Quando domenica sera l’arbitro Slavko Vinčić ha decretato la fine della partita con la Francia, superati i trenta secondi di amarezza per il mancato primo posto nel girone di Nations League, la reazione del pubblico italiano è stata unanime: finalmente per quattro mesi e mezzo ci liberiamo della pausa per le Nazionali. Nella mente di tifosi e addetti ai lavori, il fastidio per l’interruzione della Serie A per le partite tra Nazionali è già considerevole. Se però le gare di qualificazione ad Europei e Mondiali costituiscono una causa nobile, il fatto di doversi fermare per la Nations League per molti è inconcepibile. A che serve questo torneo che ha in parte sostituito le amichevoli senza mettere quasi niente in palio?
Sono passati sei anni dalla prima edizione della Nations League. Nel frattempo la UEFA ha continuato a sperimentare, anche coi club: ha introdotto una nuova competizione, la Conference League, ed ha cambiato il format della Champions e abbiamo iniziato ad apprezzare più o meno subito le nuove idee, nonostante i bias negativi nei confronti di Nyon. La Nations League, invece, non riusciamo proprio a digerirla, nonostante il trascorrere del tempo.
Le congetture temporali, del resto, non hanno contribuito a normalizzarne la presenza. Dopo la prima edizione del 2019, dove le final four di giugno avevano riempito uno spazio vuoto in maniera accettabile, visto che si trattava di un anno dispari, la seconda edizione è partita all’indomani dell’estate del Covid. A quel punto, con decine di partite più “serie” da recuperare, la Nations League ha iniziato ad essere percepita come un eccesso, il bis di primi che ti fa pentire di aver esagerato al termine del cenone della Vigilia. Con Euro 2020 dirottato nell’estate 2021 e con l’incombenza del Mondiale in Qatar nell’innaturale periodo di novembre-dicembre 2022, la Nations League è apparsa sempre di più come un inutile ingolfamento. Soprattutto per noi italiani, che in Qatar non ci saremmo andati: che umiliazione quelle partite di giugno 2022 con la prospettiva di non partecipare al Mondiale, dove oltretutto abbiamo pure perso per 5-2 contro la Germania.
Se esistesse un referendum per abolire la Nations League, sono abbastanza sicuro che si potrebbe raggiungere il quorum. Il problema, però, è che tendiamo troppo spesso a parlare di calcio come se l'Italia – insieme alle altre grandi Nazionali europee – ne fosse l'unica a giocarci. Un'idea che ovviamente non esiste nella realtà, non solo del campo ma anche a livello decisionale. È una questione che si ripropone da quando la FIFA ha iniziato a globalizzare il calcio: i Paesi storicamente più importanti si sentono sviliti da questo processo mentre quelli che ne beneficiano portano una passione genuina e movimenti nazionali che meriterebbero di essere migliorati.
In questo senso, se la Nations League è una scocciatura per le grandi Nazionali – anche se, come ha dimostrato il forcing degli ultimi minuti contro la Francia, l’Italia ha affrontato con agonismo vero la competizione – per quelle più piccole può rappresentare un'occasione di sviluppo ed entusiasmo.
«Una competizione che ci voleva», la definisce Gianluca Lia, penna del Times of Malta che ho sentito per questo pezzo, insieme ad altri giornalisti e addetti ai lavori, per provare a ricostruire il punto di vista sulla Nations League di Paesi considerati periferici nella piramide del calcio. «Finalmente si poteva ambire a vincere qualche partite a mostrare il valore del nostro calcio, a misurarne la crescita confrontandosi con realtà alla nostra portata».
La Nations League, come si può leggere sul sito della UEFA, nasce col proposito di ridurre il numero di amichevoli senza alcun valore ed elevare il livello competitivo delle partite. Se si incrociano squadre di livello pari, si riduce il numero di goleade a cui ci hanno abituati anni di incontri a senso unico tra Nazionali di rango differente. Difatti, si trattava di un’umiliazione per le piccole, che non crescevano molto rimediando sconfitte con almeno cinque gol di scarto, e un fastidio per le grandi. Forse ricorderete la dichiarazione di Thomas Müller con cui metteva in discussione la legittimità di San Marino a sfidare Nazionali di primo livello.
Affrontare avversari alla propria portata, invece, rappresenta davvero una possibilità di crescita, sotto diversi aspetti. Innanzitutto, perché ci si libera dal peso di dover evitare la figuraccia, quindi si scende in campo con motivazioni diverse e, probabilmente, con maggior positività. Dopodiché, anche a livello pratico, di campo, finalmente anche le Nazionali più piccole sono libere di esprimere qualcosa di diverso.
Me lo spiega Elia Gorini, che da giornalista di San Marino RTV, la televisione pubblica sammarinese, che ha vissuto in prima persona una delle storie più belle degli ultimi tempi, che probabilmente non ci sarebbe mai stata senza la Nations League. «Per San Marino giocare amichevoli contro le grandi del calcio internazionale resta un privilegio», mi racconta. Tuttavia, «la Nations League ha aperto degli spiragli importanti. Io credo che a livello di piccole Nazionali ci sia grande soddisfazione nel parteciparvi, perché la Nations League dà una grande opportunità: quella di provare a proporre il proprio gioco. Mentre quando devi sfidare grandi Nazionali sei costretto più che altro a concentrarti sulla fase difensiva, quando affronti squadre più o meno dello stesso livello hai la possibilità di poter lavorare sulla fase offensiva».
Contro Nazionali di livello troppo più alto, non c’era altra opzione che fare le barricate, impossibile togliere la palla ad avversari del genere. Contro avversari dello stesso livello, invece, si può proporre con coraggio. Come hanno sottolineato il CT Roberto Cevoli e i suoi giocatori subito dopo lo storico trionfo per 1-3 in casa del Liechtenstein, la vittoria è stata frutto di giocate provate in allenamento, come dimostra soprattutto il terzo gol: filtrante dalla fascia per la sovrapposizione interna della mezzala, cross a rimorchio e gol in cutback.
Se per San Marino la Nations League ha rappresentato un’occasione pressoché unica di farsi valere con la palla, una competizione del genere torna utile anche a quelle squadre che magari hanno più dimestichezza col gioco offensivo, ma che hanno bisogno di esercitarlo con più continuità per arrivare preparati alle sfide con avversari blasonati.
È il caso della Romania, una Nazionale in crescita dal percorso di qualificazione verso Euro 2024. In estate la Nazionale rumena ha cambiato CT, affidandosi a un’icona come Mircea Lucescu. L’obiettivo è tornare al Mondiale a quasi trent’anni dall’ultima volta (dai tempi, cioè, di Francia ’98, quando tutti i giocatori della “tricolori” si presentarono in campo con i capelli platinati). La Nations League, allora, «è stata una buona palestra per prepararsi alle qualificazioni», mi spiega Renato Chieppa, amministratore della pagina Blog Calcio Romania, che dall’Italia segue le sorti della Nazionale e del calcio romeno in generale. Gli avversari – Kosovo, Lituania e Cipro – saranno stati di livello più basso, ma contro di loro Lucescu ha potuto trovare nuove certezze: «È vero che ci manca un nove d’area che vada in doppia cifra», ma la Nations League è servita ad esplorare il potenziale offensivo di Razvan Marin, «che ha tenuto dietro Cristiano Ronaldo ed è a un gol di distanza da Haaland».
Giocare in maniera propositiva, vincere, anche solo segnare dei gol se ci si trova nei panni di una squadra come San Marino, è il modo migliore per acquisire convinzione nei propri mezzi e da lì pianificare, a piccoli passi, la crescita per il futuro.
Dopo il buon Europeo disputato in Germania, la Romania ha vinto cinque partite su sei del suo girone – dev’essere ancora conclusa quella col Kosovo, sospesa sullo 0-0 per l’abbandono del campo da parte dei giocatori kosovari a causa dei cori inneggianti alla Serbia del pubblico di Bucarest – ed è convinta più che mai di poter dire la sua nel percorso di qualificazione ai Mondiali.
San Marino, invece, ha ottenuto la promozione dalla Lega D alla Lega C, vincendo più partite in un paio di mesi di quante ne avesse vinte in tutta la sua storia, centrando la prima vittoria in trasferta e segnando per la prima volta tre gol in una sola gara. Anche qui, il percorso di crescita era partito nelle qualificazioni a Euro 2024, con sconfitte di misura contro Danimarca (1-2) e Finlandia (1-3). La vittoria di settembre sul Liechtenstein (1-0 in casa), però, ha dato l’accelerata decisiva.
«Naturalmente vincere aiuta a vincere, di conseguenza creare autostima determina la possibilità di migliorare le prestazioni anche in prospettiva futura», sottolinea Gorini. Lunedì sera il “Titano” era passato in svantaggio alla fine del primo tempo, col Liechtenstein che aveva trovato "il gol della domenica". La squadra di Cevoli, però, non si è scoraggiata. «È rientrata in campo subito decisa e dopo un minuto ha pareggiato, proprio perché c’è stato un atteggiamento diverso. C’è anche, magari, la convinzione da un punto di vista mentale di poter fare risultato e questo aspetto la Nations League lo favorisce».
Di converso, per una Nazionale “piccola”, che si aspetta di ottenere delle vittorie, fallire l’appuntamento con la Nations League può essere davvero frustrante. Come accade a Malta: «La Nations League è un torneo molto importante perché i tifosi si aspettano che Malta metta in campo un gioco propositivo e porti risultati, con conseguente promozione in Lega C. Un obiettivo purtroppo mai raggiunto, nemmeno in questa edizione», racconta Gianluca Lia. Delusione ancora più cocente vista la vittoria del girone di una Nazionale come San Marino ultima nel ranking FIFA. «La gente si domanda: cambiano i CT, viene investito denaro, nascono nuovi progetti, si cercano giocatori col doppio passaporto… Eppure in Lega C viene promossa San Marino. Direi che il pubblico ha perso un po’ di fiducia».
Un caso ancora più indicativo, in questo senso, è quello della Bosnia, Nazionale alle prese con un complicato cambio generazionale. Nella edizione 2022/23 della Nations League, Dzeko e compagni avevano vinto il proprio girone nella Lega B, conquistando quindi la Lega A, il livello più alto. Poi, però, il nuovo CT, Sergej Barbarez, ha iniziato a considerare il torneo alla stregua delle amichevoli: «Ha usato la Nations League per sperimentare. Abbiamo perso 7-0 contro la Germania, anche perché mancavano sette o otto titolari, più di metà squadra era composta da Under-23 e c’erano due esordienti. L’opinione pubblica adesso chiede le sue dimissioni», mi racconta Dino Huseljić, autore di origini bosniache per Gli stati generali e East Journal. Sperimentare è comprensibile visto il periodo di transizione che sta affrontando la Bosnia, che deve imparare a fare a meno di Pjanić e presto dovrà fare lo stesso con Dzeko (che nonostante tutto ieri sera ha firmato un assist nel pari contro l’Olanda). Per i bosniaci, però, la Nazionale è troppo importante per esporsi a figure del genere e la Nations League è vista come il palcoscenico giusto per mostrare il proprio valore. «Io seguo la Nazionale da quando ero piccolo: la tifiamo forse anche più delle squadre di club. La Nations League è percepita in maniera diversa in Bosnia [rispetto all’Italia, nda]. Prova ne è lo scollamento che si è creato tra il nuovo CT Barbarez e l’opinione pubblica. Perché pur non aspettandosi di fare chissà quale punteggio nella Lega A, ogni tifoso, me incluso, la riteneva una competizione da giocare al meglio».
Al contrario dell’attuale selezionatore, Ivaylo Petev, artefice della vittoria in Lega B, viene ricordato con affetto e rimpianto «proprio sulla base di quello che resta il suo unico successo sulla panchina bosniaca. In sostanza, vincere la Lega B di Nations League è stato ampiamente considerato un risultato importante». Così, vista la delusione per le recenti sconfitte, il portale bosniaco Klix parlava di “atmosfera spettrale a Zenica in vista dell’ultima partita di Nations League [contro l’Olanda, nda]”, per via della scarsa presenza di pubblico.
Perdere l’affetto della propria gente è quanto di peggio possa capitare a Nazionali del genere, che di solito godono di una tolleranza della sconfitta piuttosto alta, o comunque di affetto incondizionato.
È banale dirlo, ma per stati calcisticamente alla periferia la pausa per le Nazionali è l’occasione di affacciarsi a un livello di gioco e, in generale, di professionalità, inaccessibile per i loro campionati. Se già le amichevoli potevano essere importanti, figurarsi la Nations League. Me ne parla Ado Alili, italiano di origini macedoni che lo scorso anno aveva raccontato su queste pagine come fosse vivere il suo derby tra Macedonia e Italia. «Quello macedone è un campionato brutto per certi versi, con strutture che non sono minimamente all’altezza e con sole dodici squadre. Ogni volta in cui gioca la Nazionale, quindi, diventa l’occasione per frequentare uno stadio bello come il Filippo II di Skopjie, che ha ospitato anche la finale di Supercoppa Europea del 2018. In più, c’è sempre un bellissimo clima fuori: bere, mangiare, stare insieme, la tipica convivialità balcanica insomma. E quindi ogni volta che scende in campo la Nazionale viene vista come una festa».
Un po’ quello che accade ultimamente in Romania, dove i risultati recenti, tra Europei e Nations League, hanno acceso il fervore del pubblico e non solo. I romeni si sono stretti intorno alla squadra. «Non so se hai potuto vedere quanto calore c’è da parte dei giocatori, quanto calore danno i giocatori ai loro tifosi. Quando segnano, soprattutto in casa, si fanno toccare, si fanno abbracciare, c’è proprio contatto umano», afferma Chieppa. Il tifo si rinvigorisce grazie ai risultati della squadra e viceversa. Non è un caso che questa generazione, meno talentuosa di altre Nazionali romene del passato, ma verso la quale il pubblico riesce a empatizzare più facilmente, si sia guadagnata un appellativo particolare: «Questa è la “generatia de suflet”, non è come la “generatia de aur” [generazione d’oro, quella di Hagi, Popescu, Raducioiu e Ilie, nda]. “Generatia de suflet” vuol dire letteralmente una generazione che dà il cuore in campo e il risultato che hanno ottenuto in questa Nations League è sotto gli occhi di tutti».
Nella Lega C, Macedonia e Romania si trovano in una posizione simile. Entrambe prime, la Macedonia ha vinto cinque gare e ne ha pareggiata una. Anche la Romania ne ha vinte cinque, ma non ha completato la sfida contro il Kosovo, sospesa come detto sul punteggio di 0-0. Non è ancora chiaro se alla squadra di Lucescu sarà concesso di giocare per provare a vincere, se verrà ratificato il pareggio o se sarà comminata una sconfitta a tavolino per 0-3. Non è una questione di poco conto, quei numeri potrebbero fare tutta la differenza del mondo.
Da quest’edizione, infatti, la Nations League potrebbe diventare decisiva per le qualificazioni ai Mondiali, a 48 squadre a partire dal 2026. Agli spareggi, oltre alle 12 seconde dei gironi di qualificazione, accederanno anche le quattro migliori della Nations League (una per ogni lega) che sono arrivate sotto al secondo posto nel girone di qualificazione. Nella Lega B, quelle col punteggio più alto sono Svezia e, appunto, Romania e Macedonia. La Svezia, vista la storia recente e il suo potenziale offensivo, non dovrebbe avere problemi a qualificarsi nelle prime due posizioni. La Romania è anche convinta di poterlo fare, ma non sarà facile.
Per la squadra di Lucescu e per la Macedonia, allora, il ripescaggio potrebbe essere cruciale. «Sarebbe un’occasione d’oro», dice Alili con entusiasmo «Se il Mondiale fosse quello di un tempo e se la strada per qualificarsi fosse quella di qualche anno fa, oggettivamente la Macedonia non avrebbe mai l’occasione di arrivarci. Mentre con questa nuova formula possono aprirsi degli spiragli». Come mi fa notare, la Macedonia è l’unica delle nazioni dell’ex Jugoslavia, insieme al Montenegro, a non aver partecipato ad un Mondiale. L’edizione del 2026 sarebbe l’occasione perfetta per farlo: «Negli Stati Uniti e in Canada c’è una fortissima migrazione macedone, quindi sarebbe una festa incredibile, soprattutto a New York e Detroit, i poli in cui c’è il maggior numero di immigrati macedoni. Immagino che una partita a New York o a Detroit sarebbe una bolgia, perché sono pur sempre balcanici».
Del resto, la Nations League aveva già permesso alla Macedonia di ottenere quello che fino ad ora è il risultato più importante della sua storia: la qualificazione a Euro 2020, guadagnata dopo aver disputato gli spareggi contro la Georgia in qualità di prima in classifica del proprio gruppo nella Lega D dell’edizione 2018/19.
È evidente, quindi, quanto la Nations League abbia rappresentato un’opportunità per le Nazioni più piccole, non solo per accumulare vittorie e migliorare sul campo, ma anche per ragionare in ottica futura e sognare la qualificazione a un grande torneo. Per adesso sembra anche scongiurato il rischio di squadre intenzionate a "tankare" per retrocedere in una lega più bassa, vincere il proprio girone e quindi garantirsi possibilità extra di accedere a Europei o Mondiali.
A questo punto, però, la UEFA dovrebbe affrontare la sfida più importante di tutte, quella di rendere davvero sostenibile la manifestazione. È chiaro che senza la partecipazione della FIFA non è un obiettivo raggiungibile.
L’allargamento del Mondiale segue l’allargamento delle coppe europee e, prima ancora, quello degli Europei. Come se non bastasse, il nuovo Mondiale per Club aggiungerà ulteriori partite. La formula per bilanciare inclusività e un numero congruo di incontri non è stata ancora trovata. Per i giocatori, a ogni livello, rappresentare il proprio Paese è un orgoglio, ma al contempo è sempre più urgente la richiesta di alleggerire il calendario. Viene da pensare, però, che la Nations League possa essere meno colpevole rispetto ad altri eventi che non hanno nemmeno i suoi meriti.