È giunto il momento di affermarlo ad alta voce: l'NBA non sembra intenzionata a risolvere il “problema” dell'assegnazione degli assist.
Naturalmente si tratta di una provocazione: la tematica non è delle più giovani e tantomeno così grave da non farci dormire la notte. Il mondo anche solo sportivo ha affrontato argomenti ben più drammatici e di sicuro è un non-problema per la lega di Adam Silver, che il giochino lo fa girare e soprattutto remunerare. Ma è difficile rimanere insensibili davanti a quello che si vede in campo - o, per meglio dire, sul tabellino.
Sia ben chiaro, l'obiettivo non è assolutamente dimostrare o paragonare alcunché: la FIBA per esempio ha problemi di altro tipo, come quello di attribuire assist che l'NBA si rifiuta di assegnare (e chiama “Free Throws assist”), vale a dire il passaggio che porta al fallo e al seguente tiro libero segnato. Semplicemente ci interessa - e diverte - constatare quanto aleatoria sia diventata la valutazione di un assist nel campionato più spettacolare del mondo, con risultati talmente surreali da raccogliere qui sotto gli esemplari più eclatanti del 2017 appena salutato.
Come le gazze ladre attirate da qualsiasi cosa che luccichi, gli statunitensi sono un popolo che sbava per qualsiasi tipo di statistica, per le medie ponderate, per le valutazioni; ha una malsana predilezione per ogni sorta di classifica e di corsa al premio di migliore-in-qualcosa-in-qualsiasi-contesto. Ma se su un campo di pallacanestro la maggior parte degli eventi è quantificabile in modo certo al 90%, quando si tratta di mettere a referto l'evento-assist le cose cambiano diventando più soggettive, umane, fallibili. E quindi prestandosi ad essere "gonfiate", per semplice attitudine e tradizione culturale dovuta all'approccio di cui sopra, per cui è semplicemente più cool un numero più alto di uno più basso, con tutto quel che ne consegue sul piano del marketing e dell’epica sportiva.
Alla radice del problema c'è la definizione di “Assist” che l'NBA ha affidato ai suoi validi addetti alle statistiche, coloro che concretamente fanno click sul +1 aggiornando i box score in tempo reale sui vostri schermi. Citando direttamente dal regolamento: “An assist is credited to the player tossing the last pass leading directly to a made field goal, but only if the player scoring the goal demonstrates an immediate reaction toward the basket after receiving the pass”. (Un assist è accreditato al giocatore che ha effettuato l’ultimo passaggio che porta direttamente a un tiro segnato, ma solo se il giocatore che segna dimostra un’immediata reazione verso il canestro dopo aver ricevuto il pallone).
In questo - strepitoso - caso, i termini estrapolati dalla definizione che più sembrano essere decisivi sono due: l'avverbio "directly (to a made field goal)” e “immediate”, entrambi spesso interpretati in senso piuttosto "ampio" dai fedeli addetti alle statistiche dell’NBA. Sicuramente Sam Dekker qui dimostra un’immediata reazione verso il canestro - e ci mancherebbe, in una situazione di contropiede - ma ci torna molto meno quel “direttamente”: dopo l’apertura di Milos Teodosic Dekker deve fare tre palleggi, superare tre avversari e segnare con Zach Randolph in groppa. Conclusione virtuale: l’impatto del semplice passaggio di Teodosic è quasi nullo, e al 98% il merito va a Dekker e al suo uno-contro-tre vincente. Realtà del tabellino: assist magistrale del mago serbo.
Le traduzioni libere e personali di testi sacri non hanno portato solamente a fenomeni religiosi come i testimoni di Geova, ma anche a creare - con la benedizione della famelica macchina da marketing della NBA - eventi statistici memorabili da rivendere in tutto il mondo, osannando gli eroi di una notte o alimentando le aspettative per dei record da distruggere. L’ultimo e più illustre caso del 2017 sono stati i 25 assist assegnati a Rajon Rondo contro i Brooklyn Nets, compreso questo per Jrue Holiday: sostanzialmente un “consegnato” che poi il talento dell’altra guardia trasforma in un canestro dal palleggio disorientando un difensore con una finta.
Anche qui l’impatto del passatore è semi-nullo, la cosiddetta “immediata reazione” è “spezzata” dalla finta e dai palleggi, e il passaggio non genera nessun vantaggio al compagno. Ma non è che con l’assist a DeMarcus Cousins nella stessa partita le cose siano migliorate...
Qui perlomeno Rondo - che senza queste due “gemme” non avrebbe raggiunto i 25 assist e il record di Jason Kidd di 21 anni fa - ha il merito di aver mosso la difesa e liberato Cousins: se il lungo tirasse subito non avremmo nulla da eccepire, ma DeMarcus sceglie di mettersi in proprio e complicarsi la vita, segnando contro mezza difesa. Rondo, diciamocelo, in questa conclusione c’entra ben poco.
Questa fattispecie interpretativa, rilevabile anche nel passaggio qui sotto ufficializzato come assist di James Harden a Eric Gordon, è legata al maggior peso che viene dato alla “reazione immediata verso il canestro” (che grossomodo libera da ogni peccato l’addetto alle statistiche) piuttosto che alla durata massima di tale reazione, alla semplificazione dell’atto conclusivo (teoricamente con un assist dovrebbe essere “più facile” fare un canestro) e alle difficoltà implicite nella realizzazione.
Una penetrazione dopo la ricezione conclusa con un carpiato tra due difensori può essere considerato un assist? Che merito avrebbe Harden in quel canestro cadendo all’indietro di Gordon? O nella tripla sparata da Ryan Anderson da quasi 9 metri dopo un palleggio laterale che trovate qui sotto?
Bisogna anche dire che la definizione NBA ufficiale di “Potential Assist” non aiuta a semplificare le cose, dato che recita così: “Qualsiasi passaggio ad un compagno che tiri con al massimo un palleggio dopo la ricezione”. Anche per questo motivo spesso e volentieri un periglioso palleggio-arresto-e-tiro, solenne movimento old-school identificatore eccellente dei realizzatori che sanno crearsi da soli un tiro - ovvero l’antitesi di un canestro “assistito” -, viene comunque identificato come risultato di un assist. Se Russell Westbrook sta ripetendo le incredibili cifre dello scorso anno anche con Carmelo Anthony in squadra, un po’ è anche per tale ragione…
Speaking of Russ… la votazione dell’MVP del 2016-17 è innegabilmente stata influenzata anche dalla mostruosa tripla doppia media generata da Westbrook nel corso della stagione. Molti si sono chiesti se Russ sarebbe stato incensato e considerato allo stesso modo se le voci “Assist” o “Rimbalzi” non avessero superato la fatidica doppia cifra di media: per noi personalmente non ci sarebbe stato nessun cambiamento nella valutazione della clamorosa annata del numero 0 di OKC, ma con 31 assist in meno assegnati (809 contro gli 840 totali in 81 partite) Westbrook avrebbe avuto 9,9 assist di media, e chissà come e quanto sarebbe cambiata l’opinione dei fan, il dibattito mediatico, i paragoni con Oscar Robertson, il volume social, i bonus economici...
Un condizionamento (manipolazione?) di cui l’NBA era ed è sempre stata ben consapevole: un giorno forse l’FBI mostrerà al mondo i documenti secretati sugli assist di Westbrook 2016-17, spiegando magari come questo step back di Alex Abrines dello scorso marzo possa aver così tanto e proficuamente beneficiato del passaggio ricevuto dal diventare un tiro “assistito”. Insomma, 31 assist in meno su 81 partite è grossomodo un assist non assegnato ogni due partite e mezza: non una realtà così lontana, a seguire con meno fantasia le definizioni sui passaggi “smarcanti”...
Discorso simile anche per quanto sta accadendo quest’anno a Los Angeles sponda Lakers con Lonzo Ball, qui in uno degli “assist” che l’hanno portato alla prima tripla doppia in carriera, il più giovane di sempre a 20 anni e 15 giorni.
Più di qualcuno ha già mostrato delle perplessità sulla generosità con cui l’NBA sta attribuendo gli assist a uno dei nuovi volti più discussi della lega: nelle partite casalinghe si è addirittura sfiorato il ridicolo, con passaggi innocui tipo questi a Brewer e Caldwell-Pope trasformati in "beautiful dimes", come dicono loro…
Non che tutto questo sia una gran novità, come dicevamo inizialmente: sin dai tempi della corsa al record all-time di Magic Johnson - e ancor prima - l’NBA ha sempre trattato con faciloneria e furbizia la questione-assist, continuando ad affidarsi all’interpretazione soggettiva e spesso alla partigianeria dei propri addetti alle statistiche per scrivere la storia del Gioco.
Non ne sono immuni - ma ringraziano di cuore - oltre all’MVP dello scorso anno anche mostri sacri come LeBron James, qui nella partita contro Atlanta dello scorso Dicembre per il suo massimo in carriera alla voce assist (17).
Kevin Durant, due volte vicino alla tripla doppia con 8 assist, il suo massimo stagionale ad oggi, come in questa partita contro Detroit…
...o Giannis Antetokounmpo…
...o Stephen Curry…
… e la lista continuerebbe per qualche altro migliaio di pixel, considerato che chiunque sia stato accreditato di un assist nell’ultimo anno potrebbe essere anche stato con discreta probabilità benedetto dalla generosità degli addetti alle statistiche NBA.
Come il nostro prode Ryan Arcidiacono, splendido unicorno senza corno membro di una ristretta cerchia elitaria di giocatori NBA con un solo assist a segno in questa stagione. Se mai un giorno dovesse far parte della nostra Nazionale, i tiratori azzurri possono stare tranquilli: come trova Ryan i tempi e gli spazi per tiri aperti e ad alta percentuale, pochi altri.
Nota: tutti i video sono tratti dal tracking ufficiale di NBA.com, in altre parole sono gli assist attribuiti ufficialmente durante il 2017. Non abbiamo - purtroppo - inventato nulla.