James Rodriguez: uno dei talenti più puri degli ultimi anni
di Daniele Manusia
Era il 2014 quando il grandissimo pubblico, quello a cui non si può nascondere niente, ha scoperto James Rodriguez. Qualcuno lo aveva già visto nel Porto, qualcun altro si era accorto di lui nel Monaco di Ranieri, che da neopromosso ma con un presidente che poteva permettersi di spendere 160 milioni sul mercato estivo (prima che l’ex moglie togliesse a Rybolovlev il gusto per i giocatori costosi) era arrivato secondo dietro al PSG. Tutti gli altri hanno conosciuto James nel Mondiale brasiliano per più di una ragione:
1) La Colombia era una delle squadre più fiche della competizione e lui ha segnato in tutte le partite, finendo capocannoniere con 6 gol.
2) È stato il migliore in campo 3 volte, compreso l’ottavo di finale con l’Uruguay in cui ha segnato 2 gol.
3) A un certo punto della partita con il Brasile (quarti di finale, persi 2-1) un insetto gigante si è posato sulla sua spalla e lì è rimasto, per un po’.
4) A fine partita David Luiz ha provato a rubargli il talento consolandolo e indicandolo al mondo intero come se il mondo intero stesse aspettando proprio lui, David Luiz, per accorgersi di un fenomeno come James, ottenendo l’effetto opposto di farsi odiare anche da quei pochi che prima non lo odiavano.
5) La ragione più importante, però, per cui tutti, ma proprio tutti, hanno imparato a pronunciare bene James (Hames) come se non fosse un americano qualsiasi, è che il suo piede sinistro è semplicemente uno dei migliori al mondo e di questo, prima o poi, se ne sarebbe accorto anche uno che di partite di calcio ne ha viste quattro in tutta la sua vita.
Se avete alzato le sopracciglia perché voi James lo conoscevate benissimo già da molto prima, sappiate che non siete chissà quali scopritori di talento. James è uno di quei fenomeni culturali da subito autoevidenti: se vi vantate di esservi accorti di lui dopo che aveva vinto il Torneo di Tolone nel 2011 allora siete come quelli che dicono di aver “scoperto” Britney Spears dopo che aveva già fatto un video che girava su MTV.
Long story short: dopo che lo ha comprato il Real Madrid per 80 milioni, dandogli la 10 di Mesut Ozil, e dopo essersi rotto il piede destro e strappato una coscia, James perde tempo di gioco e finisce ai margini delle gerarchie di Zidane. Da un delcino prematuro e ingiusto lo salva Ancelotti che lo porta al Bayern: oggi James si è felicemente riconvertito in una delle mezzali più tecniche al mondo.
James Rodriguez è - e sempre sarà - uno dei pochissimi giocatori che merita di essere guardato indipendentemente dalla partita e dal risultato, ma solo per come si muove, per come tocca la palla.
Adesso ha segnato un gol assurdo contro gli USA, in amichevole, un tiro a giro in cui la palla, dopo che l’ha colpita, si trasforma in una lanterna cinese e galleggia fino all’incrocio dei pali opposto a quello di Zack Steffen, portiere americano.
Per questo tiro e per James è ancora incredibilmente attuale la descrizione che fece Valentino Tola quattro anni fa:
«Il linguaggio del corpo di James è quello del giocatore di classe vecchio stampo, o meglio, del giocatore di classe di sempre, non adulterato da palloni velocissimi che cambiano direzione mille volte e diavolerie varie. Guardate come calcia le punizioni dalla trequarti destra, sempre perfette: non si limita a contare sul fatto che la traiettoria sia sufficientemente tesa e veloce in una zona nella quale crea sempre problemi (lo spazio fra il portiere avversario indeciso se uscire e i suoi difensori), ma il suo sinistro accompagna la palla che plana esattamente verso il destino immaginato.
O guardate anche il rigore contro il Brasile: non si limita a scegliere un angolo e poi contare sul fatto che il tiro sia sufficientemente forte da non dare il tempo al portiere per arrivarci. No, James sceglie un angolo e lì la piazza: a un giocatore di classe vecchio stampo bastano finta di corpo e tocco per ottenere il risultato desiderato. Quanti giocatori oggi non si limitano a colpire, ma piazzano e fanno planare la palla?».
Il talentificio messicano non chiude mai
Nell’attesa che il “Tata” Martino decida se succedere a Osorio sulla panchina messicana, il “Tuca” Ferretti, allenatore ad interim, sta interpretando il suo presente come quello del capomacchinista che arriva in fabbrica fischiettando, e sentendosi molto creativo sceglie di introdurre in catena di montaggio, ad ogni amichevole, nuovi prototipi di talento.
Contro Costa Rica ha schierato cinque under-23: uno di loro, Victor Guzmán, ha segnato questo goal, che probabilmente finirà nei Best Goals Skills & Assists del suo video di presentazione su YouTube di una squadra X di Eredivisie già a Gennaio.
Olanda-Germania, De Jong tutto bene grazie
di Daniele V. Morrone
La vittoria per 3-0 contro la Germania può essere considerato il segnale che la direzione intrapresa da Koeman per rilanciare l’Olanda sia quella giusta: per la prima volta da anni, in una partita tra i due eterni rivali, gli arancioni sono sembrati la squadra con maggiore talento in campo. O forse è la squadra che meglio ha saputo cosa fare e come farlo, partendo dal triangolo di impostazione formato tra i piedi sicuri di Van Dijk e De Ligt alla base e De Jong come vertice alto. Nel primo tempo la Germania è stata incapace di recuperare in alto il pallone contro questo triangolo, che è la vera chiave di volta del sistema di Koeman. Un sistema che si scagliona in campo come un 4-2-3-1, in cui De Jong è il giocatore deputato a pulire l’uscita del pallone. La nuova Olanda ha in De Jong un giocatore unico nel panorama mondiale e vuole sfruttarlo al massimo, lasciandogli libertà di fare quello che sa fare meglio.
Il suo controllo tecnico sulla partita ha messo in imbarazzo una Germania che non ha saputo approcciarsi a questo giocatore tanto peculiare, finendo per provare a fermarlo con il fallo pur di non fargli fare la giocata. De Jong però è difficile da fermare. Contro la Germania abbiamo visto tutto il suo repertorio e capito cosa gli chiede Koeman: di muoversi incontro ai due centrali quando gli avversari pressano, o ricevere e giocare di prima, o di partire in conduzione per attirare l’avversario e creare spazio tra le maglie avversarie. Lo può creare con i filtranti taglia linee, o grazie alla sua capacità di resistere alla pressione orientando il corpo o spontaneo il pallone poco prima dell’arrivo dell’avversario. Quella contro la Germania è stata forse la prima grande partita di De Jong con la maglia della Nazionale, probabilmente non l'ultima.
Tre cose significative di Spagna-Inghilterra
di Emanuele Atturo
A fine partita Luis Enrique ha dichiarato che dopo un primo tempo giocato in quel modo ci sarebbe stato da uccidere qualcuno. El Mundo ha scritto che la Spagna non rimediava una sconfitta così drammatica dall’Inghilterra dal XVI secolo. La vittoria dell’Inghilterra per 3 a 2 - ma che era un rotondo 3 a 0 alla fine del primo tempo - ha avuto un significato più profondo del previsto, visto che stiamo comunque parlando di una partita di Nations League.
Le due squadre si erano già affrontate un mese fa a Wembley: aveva vinto la Spagna per 2 a 1 in rimonta ma erano formazioni diverse, in particolare l’Inghilterra, che giocava ancora col 3-5-2 dei Mondiali e non era ancora passata al 4-3-3. Era un test molto importante per entrambe, accomunate da diversi cambiamenti radicali negli ultimi mesi ma che vivevano un momento molto diverso. Se l’Inghilterra stava cercando nuove soluzioni tattiche in un ciclo di continuità ed entusiasmo, la Spagna doveva ricostruire le proprie certezze attorno a un tecnico, Luis Enrique, molto distante da tutti quelli che lo hanno preceduto: una squadra diretta e aggressiva, che non mira più al dominio del campo attraverso il possesso.
L’Inghilterra però gli ha messo davanti il contesto tattico meno congeniale: dopo essere andata in vantaggio si è difesa con un baricentro medio-basso, ha lasciato volentieri il pallone agli spagnoli, che senza una struttura posizionale efficace hanno faticato a costruire occasioni pericolose. I numeri della partita ricostruiscono il dominio effimero della Spagna: 73% di possesso palla, 24 tiri a 5, e anche una superiorità negli Expected Goals (1,79 a 1,52), accumulata però soprattutto nel finale di partita. L’Inghilterra, schierata su un 4-3-3, si è trovata a proprio agio ad attaccare nel modo più diretto possibile, ad esercitare un pressing a folate che ha messo in difficoltà la Spagna e a sfruttare le abilità dei propri giocatori offensivi negli spazi. Abbiamo raccolto 3 punti interessanti sulla partita.
1. L’abilità di Jordan Pickford con i piedi
Inghilterra-Spagna è stata una battaglia tra pressing e uscita dal pressing: un canovaccio tattico ormai tradizionale nella contemporaneità calcistica. Nell’uscire dalla pressione spagnola l’Inghilterra ha potuto sfruttare anche le abilità tecniche del proprio portiere. Già nei Mondiali russi Pickford si era segnalato per la lucidità nelle scelte di distribuzione del pallone, ma anche per una sensibilità nel piede sinistro per niente banale. Ieri i primi due gol dell’Inghilterra sono nati dalla sua ambizione e dalla qualità tecnica del suo calcio. Se nel secondo gol è contata soprattutto la capacità di Kane di proteggere un pallone che cadeva dalla terrazza di un grattacielo, nel primo il passaggio di Pickford è notevole e va guardato immaginando nella propria testa le sue dichiarazioni un mese e mezzo fa: «Non mi prenderò rischi come portiere dell’Inghilterra».
L’azione, a dire il vero, è tutta ben congeniata ed è un buon quadretto allegorico sull’intera partita. Dier si abbassa fra i centrali per aiutare l’uscita palla, la Spagna pressa in alto in parità numerica. Dier si appoggia su Pickford che, pressato da Rodrigo, rinvia. Sembra una palla a casaccio, ma taglia tutto il centro del campo, passa sopra la testa di due giocatori e trova Kane che si era abbassato ed è completamente solo. La Spagna a quel punto mette in mostra tutti i problemi in transizione difensiva che aveva patito anche al Mondiale. Non ci sono marcature preventive, la squadra è spezzata in due; quando Kane si gira verso la porta la difesa scappa all’indietro e deve contenere due giocatori pericolosi come Rashford e Sterling. Kane allarga su Rashford, che poi ha una grande intuizione servendo Sterling, che conclude con una freddezza sotto porta per lui inconsueta. Ma la Spagna non ha opposto nessuna resistenza.
2. La grande prestazione di Kane
Lo spessore della partita di Kane è stato sotto gli occhi di tutti. AS ha titolato che “Kane ha distrutto la nostra difesa” e Marca ha scritto che “Kane ha messo in ginocchio la Spagna”. Un riconoscimento significativo per un centravanti che comunque ha segnato zero gol in una partita in cui la sua squadra ne ha fatti tre. Probabilmente però il nostro gusto calcistico, anche a livello mainstream si sta raffinando, o è semplicemente impossibile non apprezzare il lavoro da rifinitore di Harry Kane quando si smarca tra le linee, protegge palla, allarga il gioco, rifinisce in verticale. La sua sensibilità tecnica e tattica è praticamente sconfinata. Nel gol di Rashford, ad esempio, riesce a difendere un rinvio di Pickford che cadeva altissimo, ha attirato tre giocatori della Spagna mentre con la coda dell’occhio vedeva il compagno lanciarsi in area di rigore, e lo ha poi innescato in verticale con i tempi perfetti.
Nel secondo gol ha telecomandato il passaggio al compagno mentre si inseriva in area e poi ha avuto la freddezza per non tirare e servire Sterling al centro dell’area. Ma la partita di Kane si è composta anche di cose più piccole. Ha messo insieme 5 duelli aerei vinti, un gran numero di palloni difese spalle alla porta e, oltre ai due assist, altri due passaggi chiave. Siamo di fronte al miglior centravanti al mondo.
3. Il tackle di Dier su Sergio Ramos
Un secolo e mezzo di tradizione calcistica inglese può essere efficacemente riassunta da questo tackle, forse il più bel tackle inutile della storia. Come sappiamo, in Inghilterra esiste tutta un’estetica del tackle, che ha portato Guardiola a dire che allo stadio in Premier si applaude un tackle più di un dribbling: il tackle è il gesto tecnico che incorpora la mentalità fisica, intensa, virile, rude che è alla base della nascita del calcio inglese. Un tackle privato della sua utilità è simile a un dribbling privato della sua utilità, quella che a Roma si definisce “busta” o in Toscana “sciacquo”: servono entrambi a mandare un messaggio esterno al proprio avversario diretto.
Qui Dier quel messaggio lo vuole recapitare al capitano della Spagna, una delle persone più odiate del pianeta. Ramos in quel momento stava esercitando il proprio tradizionale dominio tecnico sul pallone in uscita. Dier parte da abbastanza lontano per cacciare quel pallone, entra durissimo ma in qualche modo pulito, facendo schizzare la palla sui cartelloni pubblicitario. Non entra cercando di contenere la propria entrata, anche solo allo scopo di mantenere un controllo sulla palla: entra proprio per buttare la palla fuori. Poi si rialza, dopo che l’arbitro ha fischiato fallo e dice “che cosa ho fatto?!”. Forse uno sguardo truce, a terra, mantenendo tutto il sottotesto a galleggiare a mezzaria, sarebbe stato più appropriato, ma Dier è pur sempre una persona che ama gli scacchi.
Ah, poi c’è il momento niente male di Paco Alcácer
Continua la sfida a distanza per capire quale sia il Re Mida del calcio Europeo tra Paco Alcácer e Krzysztof Piątek. Con il gol contro l’Inghilterra si porta in vantaggio Paco, che adesso è a 10 gol nelle ultime 6 partite giocate. O meglio 10 gol negli ultimi 278 minuti giocati, quindi 1 gol ogni 28 minuti. O anche 10 gol con gli ultimi 10 tiri.
Non c’è niente che non vada con Mo Salah, a quanto pare
di Fabrizio Gabrielli
«È come andare in bicicletta. Non è che ti svegli la mattina e non sai più segnare, così come non si disimpara ad andare in bicicletta». Jurgen Klopp, dopo l’ultima partita di Mo Salah prima della sosta delle Nazionali, quella contro il Chelsea, è stato assolutorio, per qualcuno forse fin troppo rispetto alla prestazione decisamente opaca dell’egiziano. La prima parte di questa stagione, diciamo pure l’intero periodo dopo la finale di Champions, Mondiali inclusi, ci ha restituito un Salah lontano dall’idea che ci eravamo costruiti intorno alla sua immagine, un’idea di onnipotenza che il Puskas Award vinto di recente ci ha in qualche modo riportato alla memoria.
È stato un bluff, allora, Salah? Nonostante non si sia (ancora?) appalesato in questa stagione con le fattezze dell’entità aliena che l’anno scorso sembrava esserci atterrata nel deserto dietro casa per dialogare con le musiche e i colori, è pur sempre sul podio della Premier League per tiri in porta, tiri da dentro l’area e tocchi di palla dentro l’area avversaria. Le sue ceneri non sono per niente bagnate.
Contro il Regno di eSwatini, che è il bellissimo e nuovissimo nome dello Swaziland, ha segnato un gol olimpico che ci ha riempito per qualche ora la timeline di Twitter.
Il rapporto di Salah con l’Egitto non è per niente banale: Mo è l’anima pulsante della sua Nazionale, l’entità di fronte alla quale tutti, compagni e avversari, si tolgono il cappello di paglia e abbassano la testa, aspettando il momento in cui Lui ti sfiori i capelli con un gesto conciliatorio, prima di rialzarsi.
Si potrebbe quasi dire che l’Egitto, per Salah, sia un moltiplicatore di sforzi, e al tempo stesso un rifugio. Il fine e il mezzo. Tutta la scorsa stagione sembrava, a un certo punto, la famelica rincorsa a un Mondiale da giocarsi con l’investitura della Storia. È andata come è andata, ma a gennaio c’è da riprendersi la Coppa d’Africa.
Il fatto che Mo, quel capolavoro di gol, l’avesse provato anche il giorno prima in allenamento, quasi con lo stesso esito, ci sussurra che non c’è niente che non vada. Non è come andare in bicicletta. Forse è più come provare a segnare un Olimpico.
L’inarrestabile marcia della corazzata Georgia
Dopo quattro partite di Nations League, la Georgia è una delle quattro squadre (insieme a Bosnia, Ucraina e Finlandia) a punteggio pieno: zero gol subiti e nove segnati, l’ultimo dei quali questo piccolo capolavoro collettivo che lancia in porta, con tre tocchi di prima, Chakvetadze (<3). Casomai non aveste ancora deciso per chi tifare ai playoff per un posto a Euro 2020, insomma.
A proposito di marce inarrestabili, ci sarebbe anche il Kosovo.
Che ancora imbattuto ha pareggiato con le Far Oer grazie a questo grandissimo tiro dalla distanza di Rashica.
Patrick Schick, lo scandalo continua
di Daniele Manusia
Lo avevamo detto la volta scorsa, non possiamo che ripeterlo: è inaccettabile che il Signor Schick Patrick, centravanti triste di riserva della AS Roma, si permetta di entrare in campo al 73’ di un’amichevole e appena tre minuti dopo segni il gol del 2-1 definitivo. Per di più anticipando di testa su angolo Milan Skriniar, uno dei difensori migliori del campionato italiano, uno che in quanto ad energia interiore sembra l’opposto di Schick.
Ricordiamo anche che tra la partita con l’Ucraina e questa con la Repubblica Ceca non ha fatto niente di memorabile con la maglia della Roma, negli scampoli di partita giocati con Real Madrid e Viktoria Plezen, e neanche nei 90’ giocati contro il Frosinone. È semplicemente inaccettabile che a Roma, una città famosa per tirare fuori il meglio dalle persone che la abitano, città sensibile e paziente, popolata da persone di cuore che se possono darti una mano quando sei in difficoltà sono disposti a perdere la giornata intera pur di farlo, Roma fondata sull’amore fraterno e la solidarietà, sull’ascolto e la comprensione, sulla misura e sull’accettazione, sulla calma e sulla riflessione - è inaccettabile, dicevo, che proprio in una città del genere Patrick Schick non riesca ad esprimersi. A questo punto viene da pensare che quella di Schick sia una forma di protesta. “Guardate”, ci sta dicendo Schick quando con la maglia della Roma non fa niente, ciondolando con l’aria che ha Bojack Horseman nelle puntate centrali di ogni stagione in cui pensa di aver toccato il fondo, «Guardate, dov’è finito il mio talento? È sparito. E sapete perché? Per colpa vostra. Per colpa di Roma».
Back-to-back on the Rock
di Fabrizio Gabrielli
Il ciambellano delle federcalcio armena deve aver malinteso: quando si è sentito dire «stasera giochiamo contro i freak», cioè Gibilterra, deve aver capito «i Frick», ed è per questo che prima di Armenia-Gibilterra nello Stadio Repubblicano di Yeravan è risuonato l’inno del Principato, anziché quello del territorio d’Oltremare britannico.
Si sa che le migliori risposte, coerentemente a quel tipo di narrazione minore e piena di retorica che accomuna tutte le cenerentole, arrivano sempre dal campo: grazie a una manciata di parate strepitose di Kyle Goldwin (nomen omen) e un gol di Chipolina (sotto il quale qualcuno dovrebbe pur montare il tema di Titanic), il team della Rocca ha conquistato i primi storici tre punti, bissati qualche giorno dopo, in casa, contro Liechtenstein, sempre con un gol di Chipolina (serio concorrente di Piatek e Alcacer, almeno in Nations League).
Nessuna distrazione, a quanto ci risulta, nell’esecuzione degli inni.
La migliore esultanza di questa finestra FIFA (e forse dell’anno)
Tutta merito di Pfumbidzai dello Zimbabwe, costretto a uno sforzo extra per sopperire all’assenza di un nome figo (in squadra con lui ci sono uno Knowledge, un Divine, un Teenage e un Marvelous), visto che si chiama, banalmente, Ronald.
Mbappé segna anche quando crossa
Sta diventando quasi irritante il rapporto tra Mbappé e il gol. Va bene che ormai gli basta tirare verso lo specchio per vedere la palla entrare in porta, ma che riesca a segnare anche quando crossa un pallone verso l’area piccola con nessun compagno che possa calciare è troppo. C’è un limite della decenza anche per i predestinati.
Griezmann invece mette la firma sulla rimonta con la Germania
Dopo essere stata in svantaggio solo contro l’Argentina (e per pochi minuti) durante il Mondiale, la Francia è andata sotto sia con l’Islanda (amichevole, con molti titolari fuori) che con la Germania in Nations League. Griezmann ha pareggiato con un colpo di testa in controtempo che mette insieme il tempismo nello stacco (Griezmann è un ottimo colpitore di testa, anche se piccolo) e la precisione nel direzionare il tiro. Griezmann salta e colpisce la palla con l’intenzione di darle una traiettoria a scavalcare il portiere. Quanti giocatori sono in grado di dare una direzione così perfetta a un colpo di testa? Quanti giocatori sanno coordinarsi in maniera così perfetta da sembrare la ballerina di un carillon.
Fact: Vinicious Jr ha giocato una grande partita con la Under 20 brasiliana
Oh mio dio che ridere quando il capitano dell’Atletico B, Alberto Rodriguez, ha morso in testa Vinicius Jr. E chi se lo dimentica. Ben gli sta. Vinicius Jr. è un montato, il primo di chissà quanti mini-Neymar che è giusto odiare. A calci, lo devono prendere. E però, in quella partita ha segnato 2 gol e zitto zitto continua a dimostrarsi di un livello troppo superiore per i suoi coetanei. Dopo la partita con il Cile, in cui sembrava una murena liberata in una piscina per bambini - una murena con un ottimo controllo della palla - Roberto Carlos dopo ha che “sarà una superstar”. Noi ci sbilanciamo meno e pensiamo che sarebbe ora che aggiorniate il vostro sistema operativo per prepararvi a un mondo in cui, molto probabilmente, Vinicius Jr sarà un giocatore di calcio di alto livello.
Anche il figlio di Hagi non scherza
Con la 10 della Romania Under21, il figlio del mitico Gheorghe continua a fare gol pazzeschi. Dopo aver segnato direttamente su calcio d’angolo contro la Bosnia a settembre, adesso ha segnato su punizione, da più di trenta metri di distanza. Se non provate un po’ di emozione c’è qualcosa che non va. O forse non avete mai visto giocare il grande Gheorghe.
Aduriz è tornato in Nazionale. Ma non quella spagnola.
di Fabrizio Gabrielli
In Spagna il 12 Ottobre si celebra la Fiesta Nacional, un momento di sublimazione dell’identità ispanica. Il giorno in cui il marinaio spagnolo Rodrigo de Triana ha avvistato il continente americano è diventato una ricorrenza che ha assunto, nei diversi paesi latinamericani e a seconda dei contesti in cui è permeata, connotazioni particolari: in Venezuela, per esempio, per volontà di Chavez dal 2002 è il Giorno della Resistenza Indigena.
Potrebbe essere solo una coincidenza, ma ha tutti i crismi per non esserlo, che per sfidarsi sul campo del Deportivo Alavés, a Vitoria, la Vinotinto venezuelana, trentunesima Nazionale nel Ranking FIFA e aspirante forza nuova del continente, e la Euskal Selekzioa, cioè la Selezione dei Paesi Baschi, abbiano scelto proprio il 12 Ottobre.
Attenzione: stiamo parlando di una Nazionale non riconosciuta dalla FIFA, normalmente costretta a mettersi in mostra in esibizioni, il giorno di Natale, che sono l’emanazione calcistica della fiera dell’indipendentismo politico. Di una squadra che non giocava come tale da quasi due anni.
L’ultima volta che la Real Federación Española de Fútbol aveva concesso alla Euskal Selekzioa di giocare in una finestra FIFA è stata nel 2006: le negoziazioni tra la EFF e Luis Rubiales, il presidente in carica della RFEF, però, si sono decisamente semplificate negli ultimi tempi, quel tipo di distensione che porta i vertici baschi non dico a credere, ma a sognare con più prepotenza una specie di riconoscimento che possa trasformarsi, con il tempo, in una legittimazione.
Nell’Euskal Selekzioa, il 12 Ottobre, sono scesi in campo Aritz Aduriz, Illarramendi e Iñaki Williams, tre che la maglia della Roja l’hanno vestita e nessuno nega che possano tornare a farlo presto, oltre a Iñigo Martínez a cui qualcuno, in una specie di déja-vu, è tornato a dare del traditore (Luis Enrique non l’aveva convocato per le partite con Galles e Inghilterra per via di un infortunio, che non gli ha comunque tolto la voglia di giocare il derby basco prima e contro Venezuela poi).
Ovviamente non poteva essere - e infatti non è stata - una serata solamente di calcio: una serie di striscioni esposti nella curva Euskadi, inneggianti al chavismo, hanno sollevato una coltre divisiva, accolti con commozione e partecipazione da Maduro e criticati da molti cittadini venezuelani, convinti che ospitare e farsi carico delle spese logistiche per la trasferta del Venezuela, a corto di fondi, non sia stata che una mossa furba, carburante di contrabbando con cui i Paesi Baschi abbiano voluto alimentare il motore sbuffante della legittimazione.
Dal punto di vista del gioco ci sono stati invece segnali che hanno spinto il presidente federale Luís Maria Elustondo a sperare di poter tornare nuovamente in campo in una finestra FIFA, magari contro una squadra più provante, tipo il Belgio.
Per la cronaca è finita 4-2 per i Baschi, anche se Aduriz non ha segnato.
Quale parata è più difficile tra quella di Lloris e quella di Olsen
Di Dario Saltari
Tra i tanti gesti tecnici che hanno attraversato le nostre bolle social in questa settimana di Nations League, due in particolare sono comparsi con più frequenza nei nostri scroll annoiati, e cioè le parate di Lloris contro l’Islanda e di Olsen contro la Russia. Visto che ci sarà sempre qualcuno che vorrà raccontare la parata tra le due che non avete visto, di seguito ve le proponiamo entrambi così che possiate anche questa volta dimostrare di non aver passato tutto quel tempo su internet invano.
La parata di Lloris
La parata di Olsen
Ora, visto che ormai è impossibile intrattenerci senza mettere in competizione qualcosa, utilizzerò tre parametri internazionalmente riconosciuti per dimostrare oggettivamente quale delle due parate è più difficile. Pronti? Iniziamo.
Spettacolarità
Siamo tutti d’accordo che nell’era di Instagram e dei video su Facebook l’occhio voglia sempre più la sua parte, e il ruolo del portiere (che d’altra parte aveva anticipato i tempi con le famose parate fatte per i fotografi) ovviamente non può esimersi. Lloris in questo caso sembra averlo capito meglio di Olsen: non solo perché effettua tre parate a terra dopo il grande riflesso iniziale, come fosse un muro di gomma, ma perché impiega praticamente qualsiasi parte del corpo per difendere la porta, compresi i piedi. La parata di Olsen è più minimale e va rivista diverse volte per apprezzarne il reale valore. Mi dispiace Robin.
Esecuzione tecnica
Va bene, la parata di Lloris è più spettacolare, eppure non si può fare a meno di notare che il portiere francese ribatta per tre volte consecutive il pallone sui piedi dei giocatori avversari, che per una mancanza di coordinazione preoccupante non riescono a mettere la palla in rete prima che l’arbitro fischi fuorigioco. Certo, il riflesso iniziale in controtempo è di grande fattura, ma il posizionamento, l’allungo e l’eleganza dell’intervento di Olsen non presentano alcuna sbavatura. Il portiere della Roma recupera subito lo svantaggio.
Importanza
Quale tra le due parate è stata la più decisiva? Non è facile rispondere perché sia la Francia che la Svezia, alla fine, hanno pareggiato. La parata di Lloris è arrivata in un momento in cui la Nazionale di Deschamps stava già sotto nel risultato per 1-0 e stava rischiando molto, ma non ha comunque impedito che la Francia alla fine subisse il raddoppio. Quella di Olsen, invece, è arrivata all’81esimo del secondo tempo e ha impreziosito una partita tecnicamente povera, in cui le occasioni da gol sono state molto scarse sia da una parte che dall’altra. Se la Russia avesse segnato in quel momento, insomma, difficilmente la Svezia avrebbe potuto ribaltare il risultato. Anche questo round va quindi a Olsen.
Per 2-1 vince quindi la parata di Olsen, ufficialmente la più difficile di questa settimana di Nations League. Adesso sapete cosa rispondere quando vi chiederanno se l’avete vista.
Dzeko nell’Olimpo del calcio europeo
Con la doppietta di ieri sera all’Irlanda del Nord, Edin Dzeko ha abbattuto diversi muri psicologici in quanto a record personali. Non solo il superamento della quota 300 per quanto riguarda i gol in carriera, arrivando poi a 301, ma anche il raggiungimento dei 55 gol in Nazionale, cifra che lo rende l’attaccante bosniaco più prolifico di tutti i tempi e che lo fa rientrare nella top 10 dei marcatori europei della storia del calcio per Nazionali. Dzeko ha raggiunto altri due mostri sacri del calcio dell’est come Lewandowski e Koller, e adesso guarda dal basso in alto solo Cristiano Ronaldo (85), Puskas (84), Kocsis (75), Klose (71), Gerd Müller, Robbie Keane (entrambi a 68), Ibrahimović (62), Schlosser e Villa (tutti e due a 59). Auguri.
Indovinate chi si è qualificato per la prossima Coppa d’Africa?
Il Madagascar! Per la prima volta nella storia! Proprio mentre il Presidente in carica della CAF è - sorpresa! - malgascio!
La miglior finale persa dall’Argentina.
di Fabrizio Gabrielli
Che l’Albiceleste non avrebbe vinto il Superclásico con il Brasile giocato in versione itinerante à la Cirque du Soleil a Jeddah, in Arabia Saudita, si sarebbe dovuto capire dal fatto che in palio c’era una coppa tutta lucente, il che rendeva una semplice amichevole, per quanto affascinante, una finale a tutti gli effetti, con tutti gli strascichi psicologici, ormai ineludibili, per la Selección.
In effetti c’erano anche un altro paio di aspetti a rendere la sfida dirimente: innanzitutto si trattava del centesimo Superclásico della storia, il peso che avrebbe inclinato il bilanciere delle sfide da una parte o dall’altra (le due Nazionali ci arrivavano in perfetta parità di vittorie); poi, della sfida tra due concetti diversi di Nazionale, tra la cementificazione a oltranza della Canarinha di Tite e il work in progress di Scaloni.
Neymar aveva pubblicato sui suoi social una specie di motivational in cui a incensare le sue lodi era Claudio Caniggia, lo spauracchio della vittoria di peso argentina più recente (per quanto vecchia di quasi trent’anni). E poi ovviamente c’era stato il trash-talking di Maradona su Messi.
Il risultato finale si è tradotto in una vittoria all’ultimo minuto del Brasile, ma ciononostante si può pacificamente affermare che sia stata la miglior finale persa dall’Argentina nell’ultimo decennio. Scaloni sta costruendo una exit strategy dall’albagia composta da mattoncini piccoli ma resistenti, come un centrocampo del tutto rivitalizzato, anche grazie alle ottime prestazioni di Lo Celso (e mancava Palacios!), e - finalmente - due laterali bassi degni di tal nome, capaci di colmare il deficit più grande dell’Albiceleste in tempi recenti.
Poco più di un anno fa, nell’ultimo Superclásico che aveva praticamente battezzato l’esordio di Sampaoli, Tagliafico - schierato laterale basso destro - aveva rischiato di vedere la sua carriera bruciata dagli affondi irrispettosi di Neymar Jr. Ieri, sulla fascia di Neymar c’era il giovane Renzo Saravia del Racing, che più volte lo ha fermato con l’incoscienza insolente dei teenagers. Magari è una piccola cosa: ma non esistono magie, e per rinascere dalla sue ceneri l’Argentina deve puntare anche su questo. Esperimenti e mosse drastiche. Partita dopo partita. Tempo, per ora, ce n’è.<