caratteristiche uniche possano tornare utili a una squadra che preferisce attaccare velocemente su un campo grande.
I tifosi, intanto, iniziano a mugugnare. Davvero è questo il grande acquisto dell’era Lotito? Muriqi ha delle attenuanti (un altro infortunio, un nuovo calcio, una nuova lingua, una stagione schiacciata tra il Covid e l’Europeo) ma in campo sembra un attrezzo. Contro il Milan entra dopo una mezz’ora a causa di un infortunio a Correa e la sua prestazione è orrenda. In un San Siro senza pubblico dove ogni giocata sembra quasi evidenziata dal rumore, Muriqi sbaglia sponde, controlli, rimpalla tiri. In pieno recupero Kalulu, ancora un perfetto sconosciuto, gli salta sopra la testa, nonostante una differenza di quasi 20 centimetri, dando il via all’azione che porterà al calcio d’angolo del gol (dove sempre lui non arriva su un pallone dalle sue parti).
I pochi minuti che passa in campo iniziano ad ammantarsi di una cappa sempre maggiore di disagio. È difficile capire se sia solo molto fuori forma o più semplicemente inadeguato per la Serie A, ma il calcio non perdona i passaggi a vuoto così evidenti. I suoi errori diventano meme, le sue prestazioni la croce dei tifosi laziali. «Per far sì che Muriqi si sblocchi, bisogna digitare il codice puk?» si chiede un ascoltatore in una delle tante radio cittadine in cui si parla di Lazio. Tra il 27 e il 31 gennaio Muriqi segna due gol, entrambi contro l’Atalanta, in Coppa Italia e campionato sembra che qualcosa possa cambiare. Dopo il secondo Ighli Tare posta una storia su Instagram con la foto di un tramonto e la frase Ammiro la verità del tempo. Rivela sempre la realtà delle cose e delle persone. È lui l’imputato numero uno, quasi più dello stesso Muriqi: per una società sempre molto attenta sul mercato, spendere quasi 20 milioni per un attaccante da due gol a stagione è una tragedia senza soluzione.
Muriqi infatti rimane fermo a quei due gol. I tifosi non sanno se buttarsi giù o buttarla a ridere. Sui forum si cercano paragoni azzeccati tra ex bidoni della storia laziale (“Gustavo Abel in confronto era Van Nistelrooy” scrive uno, “uno Stefano Chiodi con meno fiuto del gol” un altro) e storici centravanti della Serie A (“mi ricorda un Riganò meno veloce, un Hubner infinitamente meno efficace”). Nelle ultime partite stagionali Inzaghi gli dà più spazio, come se la Lazio volesse metterlo in mostra per provare a liberarsi di lui nella maniera meno dolorosa possibile. Va peggio che mai: Muriqi sbaglia qualche gol facile, col Sassuolo sciupa due ottime occasioni; in generale - tolta qualche difesa del pallone - Muriqi non sembra appartenere a questo mondo. È lento, sbaglia molto, sembra completamente avulso da una squadra che invece, con Inzaghi, ha sempre attaccato in modo verticale e veloce, affidandosi se mai a Milinkovic-Savic per la risalita coi lanci lunghi.
Come se non bastasse, in estate un’indagine di Report getta un’ombra sulle modalità del suo acquisto legate ai rapporti di Tare con la mafia albanese. L’accusa non è chiara, ma durante il servizio si vede l’agente Vincenzo Morabito andare tranquillamente davanti alle telecamere e dire: «Il fratello di Tare è il console albanese a Istanbul e spende 18 milioni per un giocatore che è una pippa. Simone Inzaghi voleva mettersi le mani nei capelli...». Poi aggiunge che Radu gli ha detto che in allenamento «quando marco lui mi metto così (mette le mani dietro la testa in posizione rilassata, nda) con le pantofole, perché è proprio una roba inguardabile», Muriqi viene umiliato in prima serata, in uno dei tre canali della televisione pubblica.
Intanto, dopo un lungo tira e molla, Inzaghi lascia la Lazio e arriva Sarri. Una delle prime cose che deve fare da allenatore della Lazio è difendere Muriqi dagli insulti del pubblico. Sono i primi giorni del ritiro in Trentino, Sarri interrompe l’allenamento e si avvicina a un gruppo di tifosi presente dietro la rete di recinzione. «Se vi sento dire qualcosa su Muriqi, faccio svuotare le tribune» intima, alcuni tifosi applaudono.
Se non c'è riconciliazione, arriva il quieto vivere. Per la Lazio è necessario sperare che quella di Muriqi sia la crisi del primo anno, che possa diventare un giocatore su cui puntare o almeno rivendere bene. L’arrivo di Sarri però non lo aiuta: nel 4-3-3 dell’allenatore toscano c’è posto per una sola punta e quella punta è Immobile. Muriqi gioca 8, 6, 9, 11 minuti, alla prima da titolare contro il Bologna (Immobile è assente) la Lazio perde 3-0. Interrogato a riguardo Sarri dice: «Può essere un'alternativa», l’attaccante però racconterà che dopo quella partita glielo l'allenatore glielo aveva proprio detto: non vai bene per il mio gioco.
Muriqi scompare per quasi due mesi; in assenza di Immobile Sarri gli preferisce Pedro falso nove. Quando entra contro la Juventus sbaglia un paio di giocate elementari, si incarta su un colpo di tacco, sembra una versione se possibile ancora peggiore di quella della stagione precedente. A un tifoso che lo saluta su Twitter, dato che si sta per aprire il mercato di gennaio ed è chiaro che partirà, Muriqi risponde: "Grazie per essere sempre al mio fianco fratello,il tua pirata gia morte (mentalmente)".
Di quel periodo racconterà di essersi «sentito una merda». Muriqi inizia a dubitare di se stesso, del suo talento; «pensavo che il calcio fosse finito per me, avevo fatto 20 gol al Fenerbahce ed era finita [...] Sono stato male di testa». A fine stagione il Guerin Sportivo gli dà il premioCalciobidone 2021. Lui va in Nazionale e segna 4 gol contro San Marino. È il rovescio della medaglia forse più incredibile per i tifosi: in una stagione in cui con la Lazio ha segnato 2 gol in 34 presenze (11 da titolare), con il Kosovo ne ha segnati 7 in 7 partite.
Una delle ultime apparizioni è nel secondo tempo con la Sampdoria, entrato con la Lazio avanti di tre gol per un problema fisico di Immobile. I tifosi presenti a Marassi gli dedicano un coro, sulle note di uno dedicato - ai tempi - a Giuseppe Signori.
Gennaio è una lunga trattativa per trovargli un posto. Alla fine, il 31, passa al Maiorca in prestito con diritto di riscatto, la Lazio lo sostituirà con Jovane Cabral (197 minuti, 1 gol). Per Muriqi non è una scelta banale, al contrario. Lui in Spagna non ci voleva andare, perché è uno dei cinque paesi europei che non riconosce il Kosovo. Poi, racconta, «ho iniziato a guardare documentari sulla Spagna e sull’isola di Maiorca e ho pensato “è solo uno sport”». Alla prima partita in Liga con la nuova maglia, segna il gol vittoria. Alla seconda fa assist, alla terza segna di nuovo. Il Corriere dello Sport titola “Lazio, visto Muriqi? È il nuovo eroe di Maiorca”. I gol in totale saranno cinque, non tantissimi, ma quattro di questi sono gol vittoria. 12 punti decisivi per la salvezza che rendono Muriqi un idolo per i tifosi, tanto che al termine dell’ultima partita stagionale gli dedicano il coro “Muriqi non te ne andare”.
In estate, per riscattarlo, il Maiorca dovrebbe pagare 10 milioni alla Lazio, ma non lo fa. Muriqi torna a Formello disperato, come un pacco da piazzare. Non fa in tempo a disfare le valige che arriva la cessione al Bruges per 11 milioni e mezzo, sufficienti per non mettere a bilancio una minusvalenza. L’attaccante vola in Belgio ma non passa le visite mediche e torna indietro. Il problema, sembra, è che è in sovrappeso. L’attaccante torna a Roma e la Lazio lo sottopone ad altre visite mediche. Esce anche una storia sulla pagina Instagram della clinica Paideia in cui il calciatore è a torso nudo su una cyclette; il fisico è asciutto, proprio come ci si aspetta da un atleta. Lotito è furioso, minaccia di denunciare il Bruges alla FIFA per “danno d’immagine ed economico”. I belgi chiedono di cambiare la formula, da acquisto definitivo a prestito con diritto di riscatto. Nasce un piccolo giallo, perché sembra che - a questo punto - il trasferimento debba avvenire lo stesso.
Vengono fissate nuove visite mediche in Belgio a distanza di due settimane, ma nella trattativa si infila il Maiorca che rompe il salvadanaio per portarselo a casa. Paga alla Lazio 7.7 milioni più bonus, 500 mila euro più di Eto’o, fino a quel momento l'acquisto più costoso nella storia della società spagnola. Lo stesso giocatore conferma il buon esito della trattativa registrando un video in cui lo si vede cancellare il post Instagram di qualche giorno prima in cui dava l’addio al club spagnolo.
Per lui è un lieto fine, per i tifosi una liberazione, per la Lazio una piccola minusvalenza.
Nelle prime 12 partite di Liga segna 8 gol, a un certo punto nella classifica marcatori dietro a Lewandowski c’è lui. Quando segna esulta portandosi una mano davanti l’occhio, come se fosse una benda di un pirata. È come se Muriqi subisse davvero l’influenza dell’isola, la vegetazione o forse proprio il richiamo dell’acqua, della sua immedesimazione con un pirata. In campo è il leader della squadra, la sua presenza è quasi magnetica e va oltre il suo talento con la palla tra i piedi. Muriqi urla, coinvolge. Il suo fisico, la sua espressività, nel contesto del Maiorca, una squadra il cui obiettivo è salvarsi con ogni mezzo giocando un calcio più scorbutico possibile, è perfetto.
Le buone prestazioni di questi mesi, anche se il suo apporto in termini di reti è calato e al momento è di uno ogni due partite, gli sono valse l'interesse di diverse squadre. Si è parlato di Siviglia, di West Ham, addirittura di Real Madrid, per quanto possa sembrare assurdo. La Lazio conserva una percentuale del 45% su una futura rivendita per cui è più che interessata che faccia così bene da diventare troppo per il Maiorca, anche se rimane difficile spiegare un fallimento così fragoroso. Tolta la parentesi con la Lazio, Muriqi ha segnato in tutte le altre squadre in cui ha giocato (16 in 40 partite col Maiorca, 23 in 44 con la Nazionale del Kosovo). Come può essere andato così male in Italia?
Muriqi, dal canto suo, non ha mai cercato scuse. Recentemente è tornato su cosa è andato storto alla Lazio, prendendosi le sue responsabilità: «Io voglio però ribadire che non ci sono stati errori da parte della Lazio, dei tifosi, di Tare o di Inzaghi: la maggior parte sono stati miei». Forse è così che doveva andare, forse più semplicemente Muriqi aveva bisogno di un contesto più adatto a lui, una squadra meno ambiziosa, un ambiente più piccolo, una squadra dove potesse sentirsi importante. Per alcuni calciatori è così: non considerare l'aspetto mentale è inclemente. Muriqi aveva bisogno di tutto questo e, in più, di una benda sull'occhio.