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Quando il Napoli vinse la Coppa UEFA
18 apr 2019
Ricordo dell'inaspettata vittoria del 1989.
(articolo)
14 min
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La stagione 1987/88 era finita in malo modo a Napoli. Il primo maggio il verbo di Sacchi scese in campo al San Paolo contro le magie maradoniane, ma soprattutto contro un Napoli stanco o forse perso. Quel Milan era troppo anche per il dieci argentino e il pubblico napoletano seppe riconoscere la grandezza di quella squadra con un applauso a fine partita. Ma oltre a perdere lo scudetto, la squadra che solo un anno prima aveva fatto impazzire un’intera città, perse anche la faccia. Il 12 maggio, finito l’allenamento, a soli tre giorni dall’ultima partita contro la Sampdoria, Garella uscì in accappatoio e ciabatte e lesse un comunicato.

Erano poche righe scritte con la biro blu e diverse correzioni. La sintesi è nella frase: “La squadra è sempre stata unita e l’unico problema è il rapporto mai esistito con l’allenatore, soprattutto nei momenti in cui la squadra ne aveva bisogno”. Di Ottavio Bianchi si criticavano i modi spesso militareschi con cui cercava di tenere a bada uno spogliatoio davvero impossibile. Le sue sfuriate con Maradona erano epocali, ma dentro quel gruppo c’erano altri tipi poco sereni, come Carnevale, Giordano, Bagni. Già l’anno precedente, alla fine dell’ultima giornata contro l’Ascoli, dopo aver vinto lo scudetto, ad accogliere un Bianchi nervoso per una prova rilassata del Napoli partì il coro poco conciliante: “Te ne vai o no, te ne vai sì o no?”.

E pensare che quella stagione era iniziata nel migliore dei modi, quasi a confermare una mentalità vincente finalmente acquisita, e invece si arrivò al finale amarissimo dell’ammutinamento. Luciano Moggi, al suo primo anno a Napoli, dovette subito risolvere un problema non di poco conto, e provò a tenere insieme lo spogliatoio come meglio poteva, tappando buchi ovunque. Quella sconfitta contro il Milan, però, aprì la voragine.

In estate furono cacciati i quattro che si pensava o si decise fossero i sobillatori: Giordano, Garella, Ferrario, Bagni. Maradona dall’Argentina dichiarò: «Bianchi mi deve spiegare perché alcuni miei compagni sono stati liquidati», e il tecnico rispose: «A Maradona non devo spiegare nulla. E, poi, mi chiami signor Bianchi». Dopo un’estate di questo tipo, non si sa come, alla prima partita stagionale contro lo Spezia in Coppa Italia, Maradona c’era e il Napoli vinse 1-3 fuori casa.

Fu una stagione strana fin dall'inizio. L'inizio della Serie A era stata spostata addirittura al 9 ottobre, causa Olimpiadi di Seul. Inizialmente, quindi, il Napoli giocò solo in Coppa Italia e per questa competizione mai al San Paolo, chiuso provvisoriamente per ristrutturazioni e di cui si temeva la protesta dopo quello che era successo in quei mesi. Tutta la prima fase di Coppa Italia il Napoli la giocò quindi al Partenio di Avellino. Per queste ragioni, la prima gara davvero casalinga del Napoli fu l’esordio in Coppa UEFA contro il Paok Salonicco, il 7 settembre 1988.

Allo stadio quella sera si presentarono 60mila persone, nonostante il numero di abbonati fosse crollato di 11mila unità rispetto all’anno precedente e anche la nuova regolamentazione del traffico intorno al San Paolo, con pedonalizzazione obbligatoria, rendeva molto probabile il blocco totale della zona. Ma niente fermò i napoletani in crisi di astinenza da calcio (e soprattutto Maradona) da ormai quattro mesi.

Per studiare gli avversari, il vice allenatore del PAOK era stato spedito ad Avellino per vedere la partita contro il Bologna e si segnò il nome di Simone Giacchetta, in grande spolvero quella sera. Ma il giovane attaccante non giocò e bastò un gol di Maradona, su rigore. Già negli spogliatoi, però, il Napoli iniziò a preoccuparsi per il ritorno.

Giocare in Grecia negli anni ’80 era infatti un’esperienza molto più pericolosa di quanto non lo sia oggi. All'arrivo, con il Napoli ancora sull'aereo, un tifoso del PAOK iniziò a sventolare una bandiera bianca e nera sulla casamatta dell’aeroporto. Al controllo passaporto i tifosi divennero 50, per la maggior parte con i tamburi. I tifosi del Dikefalos tou vorra (Aquila bicefala del nord) erano particolarmente eccitati per il rendimento della loro squadra, perché la domenica precedente aveva vinto ad Atene contro l’Olympiacos. Al “Toumba” si riversarono in 45.000, sorvegliati da 1200 poliziotti, di cui 500 dei reparti speciali. All'entrata in campo del Napoli, i tifosi iniziarono a tirare in campo frutta, verdura in campo e persino delle gazzose (dopo averne svuotato il contenuto).

Ma nonostante questo la partita scivolò via senza grandi problemi. Careca per il gol del vantaggio trovò una coordinazione ancora oggi incomprensibile. Correndo riuscì a scoccare un missile colpendo la palla tra il piatto e il collo. La palla partì alzandosi di 5 centimetri dal prato e così terminò la corsa nella rete. I greci pareggiarono ma senza dimostrare quell'aggressività che tanto sembrava richiesta dagli spalti.

Prima del secondo turno contro il Lipsia, Silvio Berlusconi rubò la scena con un piccolo intrigo televisivo. Per Italia 1 acquistò i diritti di Partizan Belgrado-Roma e Stella Rossa-Milan sfruttando il fatto che la TV jugoslava non faceva parte dell’Eurovisione. In questo modo, potè vendere i diritti televisivi e pubblicitari al miglior offerente. Il miglior offerente era la Sport Trade, società di Franco Dal Cin, che poi le girò a Rete Italia, che curava le trasmissioni del gruppo Berlusconi. Prima di questo affronto alla Rai, l’ultimo attacco era stato per il magico (perché svoltosi durante le feste natalizie) Mundialito ’81, per il quale Fininvest cedette alla Rai le dirette dell’Italia, tenendosi le altre. Per mettere una pezza all'imbarazzo procurato alle reti pubbliche, dovette scomodarsi Gilberto Evangelisti, responsabile del pool sportivo della Rai, che andò a Milano 2 e salì ai piani alti della Fininvest per chiedere di condividere la diretta. Berlusconi alla fine, guadagnandoci qualcosina con i diritti pubblicitari all’interno della stadio, accontentò tutti dando le dirette alla Rai.

A distrarre ci fu anche un'altra notizia. Claudia tre giorni prima dell’andata a Lipsia fece l’ecografia e confermò: Maradona sarebbe stato papà per la seconda volta. Tutti, anche se non potevano dirlo ad alta voce, speravano che fosse maschio. Il nome c’era già: Ayrton. Intanto sul campo Diego dopo qualche problema fisico rientrò contro il Pescara e fu una grandinata di bellezza. Napoli-Pescara 8-2, nel 1988 fa parecchio effetto.

Quando il Napoli giocò nello stadio del Lipsia, il “Zentralstadion”, l'intera città sembrò non curarsi della partita, forse distratta dalle celebrazioni del 175esimo anniversario della sconfitta di Napoleone. E poi lo stadio non faceva più impressione come ad inizio degli anni ’60, quando lo “Stadion der Hunderttausend” (lo Stadio del Centomila) poteva ospitare fino a 120mila spettatori. Il Napoli potè schierare tutti, tranne Carnevale, squalificato, mentre il Lipsia puntava tutto su Kreer, che però si portava appresso un brutto presagio. Kreer infatti marcò Careca in un Brasile-DDR del 1986 dove segnarono sia il centravanti che Alemao. Quella sera, a Lipsia, però segnò Francini, dopo un fantastico triangolo fra Antonio e Maradona, e pareggiò Matthias Zimmerling.

Il ritorno fu routine per il Napoli che vince 2-0, con primo gol ancora di Francini, da quel momento chiamato “pipistrello” per i gol in notturna. La partita più che altro servì per fare scambio culturale con persone con cui era ancora difficile approcciare. Con il Lipsia arrivarono sei giornalisti che chiedevano solo delle cifre dei contratti dei giocatori, per piazzarle nei loro articoli indignati, mentre i napoletani restarono affascinati dalla bionda massaggiatrice della squadra. Ognuno ha la sua ossessione.

Quel turno, al di là del Napoli, fu pura follia. La Juve tornò al San Mamès di Bilbao, dove nella finale di Coppa UEFA vinta del 1977-78 era nata una squadra che voleva contare anche in Europa, e vinse 5-1, mentre la Roma perse 4-2 col Partizan. Durante quella partita un incendio devastò una palestra adiacente allo stadio costringendo l’arbitro a sospendere la partita per 15 minuti. Poco dopo, poi, un accendino d’acciaio colpì alla testa Giannini, uscito a braccia dal campo. I giallorossi fecero ricorso ma venne respinto. Al ritorno proprio Giannini segnò il 2-0 che qualificò la squadra di Liedholm.

Tre giorni prima degli ottavi di finale ci fu Juventus-Napoli. Al Comunale di Torino il risultato si fermò sul 3-5, dopo una delle partite più sorprendenti della lunga rivalità tra le due squadre.

Ora toccava al Bordeaux, una squadra di calcio da cui prendere esempio: i Girondini al tempo avevano già una radio privata, dei negozi, un centro sportivo e un ristorante. I calciatori più pericolosi erano Tigana, mediano di una mobilità mai vista prima, anima della Francia champagne, però in fase calante, mentre l’altro era Enzo Scifo, mezzapunta in prestito dall’Inter dove non tornerà mai più.

In campo tutto ruotò intorno alla sfida Maradona-Tigana, ma alla fine fu ancora l’argentino a prevalere. Il Napoli vinse grazie ad un diagonale di Carnevale, a Maradona venne invece annullato un gol pazzesco. Al ritorno, a Napoli, Thouvenel dopo due minuti diede una gomitata a Crippa e la partita in pratica finì lì, con uno 0-0 soporifero. Nel frattempo, la corsa avventurosa della Roma terminò sotto i colpi di Ulf Kirsten, mentre quel turno ebbe un’altra partita memorabile: il ritorno di Bayern Monaco-Inter che, dopo lo 0-2 dell’andata, finì 1-3. Nerazzurri quindi amaramente eliminati.

Dopo l’inverno rimasero solo due italiane in gioco in Coppa UEFA: Napoli e Juventus. L’andata a Torino fu gelida in ogni senso. Non solo perché il primo marzo al “Comunale” faceva freddo, ma anche perché le due squadre vissero pochi bollori. In campionato, i pareggi con Como per i bianconeri e Atalanta per gli azzurri fecero allontanare ancora di più l’Inter in campionato, con lo scudetto che iniziò a scivolare via per entrambe. Nello spogliatoio partenopeo lo strappo con Bianchi continuò a farsi sentire, mentre alla Juve si iniziò a capire che, togliendo alcune scintille di Rui Barros, gli stranieri erano più un peso che una risorsa.

Prima del match a rinfocolare l’atmosfera ci pensò Crippa, che dichiarò di voler togliere alla Juve la Coppa che con il Torino l’anno precedente aveva perso contro i bianconeri allo spareggio. Ma anche Giuliani, in una delle sue poche uscite pubbliche, in cui affermò di ricordare e provare ancora dolore per la sconfitta del Verona contro la Juve nella Coppa dei Campioni nel 1985. Il freddo sembrò congelare le idee, il Napoli letteralmente attese la fine dei 90 minuti, con Crippa unico effettivamente a provare a far male agli avversari, la Juve giocò seguendo uno Zavarov ispirato. Finirà 2-0, con gol di Bruno grazie ad un imprevedibile tiro da fuori area e l’autorete di Corradini su cross di Rui Barros. Maradona si vide solo per la maglia rosso carminio che indossava insieme agli altri.

Il ritorno. Se chiedi ad ogni napoletano dov’era quella sera, non solo lo ricordano alla perfezione, ma ti diranno tutti che erano allo stadio, cosa, al netto della folla straripante che si vedeva in TV, comunque improbabile. In maniera magistrale Brera parlò della partita come di una “lunga camminata sull’orlo del burrone” per entrambe le squadre. E fu proprio così, perché la Juve andò in vantaggio, se non fosse per una chiamata sbagliata dell'arbitro che annullò il gol a Laudrup. Poi il Napoli iniziò a fare quello che Bianchi voleva usare come extrema ratio: il pressing asfissiante. Alemao, Crippa e Carannante fecero una partita senza senso, fino al 119esimo. Diego giocò bene il primo tempo e rimase a fiato corto nel secondo, uscendo al 95esimo per Romano. Il gol della vittoria fu quindi tutto merito di Careca, che riuscì ancora a dare qualità sulla destra, crossando al bacio per Renica. Come sempre accade nelle condizioni di stanchezza ubriacante, vince chi ha l’uomo più lucido.

Il Napoli giunse così in semifinale proprio mentre stava per perdere ufficialmente il campionato contro l’Inter. Nel frattempo, quella che sarebbe stata la sua avversaria, il Bayern Monaco, aveva raggiunto in Bundesliga il ventunesimo risultato utile consecutivo (12 vittorie e 9 pareggi), stabilendo il nuovo primato d’imbattibilità. E il paradosso fu che quando il Napoli ancora non aveva messo in vendita i biglietti per l’andata, il Bayern Monaco li aveva già tutti venduti per il ritorno. Un grosso affare commerciale per la prima volta a Monaco di Baviera di Maradona.

La sfida fra le due squadre è sintetizzata dal duello Maradona-Augenthaler, con il primo a porsi a metafora dell'istinto geniale e il secondo della razionalità e dell'ordine. Heynckes prima della partita affermò che la sua squadra avrebbe giocato a zona, ma in realtà tutti sapevano che il 5 bavarese avrebbe preso il 10 napoletano a uomo. Anche per la marcatura asfissiante di Augenthaler, a decidere l’andata furono da una parte le parate di Giuliani, dall'altra le invenzione degli altri due membri del tridente napoletano, Careca e Carnevale. Quel tridente è ancora oggi un piccolo saggio da studiare. Maradona giocava fra le linee, ricevendo palla il più possibile fronte alla porta. Careca non giocava mai al centro e tagliava spesso da destra o sinistra, per portare gli avversari fuori dalla zona, mentre Carnevale era un centravanti molto fisico e aggressivo. L'andata finì 2-0, con due assist di Maradona per Careca e Carnevale.

Chi fra i napoletani era a Monaco al ritorno, continua a tramandare che quella partita non fu decisa da una giocata specifica, ma da una serie di palleggi. Prima del match, mentre il Napoli si stava riscaldando, nello stadio iniziò a diffondersi “Live is life” degli Opus. Forse avete già visto la scena che sto per descrivervi: Maradona iniziò a palleggiare quasi ballando, con una grazia che i tedeschi non avevano visto dai tempi di Marlene Dietrich.

Fu una specie di danza propiziatoria che mi piace pensare ebbe un effetto sullo stesso Bayern Monaco. Ad essere colpito più di tutti fu Norbert Nachtweih, terzino della Germania Est, scappato ad Ovest dopo una partita dell’Under 21 in Turchia, che fece due errori clamorosi nei due gol azzurri.

Non rimase che la finale, contro un’altra squadra tedesca, lo Stoccarda, meno forte del Bayern Monaco, ma con un paio di individualità molto interessanti. Il centravanti è fisico ma allo stesso tempo sempre in perpetuo movimento, Jürgen Klinsmann, che però all’andata non gioca. A centrocampo c’è uno jugoslavo fortissimo, cuore e cervello del Partizan prima di andare in Germania, Srecko Katanec. Infine c’è Maurizio Gaudino, figlio di un padre di Orta di Atella e una madre di Frattamaggiore. Quando arrivò all’aeroporto di Capodichino per l’andata i parenti gli portarono la pastiera (Pasqua era stata il 26 marzo) e i migliori capicolli che avevano in casa. Ad allenarli un vecchio mito dell’Orange cruyffiana, Arie Haan. Il giorno dell’andata La Repubblica fece un titolo stupendo: “Napoli in uno stadio”. Fu proprio quello che accadde.

Nei sogni dei tifosi napoletani questa partita doveva essere un finale di un film romantico in cui ci si rende conto che le cose stanno andando al loro posto, nel migliore dei modi possibili. Ma proprio il ragazzo di Orta di Atella, nato per caso a Brühl, nel Baden-Württemberg, sparò un tiro senza pretese da 30 metri, centrale e basso, che per qualche ragione Giuliani non riuscì a trattenere. A nessuno sembrò vero. Il primo tempo finì senza tante altre grandi emozioni.

In situazioni del genere, per fortuna del Napoli, Maradona aveva sempre preso in mano la situazione e ovviamente sto parlando anche al di fuori della metafora. All'inizio del secondo tempo il dieci argentino stoppò con la mano, senza che l’arbitro Germanakos se ne accorse, e la accomodò sulla mano di Schäfer. Rigore e pareggio, sempre di Maradona. La rimonta venne poi completata all’87’ da un altro controllo orientato di Maradona, questa volta regolare, che lo portò a servire al centro Careca nel solito movimento a tagliare verso l'area. Careca si trovò la palla leggermente dietro rispetto all’asse del busto ma fu favoloso nel controllarla lo stesso di suola, portarsela sul piede e tirare in porta.

A fine partita Haan, molto nervoso nel post-partita, dichiarò: «Vi ricordate il rigore concesso ai milanisti da Smith in Milan-Werder? Si disse che era stato abbagliato dal sole. Qui forse Germanakos è stato accecato dalle impalcature per i lavori allo stadio che sporgono verso il campo e creano degli strani giochi di luci e di ombre». E poi chiuse, con un minaccioso: «Al ritorno sarà tutto diverso».

A Stoccarda, dove si giocò il ritorno, comprarono il biglietto 25mila napoletani e non sembrò cambiare troppo rispetto al San Paolo. Le immagini della partita rimasero scolpite nella memoria di tutti i tifosi napoletani. Alemao segnò l’1-0 un tiro deviato che ubriaco entrò in porta, Ferrara fece invece l’1-2 con un tiro al volo su assist geniale di Maradona, che invece di far scendere il pallone sul piede, giocò con un tempo di anticipo, toccando al centro di testa. Careca fece l’1-3 con 40 di febbre. Poi De Napoli decise che il 3-3 era più onorevole, e fece un autogol e un assist per Schmäler.

Ma il Napoli aveva di fatto già vinto la sua prima coppa europea della storia. Accaddero delle cose memorabili: Bianchi sorrise per tutta la conferenza stampa e disse che in quel momento avrebbe voluto essere a Forcella. Maradona indossò la maglia di Gaudino, Careca forse per la prima volta non ballò per una vittoria e quasi svenne per la febbre. La coppa sparì perché Ferlaino la prese di nascosto e se la portò a casa con l’aereo privato.

Prevedibile fu invece l'immagine dei napoletani che fecero ammuina (cioè casino, in napoletano) tutta la notte e delle file all'alba fuori dalle edicole in attesa dell’arrivo dei giornali. Dopo quella notte di gioia, forse servivano le parole di altri per capire quell’emozione così intensa.

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