
«Oggi è stata una giornata molto faticosa, infatti mi sono fatto dare una tachipirina dal dottore, perché ho un mal di testa molto forte», commenta Antonio Conte ai microfoni di DAZN mentre si tocca la fronte come se in quel momento fosse preda di un’emicrania. Conte è uno degli allenatori che somatizzano di più tutto lo stress del proprio mestiere, e la partita contro il Milan, forse, è stata una delle più probanti per lui quest’anno. Non tanto per lo svolgimento, visto che la sua squadra a un certo punto è sembrata poter vincere col pilota automatico, quanto per il finale al cardiopalma, dove il Napoli ancora una volta stava per buttare alle ortiche i tre punti.
Anche la vigilia aveva visto il tecnico salentino arrovellarsi per trovare il modo giusto per schierare la sua squadra. Il Napoli, alla fine, è tornato al 4-3-3, la disposizione più congeniale per questa rosa, ma è stata una scelta tutt’altro che scontata, viste le condizioni di diversi elementi: McTominay indisponibile per l’influenza a poche ore dal fischio d’inizio e sostituito da Gilmour, Anguissa affaticato che, per bocca di Conte, neanche avrebbe dovuto giocare, così come David Neres, al ritorno da un lungo infortunio.
Poi, però, è iniziata la partita, e il Napoli ha mostrato una scioltezza che non si vedeva da parecchio tempo. Il Milan ci ha messo del suo per agevolare la vita agli azzurri, ma per due terzi di gara è sembrato di vedere i padroni di casa giocare a memoria: e quando una squadra di Conte riesce a brillare in tutto il suo fordismo, trovando certe tracce come se i giocatori fossero parte di una catena di montaggio, allora stiamo assistendo alla migliore versione possibile del suo calcio.
Certo, anche Conceiçao ha avuto i suoi problemi nel mettere insieme l’undici titolare: l’improvviso attacco di appendicite ha tolto Loftus-Cheek dai giochi, mentre Leão e Gimenez non erano al meglio dopo gli impegni con le Nazionali, per cui sono partiti dalla panchina.
I PROBLEMI DEL MILAN IN FASE DI PRESSING
La passività con cui il Milan ha affrontato la costruzione del Napoli, però, prescinde dal fatto che mancassero alcuni dei migliori elementi. Anzi, calcolando quanta viene messa in discussione l'intensità di Leao senza palla, forse poteva essere considerato paradossalmente un vantaggio. Eppure i rossoneri non avevano strumenti contro il palleggio di Conte, che alla fine si è rivelato la chiave principale della partita.
Del resto, dopo nemmeno un minuto al Napoli è bastato alzare Di Lorenzo un po’ più avanti rispetto a João Félix, l’uomo incaricato di coprire quella fascia, per aprirsi la strada verso la porta.
Sono passati 40 secondi quando il 4-2-3-1 del Milan (con Reijnders trequartista e Abraham punta) pressa il Napoli verso la propria destra. Gli azzurri costruiscono con i 4 difensori e i 3 centrocampisti, il Milan pressa con la punta, le 3 mezzepunte e i 2 mediani. Quindi in inferiorità numerica, dato che, come detto, João Felix, da ala sinistra, non si trova subito vicino al proprio terzino di riferimento, Di Lorenzo, ma parte un po’ più centrale per coprire inizialmente la linea di passaggio verso Zambo Anguissa. Di Lorenzo, allora, rimane libero e Buongiorno lo trova.

Con i 3 attaccanti del Napoli rimasti alti a fissare l’ultima linea del Milan, Di Lorenzo ha tutto lo spazio per preparare la giocata. Theo non ha il coraggio di lasciare Politano per alzarsi sul terzino, perciò Di Lorenzo può lanciare. Lì Pavlović combina un disastro: con Lukaku che si era avvicinato al lato palla tra le linee, invece di scappare all’indietro come il resto del reparto, il serbo decide di alzarsi su Lukaku. In questo modo Politano è libero di ricevere il lancio sul lato interno rispetto a Theo.

Politano deve solo rallentare e coprire la palla dal tardivo rientro di Pavlović, prima di calciare in porta da dentro l’area: il centrale serbo ancora una volta è costato un gol al Milan per la sua incapacità di capire quando andare sull’uomo e quando invece coprire lo spazio.
L’errore di Pavlović, comunque, è solo il culmine di un’azione in cui il pressing del Milan si è rivelato inadeguato già solo per l’incapacità di coprire Di Lorenzo, posizionatosi a metà tra João Felix e Theo.
Al quarto d’ora, la posizione del capitano crea lo stesso tipo di dubbio e quasi porta a un altro gol. Le distanze sono lunghe, João Felix non fa in tempo a rientrare e Theo non se la sente di uscire alto.
«Se vogliamo pressare un po’ più alto delle volte dietro, nella linea difensiva, dobbiamo rimanere uomo contro uomo. Non possiamo rimanere in superiorità numerica [dietro, nda] se andiamo a pressare davanti, sennò ci manca un giocatore da qualche parte», ha detto a proposito di questo Conceiçao a fine partita.
Il problema è che questo tipo di uscita non è stata l’unica a causare problemi al Milan. Per i rossoneri sembra esserci anche un problema di distanze, non solo di uomini impiegati nel pressing. Quando Theo ha trovato il coraggio di salire sull’uomo che si posizionava a metà tra lui e João Felix, la difesa faceva fatica ad accompagnare il resto dei compagni che pressava. Si creava pertanto un buco, che il Napoli riusciva a sfruttare con Lukaku: con una classica giocata del playbook di Conte, la palla circolava verso l’esterno e poi all’improvviso, di prima, tornava dentro dalla punta, in maniera anche sporca, per farla sua sfruttando l’ampio spazio che aveva per giocare spalle alla porta, visto che i mediani del Milan, saliti in pressione, erano lontani. La difesa del Milan non sapeva minimamente accompagnare chi pressava e, quando sarebbe stato comodo farlo, non ha saputo nemmeno sfruttare la linea di metà campo per mettere in fuorigioco gli uomini più avanzati del Napoli.
D'altra parte, come può sfruttare il fuorigioco una squadra in cui ogni difensore sembra ragionare per conto proprio? Così come nel primo gol l'iniziativa di Pavlović aveva mandato in porta Politano, sul secondo, partito da un recupero in avanti di Buongiorno, è Walker a ragionare in maniera diversa, e mentre i suoi compagni di reparto provano a mettere in fuorigioco Lukaku, lui corre all'indietro tenendo in gioco il belga.

È questo che ha fatto la differenza nella prima mezz’ora, quando il Napoli ha costruito la sua vittoria. In generale, poi, il fatto di costruire con un uomo in più ha consegnato il controllo del gioco in mano agli azzurri: le squadre di Conte possono giocare a occhi chiusi una volta individuata la superiorità in costruzione.
Come detto, il Milan pressava con 6 uomini e il Napoli costruiva con 7, coinvolgendo tutti e tre i centrocampisti. La situazione non è cambiata nemmeno nel secondo tempo, quando il Milan invece di pressare col 4-2-3-1 ha pressato con una sorta di 4-1-3-2, in cui uno dei mediani (Reijnders, che nel frattempo era stato abbassato) si alzava sulla linea dei trequartisti, mentre il trequartista di ruolo andava a pressare sulla stessa linea del centravanti. Il Napoli ha avuto la pazienza di girare palla e giocatori (i tre di centrocampo potevano ruotare e Di Lorenzo poteva entrare dentro al campo) fino a quando non trovava l’uomo in più tra quelli coinvolti nella costruzione.
Dal punto di vista del Milan, il fatto di pressare con un uomo in meno per rimanere in superiorità numerica dietro, unito all’incapacità della difesa di accompagnare e mantenere le distanze giuste, ha fatto sì che i rossoneri dovessero costantemente correre all’indietro.
IL FINALE DIFFICILE DEL NAPOLI
Ma, pur in una partita dominata sotto tutti gli aspetti, alla fine il Napoli ha mostrato qualche crepa. Non è stata la prima volta in cui gli azzurri, abbassandosi, hanno riportato in vita gli avversari. C’è la sensazione che delle volte la squadra di Conte riponga più fiducia del dovuto nella difesa bassa, come se sopravvalutasse la propria capacità di saper soffrire.
A un certo punto il Napoli non ha chiuso più le proprie azioni e il Milan è potuto ripartire, con gli azzurri costretti a ricompattarsi nella propria trequarti. Soprattutto, da un certo punto in poi i padroni di casa hanno smesso di costruire, Meret ha iniziato a lanciare lungo e il Milan si è preso il dominio territoriale.
Dev’essere stato questo a far scoppiare il mal di testa a Conte. Il fatto, però, di aver vinto contro un avversario insidioso come il Milan, a poche ore da una vittoria dell’Inter di quelle che facevano pensare che lo scudetto avesse preso la direzione di San Siro, con gol dei rincalzi e miracoli di Sommer, dice tutto della tenuta del Napoli.
Vincere non è mai garantito, per nessuno, nemmeno per un allenatore col pedigree di Conte. Il saper competere, però, quello sì, si deve pretendere se si sceglie uno come lui. Al di là di come andrà a finire, la vittoria di ieri è la dimostrazione di come il tecnico salentino ci sia riuscito anche quest’anno.