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Quando Napoli-Milan decise uno Scudetto
12 apr 2023
Abbiamo riguardato una delle partite simbolo della rivalità tra Milan e Napoli.
(articolo)
14 min
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«Diego buongiorno. Sei felicissimo!» esordisce così il giornalista, fermo col microfono in mano, e vestito con la giacca e cravatta d’ordinanza. Maradona invece indossa una maglietta bianca smanicata e sta sventolando sopra la testa quella che sembra una maglia del Napoli. «Felicissimo, sono ad una settimana da una finale del Mondo!», risponde l’argentino, «Senti questo stadio oggi così tranquillo, domani sarà un inferno, un Maracanà».

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La breve intervista è girata nella zona all’aperto dello Stadio che prenderà il suo nome. L’intervistatore gli chiede quanta gente si aspetta per il giorno dopo e Maradona, sempre col sorriso, dice una delle sue frasi, quelle che caricavano intere Nazioni: «Eh sì sì, centomila sicuramente. Io lo ripeto: non voglio una bandiera del Milan. Non voglio una sola bandiera del Milan. Voglio che sia tutto azzurro questo stadio domani». È sabato 30 aprile 1988, la vigilia di quella che è la madre di tutte le sfide Scudetto. A tre giornate dalla fine arriva in casa del Napoli primo in classifica il Milan che è solo un punto dietro.

La gara è così importante che la RAI pensa di mandarla in diretta televisiva, optando poi per solo il secondo tempo e solo in Campania. È una sfida che ha tutto: l’aspetto sociologico della sfida tra nord e sud è molto forte, ma c’è anche quello sportivo. In quel momento Napoli e Milan rappresentano due modi opposti di vedere il calcio: la migliore esponente dello storico calcio all’italiana, che può schierare il miglior giocatore al mondo, contro quella di un calcio nuovo, finanziato dai soldi di Silvio Berlusconi e tutto legato alla figura del suo allenatore.

Come ci arriva il Napoli

Il Napoli ha iniziato a perdere punti con la primavera. Viene dalla sconfitta con la Juventus e il pareggio di Verona, una partita che materializza le sensazioni di una squadra stanchissima fisicamente e che cammina sul filo di una crisi di nervi. Maradona si è sfogato ai microfoni dopo quella partita: «Perdendo abbiamo fatto felice l’Italia razzista». C’è anche la scaramanzia: il sangue di San Gennaro non si è sciolto e dopo la partita di Verona al Lotto è uscito il 90 sulla ruota di Milano. Se il numero 10 ha definito quella partita una finale del Mondiale, Careca non è da meno: «Questa non solo è la partita dell’anno, per me vale come una finale di Coppa del mondo. Mi avevano detto che il campionato italiano è difficile e bello, tutto vero: è bello perché è difficile. In Europa tutti i campionati sono già stati decisi con largo margine, in Italia no. Ma domani sì».

Il Napoli di Bianchi, nel gioco, è lo stesso della stagione dello Scudetto: c’è sempre la zona mista (quel mix di uomo e zona col libero che tanto successo ha nella Serie A dagli anni ‘70 da Trapattoni e Radice) e l’idea che Maradona debba avere totale libertà di muoversi sulla trequarti. In aggiunta, però, c’è Careca in attacco e quindi una maggiore pericolosità offensiva. Il brasiliano è un attaccante mobile e tecnico, perfetto per giocare sia vicino a Maradona che andare a ricevere in profondità, per evitare che tutto il gioco debba passare sull’argentino.

Ottavio Bianchi ha fiducia nella sua coppia d’attacco e tiene in panchina sia Giordano che Carnevale, solitamente la staffetta per completare il tridente in attacco, per coprirsi di più col difensore Bruscolotti. Gigi Riva, al commento per la Rai, dice che «Praticamente Bianchi rinuncia ad una punta fissa e schierando Bruscolotti al posto di Ferrario. Questo fa capire che al Napoli potrebbe anche star bene un risultato di parità». Bianchi da buon allenatore italiano schiera il suo Napoli in funzione dell’avversario: nel Milan il gioco passa dal centro per i piedi di Donadoni e allora Bruscolotti è stato rispolverato per marcare a uomo Donadoni in mezzo al campo. Con un giocatore offensivo in meno, sta a Salvatore Bagni giocare più avanti per fare da raccordo tra la squadra e la coppia Maradona-Careca. A lui infatti viene data la numero 9.

Come ci arriva il Milan

Il Milan invece è in una forma psicofisica perfetta: è imbattuto nel girone di ritorno, ha subito solo 11 reti in stagione, ha recuperato Marco van Basten al 100% e viene dalla vittoria nel derby di Milano, per Sacchi la migliore prestazione della stagione. L’allenatore aveva detto alla vigilia: «Non dobbiamo adattarci al loro gioco, non mi interessa neanche sapere che formazione metterà in campo Bianchi. Saremo noi stessi, con la nostra personalità, comunque vada». È questa, evidentemente, la grande differenza tra lui e gli altri 15 allenatori della Serie A: per Sacchi il suo Milan funziona solo se tutti si muovono insieme a tempo. Per farlo allora bisogna concentrarsi sul proprio gioco e non su quello dell’avversario. Racconterà dopo la partita di aver passato tutta la settimana a convincere i giocatori «fino alla nausea» a pensare a fare «il vostro gioco. Questo è l’antidoto migliore contro qualsiasi squadra».

Ci proverà Gianni Mura a spiegare questa filosofia calcistica aliena nell’Italia di fine anni ‘80: «Ho gli occhi per vedere come gioca il Milan, non all’italiana, ma questo non è un riferimento al modulo tattico, piuttosto all' impostazione mentale. Come se il fattore-campo non esistesse. Per Sacchi, semplicemente, l’avversario non esiste, non è da prendere in considerazione. Chi impone il suo gioco non ha da preoccuparsi di quello altrui, chi si diverte giocando diverte chi guarda, chi si diverte giocando non soffre lo stress, chi gioca meglio vince. Questi i pensieri di Sacchi sul calcio».

Per Sacchi è fondamentale la preparazione e la preparazione coinvolge tutti gli aspetti di una squadra, anche il dormire. Prima di partire per Napoli il Milan prenota tre alberghi diversi - due nel cuore della città, una a Sorrento - scegliendo solo all’ultimo il “Jolly” che mette a disposizione i piani dal 24esimo al 26esimo così da non sentire cosa succede in strada. Per evitare sorprese poi con la squadra c’è anche un cuoco e gli ingredienti necessari per sfamarsi durante tutta la trasferta.

Il Milan appena costruito da Sacchi è veramente percepito come rivoluzionario. Lo descrive così la Repubblica in quei giorni: «possesso della palla, velocità di esecuzione, sfruttamento di tutte le zone del campo, fuorigioco e pressing (cioè capacità di indurre l'avversario all'errore). Rispetto ai dettami della zona "classica" l’unica vera variante è costituita dal ritmo, altissimo e costante praticamente in tutti i 90’». Nell’articolo vengono evidenziate anche le funzioni che ogni giocatore svolge all’interno del 4-4-2, che ricorda poi in realtà più un 4-3-1-2 visto che Donadoni viene a giocare al centro della trequarti: «La mezza punta azzurra ha un compito tatticamente delicatissimo, dovendo dare respiro all’intera tre quarti, scambiandosi e triangolando con laterali e attaccanti. Davanti, finora, Virdis e Gullit, che possono di volta in volta puntare l' area o allargarsi per cercare il cross (soprattutto Gullit)».

Da notare come alla descrizione manchi Marco van Basten, questo perché per un brutto infortunio alla caviglia salterà gran parte della stagione, tornando solo a mezzo servizio nelle ultime partite. Dovrà aspettare la stagione successiva per prendersi il Milan, in questo momento infatti la stella della squadra è Ruud Gullit. Il Pallone d’Oro in carica e trascinatore del Milan durante tutta la stagione con i suoi 9 gol e 7 assist fino ad allora (chiuderà con 10 assist).

Giocare con una spada di Damocle sulla testa

All'inizio il protagonista dell’incontro è il San Paolo, lo spettacolo è solo sugli spalti mentre in campo è la tensione ad avere la meglio. Le due squadre sembrano annullarsi a vicenda, tra un Napoli che vuole rallentare l’azione e un Milan più verticale. La prima vera conclusione arriva solo al ventesimo ed è un’azione in solitaria di Bagni, che si conclude in un tiro fiacco di sinistro da fuori area, facilmente raccolto da Galli.

La vera differenza negli stili di gioco si vede dalla capacità del Milan di muoversi di reparto in modo proattivo, restringendo e allargando il campo di gioco come una fisarmonica. Il simbolo di questa orchestralità è il terzino sinistro Paolo Maldini, che ha 19 anni e ha appena esordito in Nazionale in un’amichevole di marzo contro la Jugoslavia. Se è Baresi a tenere la linea difensiva in pugno, è Maldini che correndo lungo la fascia sinistra alterna le dimensioni dello schieramento del Milan, riuscendo a tenere sempre costante l’ampiezza (come quando Donadoni si accentra) e stiracchiando quindi il sistema di marcature a uomo del Napoli. Il Milan ha più modi di sfruttare le marcature a uomo del Napoli a proprio vantaggio e si vede nel gol che sblocca la gara.

L’azione nasce da una palla recuperata in pressione dal Milan al limite della propria area. Da lì basta un passaggio veloce per Ancelotti, che si trova libero di marcatura e quindi può fare trenta metri palla al piede fino a che non viene steso da Renica sulla trequarti. I due attaccanti Gullit e Virdis avevano seguito l’azione e si erano allargati proprio per creare spazio per la conduzione dell’allievo prediletto di Sacchi, che non se l’è fatta scappare. Sulla successiva punizione, il tiro teso di Evani viene sporcato dalla barriera arrivando preciso sulla corsa Virdis, che arriva prima di Ferrara e di sinistro batte Garella.

Il gol sblocca mentalmente il Milan che si sente più sicuro, ma il vantaggio dura meno di dieci minuti perché Maradona riesce a sfruttare questa spinta a suo favore. Sono in cinque i rossoneri che gli vanno addosso al limite dell’area di rigore per recuperare il pallone, l’argentino però tenta un sombrero per superare il gruppone e guadagna una punizione per un fallo di mano da posizione interessante. Ovviamente la tira lui e ovviamente il pallone si infila all’incrocio del palo sinistro. «Secondo me Maradona è stato il miglior calciatore di sempre», scriverà Gullit nel libro Non guardare la palla: Che cos'è (davvero) il calcio, «era il pacchetto completo, il giocatore che capiva tutto di tattica, tecnica, visione di gioco, tutto quanto».

Sta per finire il primo tempo e il numero 10 ha rimesso in piedi la partita riportando il Napoli negli spogliatoi da primo in classifica. È stato un primo tempo complicato per lui, non è riuscito veramente mai a trovare i compagni per la conclusione. Maradona si vede stanco e logoro, come ogni volta in questo momento della stagione, visto che per lui ogni partita è prima di tutto una guerra contro i difensori avversari. Eppure ha rimesso la partita in parità. Questo sarà l’ultimo lampo della sua stagione, il quindicesimo gol, che gli varrà il titolo di capocannoniere (curiosamente secondo in classifica chiuderà Careca con 13). Dirà Sacchi anni dopo: «Giocare contro Maradona era la cosa più difficile che potesse capitare, perché era come giocare contro il tempo: tu sapevi che se non segnavi velocemente, poi avrebbe segnato lui e quindi era come giocare con una spada di Damocle sopra la testa».

La mossa di Sacchi

Sacchi negli spogliatoi decide che è arrivato il momento di fare sul serio e inserisce van Basten per Donadoni. Gullit viene arretrato dietro le due punte e il Milan diventa a trazione anteriore. Una mossa che è un messaggio alla squadra: l’unico modo per uscire con i 2 punti (e lo Scudetto) dal San Paolo è attaccare. Il messaggio recepito benissimo da Baresi, che per dare una scossa alla squadra decide appena iniziato il secondo tempo di provare una delle sue sortite offensive, sfiorando il palo con un tiro da fuori.

Capito l’andazzo Bianchi decide a sua volta di cambiare, mette in campo Bruno Giordano per Salvatore Bagni, abbassando Maradona sulla trequarti, così da rimanere a specchio con il centrocampo del Milan. Il problema è che intanto Maradona si è infortunato, ma non viene (o non vuole essere) sostituito, anche zoppicando rimarrà in campo fino alla fine. Il Napoli ha una punta in più ma perde di fatto il modo per servirla al meglio.

Nel Milan, invece, aver arretrato Gullit è stata la scelta giusta. Il numero 10 rossonero, che alla vigilia era stato presentato come l’unico avversario all’altezza di Maradona, si prende il palcoscenico. Nella nuova posizione è più libero di muoversi, il che lo rende immarcabile per la zona mista del Napoli. Gullit può ricevere sull’esterno e puntare l’avversario diretto, che batte sempre perché è più veloce e soprattutto più tecnico, e arrivare sul fondo. Era stato lo stesso giocatore prima della partita a ribadire come quella di rifinitore fosse la sua posizione: «Il mio posto sul campo è qui, dietro le punte, è qui che gioco con la nazionale. L' infortunio di Van Basten ha costretto Arrigo a spostarmi qui, in linea con Virdis. Ora, se tutto va bene e Marco parte dal primo minuto, io posso tornare a stare un po' più dietro. Perchè per me lanciare non è un problema, basta che quando ho la palla qualcuno si metta a correre». Proprio quello che succede al 68esimo, e che riporta avanti il Milan.

Gullit trova l’azione giusta al momento giusto, ma dall’altra parte del cross, a mettere la palla in rete c’è l’altro protagonista della partita, Virdis. Più sopportato che amato dai tifosi, che lo definiscono testardo, egoista, pigro, è uno di quegli attaccanti che vive per i palloni vaganti in area di rigore e che contro il Napoli massimizza il suo modo di giocare: due palloni vaganti in area di rigore, due gol.

Il raddoppio di Virdis ammutolisce lo stadio e il Napoli prova a rientrare in partita coi lanci lunghi. Passano però solo pochi minuti che il Milan trova il terzo gol. Il Napoli è sbilanciato, dopo un’azione finita con un tiro di Maradona parato da Galli. Il portiere è rapidissimo a rilanciare verso un compagno che l’allunga per Gullit che a quel punto può mangiarsi il campo in conduzione, leggero e potente come era lui. Con un tocco in avanti, e cambiando marcia in corsa, lascia sul posto il povero Bigliardi che accanto a l’olandese sembra una statua. Entrato in area di rigore, l’assist per van Basten è un gioco da ragazzi, il gol ancora di più.

«Aveva una potenza fisica straordinaria, un grande carisma e per i compagni era un vero trascinatore. Quando partiva lui, con la criniera al vento, era come se squillasse la tromba dell’assalto». Scriverà Sacchi nella sua autobiografia “Calcio Totale” per provare a mettere a parole l’impatto di Gullit per quel Milan agli inizi del ciclo. Mentre del rapporto in campo con van Basten aveva parlato Gullit prima della partita, preconizzando quello che sarebbe successo poi nel gol: «Con Marco ci troviamo ad occhi chiusi. Quando ho la palla non ho neanche bisogno di alzare gli occhi per sapere che lui è là, pronto a filar via prima ancora che abbia calciato. E' una questione di affiatamento e anche di ritmo. Siamo cresciuti alla stessa scuola calcistica.»

Sembra tutto finito ma due minuti dopo arriva il gol di Careca, che di testa vince il duello sul secondo palo con Maldini. Lo stadio esulta, il Napoli si sbriga a tornare a centrocampo, i tifosi iniziano a fischiare ogni passaggio del Milan per provare a intimorire i rossoneri, ma col passare dei minuti tutti si accorgono che il Napoli non ne ha più. La manovra è velleitaria perché Maradona è ormai fermo sul posto. Consapevoli di essere stati battuti da una squadra più forte, alcuni tifosi del Napoli si fermano ad applaudire i giocatori del Milan che festeggiano in campo dopo il fischio finale. Una scena che viene proprio da un’altra epoca.

Il Napoli non sarebbe ancora battuto, mancano ancora due giornate alla fine del campionato, ma si capisce che la sconfitta ha chiuso i giochi. Appena uscito dal campo Garella scuote la testa è dice che «Non c’è più niente da fare, credo che questa squadra non possa più perdere punti». Senza Maradona e stremata, il Napoli non riuscirà in ogni caso neanche contro Fiorentina e Sampdoria, lasciando lo Scudetto al Milan, a cui basta pareggiare contro Juventus e Como.

Questa sconfitta sarà una delusione così grande che per Napoli inizierà a girare la storia che dietro ci sia Camorra, troppo esposta nelle scommesse in caso di vittoria del Napoli. Una storia presa talmente sul serio da portare a indagini della magistratura, che però stabiliranno non esserci nulla di concreto.

Per il Milan sarà il primo titolo dopo dieci anni. In estate arriverà Rijkaard e tornerà a pieno regime van Basten e si avrà la forma definitiva della squadra di Sacchi, quella che tutti ricordiamo per i due successi consecutivi nella Coppa dei Campioni, ma che paradossalmente non vincerà più lo Scudetto (vinceranno nelle tre stagioni successive Inter, Napoli e Sampdoria).

Dopo la vittoria con il Napoli, per la prima volta Sacchi non passerà il lunedì al bar “Repubblica” di Fusignano. Un rituale che in quella stagione era diventato un modo per allentare la tensione che per lui era altissima. Con questo 2 a 3, Sacchi vede finalmente riconosciuta la bontà della sua rivoluzione: «A fine partita, siamo usciti fra gli applausi: questo dimostra che il pubblico è molto più bravo e competente di quanto noi non lo consideriamo».

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