La meravigliosa stagione di Josip Ilicic non poteva che essere coronata dall’elezione a nostro MVP stagionale. Lo sloveno raccoglie quindi il premio da Alisson Becker, da Dries Mertens, da Arturo Vidal, da Carlos Tevez.
Ilicic quest’anno ha battuto la concorrenza di Cristiano Ronaldo, Zapata e Quagliarella, mostrando una cifra stilistica unica, mai come quest’anno unita alla capacità di far svoltare risultato e spartito di una partita grazie a quella che per lunghi momenti è sembrata autentica onnipotenza.
A dispetto degli altri tre finalisti, soprattutto dei finalizzatori, Ilicic ha attirato la nostra attenzione per l’inaspettata costanza nell’arco dei novanta minuti, ok, ma soprattutto perché è stato capace di picchi di rendimento sbalorditivi. Di settimana in settimana guardavamo le partite dell’Atalanta chiedendoci se quello che avevamo di fronte non fosse uno dei migliori giocatori al mondo.
Una delle prestazioni più straripanti, dal punto di vista realizzativo, di questa stagione: gol a giro di sinistro da fuori area, doppio passo e siluro di destro a fil di palo, assist di precisione millimetrica sulla corsa di Hateboer.
Degli aspetti specifici della sua stagione abbiamo già scritto abbondantemente, premiandolo come MVP del mese di Aprile e prendendo atto della sua importanza nel sistema di Gasperini. Abbiamo insomma già scritto tanto di Ilicic. C’è però da dire ancora una cosa. A rendere ancora più straordinaria questa annata è anche il fatto che sia iniziata malissimo. A ridosso dei preliminari d’Europa League Ilicic è stato colpito da una misteriosa infezione batterica che lo ha tenuto lontano da campo e allenamenti fino a settembre inoltrato, consentendogli di entrare in condizione ottimale solo da ottobre. «Quando andai a trovarlo in ospedale e non rispondeva alle battute, mi preoccupai. Aveva un collo come un melone. Ci spaventammo tutti per quell’infezione» ha detto Gasperini.
La sua annata assume contorni quasi mistici, al pari di quella dell’Atalanta, diventando forse la migliore personificazione delle aspirazioni e delle potenzialità della squadra, ancor più della duttilità creativa di Gomez o della potenza di Zapata. Nelle giocate di Ilicic abbiamo visto vertici di ispirazione, genialità e onnipotenza non slegati dal contesto ma in qualche modo rappresentativi dell’ambizione dell’ambizione esagerata della squadra di Gasperini.
Buona parte delle prestazioni individuali di Ilicic, pur estrapolate dal contesto squadra, sono state intrinsecamente da Champions League. Da quella col Bologna a quella col Chievo, passando per la semifinale di andata di Coppa Italia con la Fiorentina o la stregata partita di ritorno con l’Empoli, lo sloveno ha marcato sempre uno scarto sempre più evidente col resto del campionato, tanto che un giornalista estero scrisse che Ilicic aveva trovato il matrix della Serie “Per fare quello che vuole in campo”.
Ilicic è stato decisivo non solo da titolare ma anche quando è dovuto partire dalla panchina, con cui pare avere un rapporto emotivo anomalo per un calciatore d’alto livello. Gasperini ha dichiarato che Ilicic è «L’unico contento di andare in panchina», e ha continuato «Prima di Sassuolo-Atalanta gli dissi che sarebbe entrato nella ripresa. Era felice come se gli avessi pagato una cena… Poi entrò e segnò 3 gol. Contro la Juve continuava a farmi segni per farsi sostituire. Io facevo finta di non vedere. Allora ci provò con Gritti: “Dì al mister che non ne ho più… Sono cotto...».
Il riposo è stata la precondizione per Ilicic, per rinnovare le proprie energie ed entrare per imprimere dei cambi di direzione nitidi alle partite, anche giocando la mezz’ora finale o poco più. Abbiamo due esempi eclatanti: la partita contro il Napoli al San Paolo, in cui è stato capace di cambiare i ritmi della manovra offensiva con i suoi dribbling ipnotici, e quella contro il Sassuolo.
Una partita in discesa, per l’Atalanta, ma non definitivamente chiusa. L’ingresso di Ilicic nel secondo tempo cambia l’inerzia, e nell’ultimo quarto d’ora, con l’aria del fuori quota tra i bambini più piccoli, mette dentro tre gol.
Insomma, è stata decisamente la stagione di Josip Ilicic. Quella in cui abbiamo scoperto, oltre a una inaspettata continuità, qualcosa in più sul suo carattere, il suo soprannome, nuovi apici di rendimento. Per anni ci siamo ripetuti che Ilicic non aveva mai espresso al massimo il proprio talento, e quest’anno lo abbiamo invece visto giocare a un livello a cui probabilmente nessuno di noi lo avrebbe immaginato. Non è certo un caso che la massima espressione del suo calcio abbia coinciso con la miglior stagione della storia dell’Atalanta.