
Negli ultimi anni il Manchester City è stato un simbolo di efficienza, una macchina impeccabile. Un club capace di raggiungere una perfezione quasi nauseante. Il manager più competente, i giocatori più talentuosi, la proprietà più ricca. Il Manchester City come prodotto ultimo e non più perfettibile del calcio dell’ultra-capitalismo. Col passare degli anni, e l’inasprimento della competizione, Guardiola ha creato una squadra più rigida e bloccata, ma al contempo sempre più efficiente, con sempre meno punti deboli. È passato dall’utopia di una squadra di soli centrocampisti a una di soli difensori; ha creato schemi sempre meno belli ma anche sempre meno difendibili per far segnare Haaland dentro l’area piccola. Ha puntato allo zero a zero negli scontri diretti, per poi vincere ogni singola partita con le altre squadre. Il Manchester City sembrava il futuro come ce lo immaginavamo: cupo, noioso e gestito da esseri umani che non passerebbero il test di Turing.
Nell’ultimo mese, però, il Manchester City è diventato il contrario di tutto questo. Come nella crisi del ’29, qualcosa ha inceppato la macchina economica perfetta. Forse il piccolo granello di sabbia nell’ingranaggio è stato l’infortunio di Rodi, o forse le sanzioni della Premier che incombono, o forse il calciomercato per una volta un po’ misero. O forse Guardiola si è semplicemente stancato. Forse solo tutte le cose, prima o poi, devono finire. Ne ha scritto Daniele V. Morrone in questo articolo.

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Questo spettacolo della fine, però, ha un fascino potente. Non direi che si tratta di Schadenfreude ma di un sentimento un po’ più meschino. L’eccitazione di fronte alla disfatta altrui, e in particolare della disfatta dei ricchi e dei potenti e delle persone di successo. Il deterioramento di ciò che sembrava inscalfibile. Vedere ciò che è simbolo di successo e benessere andare incontro alle difficoltà che tutte le persone comuni sono costrette a vivere. Il Manchester City alle prese con l’inferno del quotidiano, delle squadre in crisi, delle sconfitte consecutive.
Arrivati a fine novembre il Manchester City ha già perso lo stesso numero di partite della scorsa stagione: 5. Tra Premier e coppe, vince una partita sì e una no. Se prendiamo solo l’ultimo mese, il City non ha mai vinto. Ha perso due volte dal Tottenham, la squadra che per molti aspetti è il suo contrario - la squadra perdente a cui non succede niente di buono. Ha preso 4 gol dallo Sporting e ieri ne ha presi 3 dal Feyenoord. Non solo, ne ha presi tre dal Feyenoord da una situazione di vantaggio di 3-0. Non solo: ne ha presi 3 in appena quindici minuti.
Nel quarto d’ora finale è andata in scena la consunzione emotiva di Pep Guardiola. Ripercorriamo la sconfitta del City attraverso il suo burnout.
74’ - Prima del gol Guardiola è nervoso e fiuta la disfatta

Prima ancora dell’inizio della fine, Guardiola percepisce la fine. La sua squadra ha comandato la partita contro il Feyenoord, ma anche nella vittoria era parsa convalescente. Troppo nervosa, troppo fragile in transizione - come sempre. Il controllo che esercita si rivela illusorio soprattutto agli occhi di Guardiola, che le nevrosi della sua squadra le conosce. Così parla con Juanma Lillo, che ultimamente sembra usare sempre più a scopo terapeutico. Il grande teorico del gioco di posizione deve rassicurarlo sulle strategie, su cosa va e cosa non va. Ma cosa gli deve dire a quel punto della partita? Manca un quarto d’ora al novantesimo e il City è avanti di tre gol: nessuna squadra avanti di tre gol a quel punto del match ha finito per non vincere la partita. Nessuna in tutta la storia della Champions League.
75’ L’orrore

Un minuto dopo il City subisce effettivamente gol e Guardiola è sconvolto. Se lo aspettava ma in qualche modo è come se non lo aspettasse. Conosciamo l’iper-espressività di Guardiola, che sembra sempre sull’orlo della follia: quando spiega i suoi concetti, o quando fa i complimenti ai suoi giocatori, o ai giocatori degli altri. Oppure quando parla di Francesco De Gregori o dell’indipendeza della Catalogna. Non c’entra l’argomento: Guardiola sta sempre al massimo del volume. La sua faccia si contorce tutta, le mani gesticolano vorticosamente, passeggia e saltella. Come definire questa espressione di Guardiola? Difficile ma proviamoci:
15% di disgusto
25% di paura
35% di orrore esistenziale
25% assurdismo
75’ Lo sbrocco
Segue sbrocco plateale. Per prima cosa prende ovviamente una bottiglietta in mano, come fanno tutti gli allenatori che subiscono gol. Sono un allenatore semplice: prendo gol, mi bevo un sorso d’acqua. Guardiola perde il controllo e non sarebbe nemmeno una notizia. C’è stato un errore francamente incredibile di Gvardiol, che ha praticamente mandato Hadj Moussa solo davanti a Ederson. Per un maniaco del controllo come Guardiola deve essere devastante vedere gli sforzi del collettivo vanificati da un banale errore individuale come quello. Puoi essere il migliore allenatore del mondo, ma se poi il tuo ultimo difensore manda in porta con un passaggio l’attaccante avversario, cosa dovresti fare?
75’ Le mani sulla testa

In un solo minuto Guardiola mette insieme tutto il suo repertorio di reazioni esagerate. Dopo lo sbrocco si sgonfia in panchina, china la faccia, si mette le mani sulla testa e resta così in contemplazione del proprio stesso dolore per una trentina di secondi. Del resto Guardiola sembra ossessionato dalla sua testa, sta sempre lì a stropicciarla e a massaggiarsela come se gli dolesse. Come se l'overthinking di cui viene accusato gli procurasse bruciore e prurito sulla cute.
Non è un po’ esagerato? Manca meno di un quarto d’ora e il City ha ancora due gol di vantaggio. Guardiola però, da pessimista apocalittico, si sarà preso questo momento di contemplazione per visualizzare la tragedia che sta per succedere. La sua squadra è troppo malata per non lasciare che gli avversari completino la rimonta. Non c'è modo di scamparla. Guardiola ha dichiarato che dopo il primo gol la sua squadra ha perso la calma e il controllo, eppure pare significativo che sia stato lui il primo a perdere la lucidità.
82’ L’applauso

Passano 7 minuti e il Manchester City subisce, inevitabilmente, anche il secondo gol. È un gol ridicolo e inspiegabile. Di quei gol che solo le squadre profondamente in crisi possono subire. Le squadre che sembrano giocare anche contro la fisica. Paixao cambia gioco in area, Lotomba mette dentro di piatto ma la prende male e la traiettoria va verso la porta, prende il palo, colpisce il fianco di Ederson e nemmeno entra: va verso il centro dove c’è Gimenez che segna.
Guardiola, intanto, applaude. Forse perché tanto era sicuro che il City avrebbe subito questo gol e applaude il Dio malvagio che sta facendo succedere il tutto; forse perché crede che al VAR possano trovare un fuorigioco.
86’ La faccia di chi ha appena visto la cifra che deve pagare per l’acconto delle tasse

Il VAR invece convalida il gol e per Guardiola è come subirlo due volte. Questa faccia è quella di chi si è già figurato il tragico, ma poi è comunque leggermente sconvolto quando si rende conto che sta succedendo davvero.
88’ Alla fine è successo

Il City subisce il terzo gol, dopo uno degli errori pazzeschi che Ederson sta facendo in questa stagione, e per Guardiola è quasi un sollievo. Sorella morte. Non si deve più vivere in ansia in attesa della rimonta, nel momento in cui la rimonta si è finalmente compiuta. Guardiola abbassa la testa e, avvolto dalle tenebre, va verso la panchina.
91’ Pure il palo di Grealish

A questo punto a Guardiola viene quasi da ridere. Quasi diventa felice di poter palpare in profondità l’assurdo di una partita di calcio. La sensazione che qualche divinità ti stia perseguitando; il piacere del crogiolarsi nel vestito della vittima.
I segni post-partita
Non possiamo sapere cosa sia successo negli spogliatoi del City, ma Guardiola si presenta ai microfoni conciato male. Ha un graffio sul naso, che a dire il vero aveva anche durante il match; e poi una serie di segni rossi sulla testa. Se pensate che potrebbe aver fatto a botte con qualcuno, questo qualcuno dovrebbe essere un gatto per averlo conciato così. Guardiola a dire il vero confessa: se lo è fatto da solo. Voleva colpirsi, semplicemente. Uno squarcio un po’ inquietante sul suo equilibrio psichico.
Lo stress con cui Guardiola vive la sua professione è sempre stato universalmente considerato uno dei suoi grandi pregi. Vivere con quell’intensità anche i momenti meno intensi, gli permetteva di modellare i suoi uomini a fondo. Nessuno come Guardiola ti fa sentire parte di una guerra santa, e il calcio come un modo per raggiungere la perfezione divina. Evidentemente, però, quest’equilibrio psichico è più fragile di quanto immaginiamo. L’intensità di Guardiola è quella, a dire il vero, di tutti quegli allenatori dalla psiche sconvolta, che sembrano vivere ogni singolo momento come una questione di vita e di morte. Qual è il punto in cui questa intensità finisce per sconfinare nell’auto-distruzione e nel patologico?
Un altro caso simile, nello sport d’alto livello, lo abbiamo visto col tennista Andrey Rublev, che durante le partite si auto-infligge dolore con la racchetta. La prende a pugni, se la sbatte ripetutamente sulle ginocchia. Si riduce sanguinante come un martire. Qualcosa che sta diventando sempre più problematico, e che costringe il tennista a ripetute scuse - poi smentite da altre sfuriate.
L’impressione lasciata da Guardiola è stata piuttosto impressionante e i giornalisti non gliel’hanno fatta passare. In fondo con le sue parole aveva normalizzato un comportamento autolesionista. Così ci è dovuto tornare sopra su Twitter, dove ha chiesto scusa per le sue parole e ha lasciato il numero dei Samaritan da chiamare in caso di bisogno.