
La finale di Montecarlo se l’è presa Carlos Alcaraz, con tanto di 6-0 finale e il numero due del mondo ritrovato dopo un inizio di stagione deludente. Dall’altra parte della rete c’era Lorenzo Musetti, che all’ultimo cambio di campo ha affondato la faccia sotto un asciugamano, sotto il cielo plumbeo di Montecarlo che le lacrime sembrava proprio chiamarle.
Chiudere un torneo con un bagel non è mai carino, ma nemmeno l’epilogo più triste e doloroso può cancellare quanto fatto da Lorenzo Musetti in questa splendida settimana. Il tennista di Carrara ha raggiunto la finale di un Masters 1000 per la prima volta, raggiungendo uno dei risultati più prestigiosi della carriera, assieme alla medaglia di bronzo olimpica e la semifinale di Wimbledon, e issandosi così all’undicesimo posto della classifica mondiale, alle porte della top10 tanto inseguita.
Il percorso con cui è arrivato alla finale dice molto di più della sua stagione e dello stato attuale del suo sviluppo che la finale in sé, e merita un capitolo a parte rispetto allo svolgimento della finale stessa, in cui pure era stato avanti di un set.
Musetti è arrivato a Montecarlo sulla scia di un inizio di stagione piuttosto altalenante, e con la cambiale della terra battuta e di Wimbledon sempre più incombente, quando invece nei primi mesi della stagione aveva l’occasione di guadagnare un bel po’ di punti. Il rendimento sul cemento gli aveva attirato qualche critica, ma in fin dei conti l’unica sconfitta per cui mangiarsi le mani è stata quella con Munar a Hong Kong, e va comunque considerato che lo spagnolo è stato ottimo a inizio stagione sul cemento.
A chiudere l’avventura all’Australian Open era stato il poi semifinalista Shelton in quattro set, mentre nel Sunshine Double l’italiano è caduto al cospetto di Djokovic e Fils. Un bilancio di sei vittorie e quattro sconfitte sul duro, ma tutto sommato buono se si considera con chi ha perso. A condizionare la Race, numero 56 del mondo prima di Montecarlo, è stato sicuramente un infortunio patito al primo torneo della gira sudamericana sul rosso. Un problema muscolare subito nella prima sfida di Buenos Aires con Corentin Moutet che lo ha costretto a saltare completamente una finestra sul rosso per lui mai fortunatissima ma che comunque poteva portare dei risultati.
A vedere il quadro generale è stato un inizio avaro di punti, e il 56 della Race lo testimonia, ma Musetti ha ridotto notevolmente gli scivoloni inattesi. E questa è una novità finora nella carriera di Musetti, a cui si è sempre rimproverata l’incostanza e la capacità di perdere con tennisti inferiori (mentre ora paradossalmente gli è stato rimproverato l’opposto). Per chi segue Musetti non è una novità, contando che già l’anno scorso gli upset subiti si erano notevolmente ridotti e il carrarino aveva trovato una buona costanza di rendimento, ma mai come in questo caso Musetti è vittima dell’immagine creata attorno a lui. Il genio e sregolatezza tanto caro al tennis italiano, figlio anche della narrazione del tennis più antico, dove però aveva effettivamente un senso, e alimentato dai meme attorno a Musetti stesso generati dal suo rapporto complicato con il Divino.
Musetti ha sicuramente degli alti e dei bassi, come tutti i tennisti, e il contrasto tra i momenti in cui è in vena e non in vena è probabilmente talmente evidente a livello di pura estetica del tennis che sembra un tennista in grado di “rompere il suo gioco” con molta facilità. In passato Musetti ha avuto dei problemi nella gestione della pressione, basti vedere le Next Gen italiane e certe partite lasciate andare con troppa facilità, come al Roland Garros con Djokovic o l’ultima sfida di Davis con Cerundolo. In un certo senso anche il 6-0 finale a Montecarlo è un segnale positivo. Musetti ha cominciato ad accusare problemi al quadricipite della gamba destra già a metà secondo set e ad inizio terzo era palesemente fuori dalla partita a livello fisico. Per rispetto dell’avversario, della partita, del suo torneo e del pubblico ha deciso comunque di non ritirarsi, anche perché il problema fortunatamente non era grave a tal punto. Non è una medaglia da appuntarsi al petto, ma sono piccoli segnali di maturità che di certo vogliono dire qualcosa.
Tutto Montecarlo è stato un esame di maturità passato a pieni voti per Musetti. Mai come nel Principato si è dimostrato capace di vincere giocando un tennis non eccezionale, o comunque senza avere momenti prolungati di onnipotenza.
Già dal primo turno, quando ha rischiato seriamente di uscire con Bu Yunchaokete, passando per un primo set drammatico con Jiri Lehecka. Sappiamo bene, e da tempo, quali sono i pregi e i difetti tecnici di Musetti, e se il servizio ha balbettato per tutto il torneo il dritto ha mostrato segnali decisi di miglioramento sia in spinta che in contenimento. Nel derby italiano Musetti ha dominato Berrettini contenendo senza fatica il servizio dell’ex finalista di Wimbledon. Con Tsitsipas è stato bravo a tenere duro dopo un inizio di partita drammatico e a martoriare in maniera sistematica il rovescio del greco, che pure su terra rende più del suo solito. Nella semifinale nonostante l’inizio travolgente di De Minaur è riuscito a trovare solidità e profondità da entrambi i lati del campo, vincendo anche un tie-break arrivato dopo essersi fatto strappare il servizio mentre serviva per la finale.
Sono due risultati da rimarcare particolarmente. Tsitsipas veniva da una striscia di 19 vittorie e 1 sconfitta a Montecarlo ed è un avversario che Musetti non era mai riuscito a battere in cinque precedenti. De Minaur era in forma strepitosa, e aveva lasciato 4 game in due partite, tra Medvedev e Dimitrov. Musetti lo ha battuto dimostrandosi di ghiaccio nei momenti chiave, pur avendo diverse ore di gioco in più sulle gambe.
In finale Musetti ha giocato un primo set di alto livello suggellato sul set point da una palla corta spettacolare, con sidespin e cortissima da una posizione complicata del campo. La notizia però è stata la sua solidità incrollabile con tutti i fondamentali, tenendo a bada le accelerazioni di un Alcaraz falloso e cambiando molto, soprattutto sul lato del rovescio dello spagnolo. Da inizio secondo set in poi Alcaraz ha iniziato il suo concerto di Vamos, e per ogni punto spettacolare vinto c’era la sensazione che stesse caricando le sue batterie, tanto da dilagare e poi chiudere la contesa nel terzo set, anche per un infortunio al quadricipite che ha fermato completamente Musetti.
Una fine mesta e in anticlimax rispetto all'ottimo torneo raccontato, e anche rispetto a un primo set vinto al comando delle operazioni. Musetti però deve essere rinfrancato da questa settimana. Ancora di più se si considera quanto detto prima, tra l’inizio di torneo balbettante e un arrivo non ottimale alla stagione sul rosso.
La carriera di Musetti per ora è stata molto breve temporalmente, ma quante volte è stato cantato il de profundis per il suo rendimento? Quante volte è stato detto che l’allenatore della sua vita, Simone Tartarini, non era adeguato per raggiungere un tennis di alto livello? Le critiche sono sempre concesse e in certi casi sono anche stimolo per portare qualcosa di positivo, ma il modo in cui viene trattato Musetti, figlio forse del complicato rapporto degli italiani con le prestazioni di Fabio Fognini, è uno specchio di come viene considerato un certo tipo di talento in Italia. A ben vedere anche all’estero, soprattutto ultimamente, piovono le critiche verso Juan Carlos Ferrero per la stagnazione del tennis dell’altro finalista di Montecarlo, Alcaraz.
Bisogna parlarci chiaro sul tema allenatore, forse sopravvalutato per importanza ed efficacia, forse come riflesso del modo in cui viene considerato negli altri sport. Ci sono pochissimi allenatori consensualmente reputati come “top per tutte le situazioni” nel tennis, e per quanto possano dare indicazioni perfette in campo alla fine ci vanno sempre i tennisti.
Più di qualcuno ha criticato la scelta di Musetti di servire in maniera molto evidente solo sul rovescio di Tsitsipas nel terzo set della sfida di Montecarlo, variando molto poco la scelta delle direzioni. Ponendo sia una scelta di Tartarini, Musetti ha vinto la partita e il greco ha collezionato una serie numerosa di risposte sbagliate pur contro un servizio non certo eccezionale. Se invece Tartarini gli aveva detto di cercare il rovescio ma con meno percentuale, magari Musetti ha deciso di farlo sistematicamente dopo aver constatato che questa scelta dava una sicurezza a lui e la toglieva al greco. Per esempio vediamo durante le partite di Alcaraz un certo radiocomando di Ferrero, ma contando che uno dei limiti di Alcaraz sono proprio le sue scelte a volte confusionarie, quanto può essere demerito di un allenatore?
Se domani Musetti annunciasse la collaborazione con Darren Cahill o Goran Ivanisevic ho forti dubbi che si leverebbero cori di delusione, io stesso la reputerei una scelta ambiziosa. Jannik Sinner è entrato nella stratosfera dopo aver lasciato il padre putativo Riccardo Piatti per Simone Vagnozzi, noto nel mondo del tennis italiano per i successi con Travaglia e Cecchinato ma non certo universalmente reputato un top come Cahill stesso. Eppure Vagnozzi si è dimostrato la scelta vincente, e oggi è certamente uno degli allenatori di tennis più importanti del mondo, e chi c’era ricorda benissimo come Sinner sia stato aspramente criticato per la scelta di lasciare Piatti, lui sì un altro di quei tecnici di tennis con fama mondiale.
In questo caso il padre putativo di Musetti è Tartarini stesso, ma perché dare per scontato che una cosa che ha funzionato per Sinner, di carattere e tennis radicalmente diverso, funzioni anche per Musetti? Contando la relazione umana profonda tra i due e il carattere di Musetti la possibilità che il carrarino possa addirittura peggiorare nonostante l’ingaggio di un tecnico blasonato non è certo bassa, anzi. Senza contare che è un insulto stesso alle capacità di Tartarini come allenatore di tennis, che ricordiamo ha portato un ragazzino dai club di tennis di La Spezia alle soglie della top 10. Portare come esempio Zverev dato il suo momento terribile potrebbe sembrare strano, ma il tedesco ha sofferto molto quando ha cambiato vari allenatori, tra cui alcuni blasonati come Ferrero stesso o Lendl, e ha dato il suo meglio allenato dal padre. Come per Zverev anche per Musetti c’è una dimensione immaginaria in cui cambia allenatore e magicamente risolve tutti i suoi difetti, dimenticando però che nel tennis è più una questione di alchimia tra tennista e allenatore che meramente tecnica.
Musetti potrebbe certamente cambiare allenatore e migliorare, ma eventualmente è il momento giusto per farlo? Se Casper Ruud non difenderà il titolo di Barcellona l’ex campione di Amburgo avrà una chance enorme di entrare per la prima volta in top-10 a 23 anni appena compiuti. Per dire, Adriano Panatta e Matteo Berrettini entrarono in top-10 alla stessa età di Musetti, mentre Fognini a 32 anni e soltanto Jannik Sinner ci è riuscito prima. Dovesse entrare tra i magnifici dieci Musetti sarebbe anche il terzo più giovane, dietro solo ai “soliti” Sinner&Alcaraz, come se fosse la realizzazione di un destino che per lui viene detto da anni. Avrà la cambiale di Wimbledon, ma l’undicesimo posto della Race fa ben sperare per il resto della stagione sul rosso e, perché no, per restare nella corsa per le Finals di Torino fino alla fine. Anche perché il cemento non è più un nemico assoluto, come era nella parte iniziale della sua carriera nel circuito ATP.
Forse l’equivoco di base con Lorenzo Musetti è proprio pretendere una crescita come quella che hanno avuto Alcaraz e Sinner, il primo teenager fenomenale e il secondo top-5 già a 22 anni. Una cartina di tornasole di come si creda troppo spesso che il tennis sia uno sport che permette miglioramenti lineari e rintracciabili in una curva che va solo verso l’alto, e proprio la storia di Berrettini ne è una dimostrazione. Musetti si è sempre portato il peso delle aspettative della sua ottima carriera junior e dello splendido tennis dai guanti bianchi che è capace di esprimere anche nelle sue giornate peggiori, una ribellione contro il logorio del tennis moderno. Da un lato Musetti beneficia dell’ombrello della generazione d’oro del tennis italiano, che gli permette di crescere con più calma rispetto al se avesse dovuto portare lui la croce del portabandiera del tennis italiano. Dall’altro il confronto con un talento coetaneo, mostruoso e precoce come Sinner fa sembrare scontate le cose che ha fatto Musetti fino a questo momento.
Gravitare costantemente in top-20 da under23 non è una cosa di poco conto, tanto meno facile, e Musetti è anche il quarto giocatore al mondo per classifica sotto i 24 anni. In questo il paragone con un altro rovescio a una mano sembra azzeccato, Stan Wawrinka. Per quanto lo svizzero fosse un tennista molto superiore al Musetti attuale, specialmente nei suoi momenti più alti, l’italiano condivide con Wawrinka la capacità di accendersi nell’arco di un torneo. La carriera di Wawrinka, entrato in top10 a 23 anni proprio come Musetti, è stata piuttosto irregolare nel rendimento e la sua costanza, nonostante i picchi giganteschi, gli ha impedito di vincere meno a livello quantitativo rispetto ad altri tennisti anche meno dotati tecnicamente. Se vogliamo amare il tennis di Musetti dobbiamo accettare anche il fatto che, almeno per ora, il suo tennis è capace di esprimersi ancora a sprazzi e non con una costanza di rendimento ferrea. In fin dei conti i pezzi del puzzle nel tennis da unire sono molti, e 23 anni sono veramente pochi per completare tutti i tasselli necessari. E se pure con i suoi pregi e difetti Musetti è capace di arrivare in top-10 e contendere un 1000 così importante allora il credito a Musetti è necessario, anche perché il meglio deve davvero ancora venire.