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Musiala, Bellingham e l'importanza dei rimpalli
05 ott 2023
Talenti diversi per un calcio sempre più caotico.
(articolo)
13 min
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IMAGO / NurPhoto
(copertina) IMAGO / NurPhoto
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A mezz’ora dalla fine della partita, anzi meno, il Bayern Monaco era sotto di un gol a Copenaghen. Musiala riceve una palla sulla trequarti di campo, in posizione centrale, con davanti otto giocatori danesi, più il portiere, ma a Musiala non sembra importare, abbassa la testa e punta l’avversario che ha davanti, Falk, centrocampista centrale. Fa una finta verso destro e si spinge a sinistra, sfilando di fianco a Falk ma infilandosi in un imbuto di quattro avversari che lo aspettano a ridosso del limite dell’area. Allora Musiala sterza con l’esterno del piede destro, anche se addosso da quel lato avrebbe Falk. Ma la palla passa lo stesso, appena dietro a Falk che allarga le gambe provando a intercettarla di tacco, perdendo l’equilibrio come se fosse sceso in corsa da uno skate e stesse cercando di non aprirsi il mento sul marciapiede. La palla passa, dicevamo, e uno dei due difensori centrali del Copenaghen, Vavro, fa un passo incontro a Musiala per chiudergli lo spazio per il tiro. Musiala, però, si sposta verso il centro, tocca la palla con il collo del piede e immediatamente calcia di interno sul secondo palo. Due tocchi ravvicinati come un pugile che prepara il gancio del braccio avanzato con il jab.

E quindi niente: uno pari, ha fatto tutto Musiala. Non saprebbe dire esattamente come neanche lui. Aveva pensato dall’inizio, appena la palla gli è arrivata tra i piedi, a quel percorso, come uno corriere che guarda al volo la mappa sul cellulare prima di arrivare all’indirizzo esatto - vado a sinistra, poi sterzo a destra, poi mi allungo un po’ verso il centro e sono arrivato - oppure aveva improvvisato un passo alla volta? Aveva sentito con il “senso da ragno” lo spazio dove dribblare Falk, o era stato, semplicemente, fortunato?

La difficoltà che abbiamo nel capire il talento di giocatori come Musiala sta nel fatto che non hanno a che fare con quelle doti che di solito associamo ai geni calcistici: il controllo - tecnico e non - il dominio netto e indiscutibile, la volontà manifesta di un’idea che sorprenda i suoi avversari, che ci sorprenda. Giocatori come Musiala semmai sorprendono prima di tutto loro stessi. O meglio, si sorprenderebbe da solo se fosse il tipo da aspettarsi qualcosa di preciso, invece Musiala sembra perfettamente a proprio agio nell’incertezza dei rimpalli, nel rischio delle sterzate alla cieca, in azioni come questa che sai come iniziano ma non puoi sapere come finiscono.

In fondo è sempre la stessa domanda che ci facciamo in questi anni di performance “matematicamente” mostruose: cos’è il talento, cos’è la tecnica a un livello così, che differenza c’è tra la qualità di, mettiamo, Griezmann, un giocatore pulito, lucido, ordinato come un bambino con la camicia sistemata dalla madre al primo giorno di elementari, e questa generazione di mostri casinisti, di ragazzini sudati e appiccicosi a cui il padre e la madre non hanno mai detto di “no” neanche quando si sporgevano dalla finestra?

La differenza, verrebbe da dire, è generazionale. In fin dei conti Musiala è nato nel 2003, figlio del mondo instabile post-Torri Gemelle, forse persino della gioia di vivere vagamente angosciosa e apocalittica post-covid, mentre Griezmann ha già più di trent’anni. In realtà sembra che sia il calcio a essere cambiato in maniera sottile ma rapida in brevissimo tempo. Anche Griezmann si sta adattando a un calcio che non è già più quello in cui ha cominciato e ha vinto un Mondiale (anche se a pensarci bene, forse è proprio allora che è cominciato il cambiamento). Quello contemporaneo è, appunto, il calcio dei rimpalli, il calcio in cui gli spazi “tra i corpi” di cui parlava lo scorso anno Spalletti sono sempre più stretti, in cui il campo da calcio si trasforma a partita in corsa, un momento è una pista per i cento metri e quello dopo una stanza affollata con il pavimento di lava. Il giocatore di talento deve essere capace di tuffarsi da trenta metri di altezza in un bicchiere d’acqua, deve passare con la palla attraverso la cruna di un ago.

Ad esempio, Antoine Griezmann, il giorno dopo Musiala, nel gol del 2-2 contro il Feyenoord: che cos’è quella cosa che fa? Non è una rovesciata canonica, come quella che ha fatto contro la Roma sei anni fa, ad esempio, il gesto tecnico e elegante per eccellenza. Griezmann vede la palla uscire dal contrasto tra la schiena di Maduro e il petto di Witsel, la vede rimbalzargli davanti mentre è con le spalle alla porta, dentro l’area piccola, e reagisce come può. Si siede sul flessore destro ed estende la gamba sinistra per calciare cadendo all’indietro, è un gesto tecnico vicino a quello di un uomo che con una mano prende al volo il cellulare che gli è caduto dall’altra, o a quei padri che afferrano i propri figli per la caviglia un attimo prima che cadano dalla finestra. Qualcuno ha bendato Griezmann, gli ha fatto fare dieci giri su se stesso e poi gli ha tolto la benda in mezzo a un’area di rigore piena di gente: e Griezmann ha trovato il modo di fare gol.

Stessa serata di Musiala, partita diversa. Jude Bellingham riceve una palla a metà campo. A dirla tutta, se l’è andata a prendere andandole incontro, proprio mentre Rodrigo e Vinicius Junior spingevano in profondità la difesa del Napoli allontanandola dal centrocampo. Bellingham si è posizionato comodamente in quello spazio vuoto e ha indicato a Camavinga il più facile e utile dei passaggi. Poi ha iniziato a correre verso la porta avversaria. Anche qui: aveva già immaginato come poteva andare a finire?

Sapeva già che Vini Jr e Rodrigo gli avrebbero fatto spazio al centro, il primo tagliando verso destra e il secondo facendo qualche passo all’indietro verso sinistra? Magari poteva sapere, immaginare, che Anguissa e Lobotoka non sarebbero riusciti a riprenderlo, ma aveva già in mente il modo in cui saltare Ostigard appena entrato in area? Anche se fosse, se guardate bene il momento in cui effettivamente Bellingham si crea lo spazio per il tiro vi accorgerete che un attimo prima si allunga la palla. Poco prima di entrare in area di rigore stava correndo leggermente verso sinistra, poi prova a cambiare direzione verso il centro ma perde contatto con la palla: il corpo Bellingham sembra già voler andare a destra ma la palla sta continuando ad andare dritta.

Tant’è che, per anticipare Ostigard, Bellingham deve allungarsi con l’interno del piede sinistro (un allungo da piovra, con gli stessi tentacoli con cui aveva intercettato il passaggio di Di Lorenzo per il gol del 1-1) e sterzare in uno spazio inesistente. Bellingham ha tirato il freno a mano e girato lo sterzo un attimo prima di sbattere contro un muro. Ne viene fuori una specie di piccolo tamponamento con Ostigard, uno strusciamento come quello di due persone su un autobus pieno. Ostigard è girato di schiena, non vede più il pallone, finisce per aggrapparsi ai pantaloncini di Bellingham mentre quello ha recuperato un equilibrio perfetto e una visuale ideale sul secondo palo di Meret, dove mette la palla con l’interno destro.

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In questo inizio di stagione incandescente (8 gol e 3 assist in 9 partite tra Champions e Liga) a Bellingham è capitato spesso di avere l’ultima parola, solo quella, al termine di azioni confuse, involute, che sembravano non andare da nessuna parte e invece stavano andando proprio sui suoi piedi, a pochi centimetri dalla porta. Come un artista che si limiti a mettere la firma su delle cose che trova per terra mentre passeggia. «Ha qualità e sembra che sia fortunato», ha detto Ancelotti di lui. «È uno dei più intelligenti quando attacca dalla seconda linea». Siamo però nel regno dell’impalpabile, delle cose difficili da dimostrare. Gli scettici non hanno tutti i torti.

Contro l’Almeria: Federico Valverde stacca di testa appena oltre il limite dell’area e schiaccia un cross di Carvajal mirando al secondo palo, il pallone però colpisce Bellingham che allarga il petto provando forse a controllarlo o boh, provando a fare qualcosa. La palla rimbalza sullo stinco di Chumi dell’Almeria e si mette docile davanti a Bellingham, che calcia male di piatto, aprendolo troppo e sbucciando la palla. Proprio grazie a quel tocco imperfetto, però, la palla entra sul palo lontano passando dietro la schiena di un difensore che altrimenti avrebbe bloccato il tiro in scivolata.

Contro l’Union Berlino, al 94esimo minuto di gioco: sempre Federico Valverde, stavolta carica la bomba dal limite dell’area, venendo da sinistra verso il centro, un difensore dell’Union para di piede il tiro, che rimbalza sulla schiena, o sul braccio, di un suo compagno e come per magia arriva sulla corsa di Bellingham, che colpisce in girata perché la palla gli stava passando dietro, più veloce persino di un compagno, Brahim Diaz, che arriva frontale alla palla.

Oppure prendiamo il gol di Bellingham contro la Scozia, segnato a metà dello scorso settembre. Lui comincia l’azione sul lato sinistro, con una serie di finte e controfinte conclusa con un tacco per Foden che crossa teso al centro. La palla sbatte su Harry Kane e rimbalza al limite dell’area piccola vicino a un giocatore scozzese, Robertson, che forse per la pressione appena accennata di Walker a pochi passi va in bambola, il suo software crasha e colpisce maldestramente la palla di sinistro. E chi c’era proprio lì vicino, sul dischetto, pronto a sbattere la palla in rete? Jude Bellingham. Che mentre succedevano tutte le cose descritte, in quelli che comunque sono appena 3 secondi di gioco, ha trotterellato pigramente, pascolato, fino a trovarsi nel posto giusto al momento giusto.

Sembra che sia stata la palla ad andare da Bellingham, non viceversa. Sembra che Bellingham sia stato solo fortunato a trovarsi alla fine di una catena di deviazioni e sponde involontarie. Ma una persona non può essere fortunata così tante volte di seguito (persino nei casinò se vinci troppo si insospettiscono e ti cacciano). Dobbiamo mettere da parte la nostra idea antiquata di talento, un’idea accademica e astratta in cui i rimpalli non esistono, non esistono gli errori, non esistono gli avversari. In quell’azione contro la Scozia, della decina di persone che riempiono l’area, Bellingham è l’unico a muoversi verso la palla.

La citazione di Spalletti secondo cui oggi «gli spazi non sono tra le linee ma tra i giocatori avversari» rischia di diventare l’equivalente, oggi, di quella di Lillo sul calcio di posizione - «Non sono le posizioni che vanno al pallone, è il pallone che va alle posizioni». Serve a codificare la difficoltà specifica di un calcio iperintenso e organizzato, in cui gli spazi si allargano e restringono in continuazione e in cui il susseguirsi di duelli individuali crea reazioni a catena difficilmente preventivabili. I giocatori devono pensare, ma non hanno il tempo di pensare. Gli allenatori devono prepararli all’imprevisto.

Il talento di giocatori come Bellingham e Musiala sta nel riuscire a mostrare le proprie qualità tecniche in situazioni complesse, a velocità elevate, fuori equilibrio, leggendo rimbalzi e deviazioni. Un’altra giocata che può fare da manifesto a questo che sto chiamando il calcio dei rimpalli, è il controllo di Phil Foden sulla palletta scavata in profondità per lui da Kovacic, contro il Burnley. Una palla imprecisa, ma come si fa a essere precisi a quella velocità, con così poco spazio a disposizione e con un tocco così difficile? Foden la porta avanti di tacco poi, continuando a correre in avanti, gira su se stesso con un saltello e controlla la palla, che non ha ancora toccato terra, con il collo di quello stesso piede sinistro. Contemporaneamente al tocco di collo se la porta avanti con il ginocchio destro. Proprio sul più bello, però, un avversario gli mette pressione e gli fa perdere l’equilibrio prima che riesca a calciare in porta. Ma cos’è quello che ha fatto, calcio o danza contemporanea? Calcio o uno di quei video su YouTube in cui esperti di arti marziali svitano i tappi delle bottiglie di Sprite coi calci?

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Bellingham stesso ha ammesso di essere stato «un po’ fortunato» segnando il suo primo gol in Liga - un tiro al volo schiacciato a terra di piatto che ha finito per scavalcare il portiere dell’Athletic Club ed entrare sul secondo palo - ma vale per quasi tutti suoi gol. Bellingham però ha anche sottolineato la libertà tattica che gli viene concessa a Madrid, una libertà che dipende anche dalla capacità sua e dei compagni di relazionarsi con un canovaccio abbozzato, di muoversi interpretando le specifiche situazioni (Rodrygo e Vini Jr che gli aprono quello spazio contro il Napoli, ad esempio), cercando gli spazi, rifiutando di prendere una posizione definita. Anche Musiala ha parlato di libertà, ha detto di aver imparato a «giocare con libertà» nei suoi anni in Inghilterra, una libertà che porta al «coraggio di non evitare nessun dribbling».

La scorsa stagione Musiala ha segnato un grandissimo gol contro il Wolfsburg partendo da centrocampo in conduzione. Sempre un po’ con la testa bassa, Musiala corre come un uomo bendato inseguito da un orso e passa prima tra due avversari, muovendosi dalla fascia destra verso il centro, correndo leggermente all’indietro, verso la linea di metà campo, poi con due tocchi si gira verso la porta, vede un buco che arriva fino alla difesa del Wolfsburg e come un’infiltrazione d’acqua nel soffitto ci si infila e percorre quello spazio fino a dove può. Al limite dell’area lo raggiunge un avversario da sinistra, Nmecha, e lo tampona. Musiala resiste e sporca l’intervento di Nmecha che tocca quasi impercettibilmente la palla con la punta del piede destro. Nmecha cambia direzione al pallone quanto basta per mandare a vuoto il suo difensore, van de Ven, che si pianta davanti a Musiala mentre Musiala e il pallone hanno già cambiato traiettoria. È questione di frazioni di frazioni di secondo, ma Musiala cambia l’equilibrio facendo un saltello sul piede destro, decide di non toccare la palla (non ce n’è bisogno) e mentre compie quel saltello si coordina per calciare in porta con il passo successivo.

Musiala prende molte micro-decisioni, cambia più volte direzione a seconda di quello che vede davanti e di quello che fanno gli avversari, asseconda il movimento della palla e al momento opportuno decide di non toccarla, di lasciarla scorrere sul tocco avversario e di calciare. L’arte di non toccare la palla: una specialità di pochissimi. E viene da uno dei migliori anche quando si tratta di toccare attivamente la palla (guardate il controllo che fa nel gol che ha regalato una Bundesliga quasi insperata al Bayern Monaco, contro il Colonia a cinque minuti dalla fine: palla incollata al sinistro mentre ruota sul piede perno e si mette fronte alla porta, poi immediato tocco di destro per allungarsi la palla e preparare il tiro proprio di destro). Nella nostra newsletter per abbonati scrivevo che “in questa azione non si vede moltissimo del talento di Musiala, sembra piuttosto che siano il centrocampo e la difesa del Wolfsburg ad aprirsi per lasciarlo passare”. In realtà il talento di Musiala sta proprio in questa illusione che le cose si facciano da sole, che la vita gli stenda un tappeto rosso davanti e a lui tocco solo camminarci sopra senza inciampare.

Quasi due anni fa, quando Alfredo Giacobbe si innamorava di Musiala, sottolineava da una parte il paradosso di un giocatore che sembra sempre calmo e in equilibrio, anche in situazione caotiche, ma che quindici minuti prima della partita aveva “paura”, e dall’altra il fatto che a diciott’anni Musiala andasse ad allenarsi in un centro di neuroscienze per migliorare concentrazione, visione periferica, riflessi: ecco un giocatore che non sottovaluta l’importanza dei rimpalli. Ma cos’è, in fondo, se non l’aggiornamento di quella cosa che già diceva Cruyff sottolineando l’importanza del calcio di strada, degli spigoli dei marciapiedi, nell’allenare il talento tecnico?

La generazione di Musiala e Bellingham (e Foden e Haaland e chi più ne ha più ne metta) mostra nuove possibilità per i calciatori di talento, anche per quei talenti squisitamente tecnici che secondo le vecchie dicotomie sarebbero in contrasto con un calcio troppo atletico. Nel calcio dei rimpalli c’è posto per giocatori tecnici e sensibili, sta a noi saper leggere i loro movimenti, scomporli nel tentativo magari di capirne la complessità, per restituire quella grandezza che la nostra tradizione vede solo nei gesti puri, nell’eleganza borghese di un calcio che non c’è più e che, forse, non c’è mai stato.

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