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Le domande fondamentali per la stagione NBA 2022-23
18 ott 2022
Dieci temi per orientarsi per la regular season che sta per cominciare.
(articolo)
22 min
(copertina)
Nathaniel S. Butler/NBAE via Getty Images
(copertina) Nathaniel S. Butler/NBAE via Getty Images
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Qual è la squadra favorita a chiudere la regular season al primo posto a Est?

Francesco Andrianopoli: I Milwaukee Bucks. Hanno il giocatore più forte, Giannis Antetokounmpo, hanno il nucleo più rodato, già l’anno scorso probabilmente è stato solo l’infortunio a Khris Middleton a tenerli lontani dal titolo. I Sixers hanno enorme potenziale, ma i Bucks hanno dalla loro parte i dati reali, le serie storiche che ci dicono che per arrivare primi in questa conference bisogna innanzitutto fare i conti con loro.

Dario Costa: I Boston Celtics. Al netto della tempesta che ha colpito Ime Udoka, i Celtics rimangono una delle squadre dall’identità più definita di tutta la lega. Quanto successo durante l’estate, dalla sfortuna per l’infortunio a Gallinari allo scandalo che ha interessato la franchigia, insieme alla delusione per il finale amarissimo della serie contro gli Warriors potrebbe fornire a Tatum e compagni le motivazioni giuste per giocare dall’inizio alla fine con l’intensità vista nella seconda parte della scorsa stagione e poi ai playoff.

Daniele V. Morrone: I Sixers hanno le motivazioni giuste come singoli (Joel Embiid con la voglia di vincere l’MVP, James Harden per riscattare gli ultimi anni di delusioni) e il roster costruito nel modo giusto, con un quintetto bilanciato in Harden, Maxey, Tucker, Harris, Embiid e una panchina che permette a Doc Rivers di gestire i minutaggi prestabiliti come gli piace, per andare a giocarsi il primo posto ad Est superando le 60 vittorie. A rendere la cosa più complicata ci potrebbe essere giusto il fatto che si trovano nella division più difficile della conference dovendo giocare quattro partite ciascuna contro Celtics, Nets e Raptors (ci sono anche i Knicks, ma va beh).

David Breschi: Probabilmente i Sixers con il pilota automatico inserito. Posto che Milwaukee gestirà per tutta la regular season, Boston e Miami possono ambire a sparigliare le carte ma i primi non avranno Udoka al timone e nel passaggio di consegne è plausibile che perdano qualche partita, mentre i secondi cercheranno di arrivare sani ai playoff più che tentare di vincere la Eastern Conference.

Fabrizio Gilardi: Da bravo italiano medio voto per il partito in vantaggio nei sondaggi, cioè i Sixers, con almeno un premio individuale per Embiid, Maxey o magari Rivers se dovessero sbaragliare la concorrenza.

Dario Ronzulli: Anch’io credo nei Sixers capaci di vincerne tantissime in regular season sia per meriti loro che per i calcoli delle altre sul dosaggio dei loro giocatori migliori, Bucks in primis.

Dario Vismara: Il dollaro più educato è sicuramente quello sui Sixers per i motivi sopra elencati, ma se il passaggio da Udoka a Joe Mazzulla dovesse rivelarsi meno traumatico di quanto si immagina ora, lo scorso anno hanno trovato una formula in grado di portarli a dominare la seconda metà di regular season con distacchi siderali dagli avversari. Avere una rotazione senza neanche un cattivo difensore fa la differenza in una NBA in cui giocare “mismatch basketball” è ormai la normalità.




Qual è la squadra favorita a chiudere la regular season al primo posto a Ovest?

Francesco Andrianopoli: I Phoenix Suns. Sono l’unica squadra tra i top team che ha la voglia e quasi la necessità di fare una stagione regolare che diventi uno “statement”, la dimostrazione che l’anno scorso non è stato un caso (e non lo è stato). La situazione di Ayton certamente può essere una distrazione, ma lo era già l’anno scorso, e si è visto che in regular season non ha minimamente inciso.

Daniele V. Morrone: C’è un enorme SE davanti a tutto quello che sto per scrivere: ovvero SE Kawhi Leonard e Paul George arrivano sopra le 60 partite giocate come coppia. Perché in questo caso i Clippers sono una squadra profondissima nel roster, con giocatori navigati che sono sfruttati al meglio da un ottimo allenatore come Tyronn Lue e appunto hanno in Leonard e George una delle migliori coppie di superstar della Lega. Anche visto che l’obiettivo è il titolo, puntare al fattore campo ad Ovest potrebbe essere necessario: avere Leonard e George per lunga parte della stagione dovrebbe portare i Clippers a potercela fare.

Dario Costa: I Denver Nuggets. Fatta salva la tenuta dell’infermeria, per distacco il reparto più problematico in casa Denver, ai ragazzi di coach Malone potrebbe far gioco la probabile tendenza delle altre corazzate dell’ovest, Warriors e Clippers in primis, a gestire la regular season viaggiando a velocità di crociera. I pochi flash visti prima dell’infortunio che ha tenuto lontano dai campi Jamal Murray per oltre un anno e mezzo erano stati impressionanti, un roster discretamente profondo e molto ben costruito potrebbe sostenerne il rendimento nel medio-lungo periodo.

David Breschi: I Phoenix Suns che giocheranno con il coltello tra i denti per farsi perdonare il finale di stagione dell’anno scorso. È probabilmente l’ultimo giro di giostra a questo livello per Chris Paul e questa squadra se vuole avere un futuro insieme deve ricompattarsi in questa regular season.

Fabrizio Gilardi: I Denver Nuggets avranno un calendario facilissimo nelle prime settimane di stagione e da lì in poi potrebbero volare sulle ali dell'entusiasmo di un roster equilibrato e profondo quanto basta. E sulle spalle di Nikola Jokic, ovviamente.

Dario Ronzulli: Livello molto equilibrato, non vedo una squadra nettamente favorita sulle altre, mi stuzzica molto la voglia di Phoenix di spaccare il mondo ma sono più del partito Denver, soprattutto se Jamal Murray tornerà in tempi brevi il giocatore che era pre-infortunio.

Dario Vismara: Giusto per dare un nome diverso dagli altri, sottolineo che la traiettoria dei Memphis Grizzlies dovrebbe essere in ascesa e non in discesa: certamente l’infortunio di Jaren Jackson Jr., la loro ancora difensiva, è un problema difficile da aggirare, ma nessuno come Taylor Jenkins è capace di tirare fuori qualcosa da ciascuno dei 15 giocatori a disposizione durante la regular season.


Quale sarà la squadra più divertente della lega, aka quella da non perdere su League Pass?

Francesco Andrianopoli: I New Orleans Pelicans. Dammi tre parole: “torna Zion Willamsone” (la E serve per fare la rima). Questo già dovrebbe bastare, visto che è il singolo giocatore più divertente ed elettrizzante della lega. Ma anche a parte lui, o eventualmente senza di lui, in questa squadra c’è veramente qualcosa per tutti i gusti: vi piace il talento puro? C’è Brandon Ingram; qualcosa di più classico e “pane e salame”? CJ McCollum e il suo libro dei trucchi su come inventarsi un tiro; la difesa? Herb Jones e Larry Nance; giocatori di culto in panchina? Alvarado su tutti, Dyson Daniels VOLA, Trey Murphy in preseason era posseduto al tiro da fuori, anche Naji Marshall quando gira l’angolo va al ferro come un treno. Serve altro?

Daniele V. Morrone: Avendo perso due giocatori importanti dalla panchina come Kyle Anderson e DeAnthony Melton (sostituiti con due rookie) e non potendo avere per un bel po’ di tempo Jaren Jackson Jr, è molto probabile che Memphis non raggiunga lo stesso numero di vittorie della scorsa stagione. Ma se parliamo di divertimento nel guardare una squadra, la personalità competitiva e molto sbruffone in più giocatori del roster porta Memphis ad essere quanto meno una squadra che intrattiene anche nelle sconfitte. Aggiungo che la motivazione principale per cui vale la pena sempre recuperarli il giorno dopo non ha bisogno di ulteriori descrizioni oltre a questa azione di pochi giorni fa:

Dario Costa: I Toronto Raptors. In Canada non hanno certo una quantità di talento paragonabile alle squadre migliori della lega, ma ogni sera l’alchimista Nick Nurse può regalare soluzioni tattiche intriganti e con ogni probabilità inconsuete. Una squadra in cui più o meno tutti sanno fare più o meno tutto e sono disposti a farlo. Non basta? C’è Scottie Barnes che a 21 anni sa già giocare in tutti e cinque i ruoli (o almeno in quattro) ed è una gioia per chi ama il basket contemporaneo fatto di versatilità e capacità di adattarsi a ogni contesto (oltre a far impazzire i nostalgici dell’asse play-pivot, che non è poca cosa).

David Breschi: Per me che sono un’amante dello X&O dico sempre Golden State Warriors, anche con Draymond Green che gioca a Street Fighter.

Fabrizio Gilardi: "I Sacramento Kings" raramente è da considerare un'opzione come risposta positiva a una qualsiasi domanda, ma stavolta tocca a loro: attacco brillante e difesa sciagurata sono un'ottima ricetta per assicurare divertimento. Se poi dovesse andare male come al solito si può sempre sperare in qualche momento di comicità involontaria (perché è involontaria, vero?).

Dario Vismara: Sfortunatamente mi viene da dire i Brooklyn Nets. Avranno momenti di brillantezza offensiva come nessun’altra squadra, non fosse altro per la quantità di talento e tiratori che hanno a disposizione, ma non hanno nemmeno la consistenza difensiva per poter dominare le partite, dando il vita a molte gare combattute. E poi il drama è sempre dietro l’angolo, il che li rende quasi imperdibili.




Delle due l’una: i Brooklyn Nets saranno una contender oppure la più grande implosione nella storia della lega

Francesco Andrianopoli: Voto contender. Con Kyrie e KD in campo insieme, l’offensive rating dei Nets nel 2021-22 è stato 125.4, anche in una stagione folle e disfunzionale. Questi due possono (e devono) essere criticati per come si approcciano fuori dal campo, ma quando ci sono bastano loro due a trasformarti in una contender, anche perché attorno ci sono tiratori che ti castigano alla prima mezza rotazione sbagliata. Rimangono i dubbi su Ben Simmons e sulla difesa, ma se inizi a macinare canestri e mettere in cascina un po’ di vittorie, poi sul resto ci si può lavorare.

Dario Costa: Contender. In una stagione in cui a est già a gennaio poco meno della metà delle squadre potrebbe abdicare issando la bandiera del tanking, i Nets, pur con tutti i problemi e i dubbi del caso, dovrebbero riuscire a gestire i carichi per i giocatori più fragili (non solo fisicamente) e allo stesso tempo utilizzare la regular season per dare forma a un roster tutt’altro che perfetto ma anche tutt’altro che scarso. Dai playoff in poi, salute (pure mentale, ça va sans dire) permettendo, potrebbero diventare un discreto cubo di Rubik.

David Breschi: Proveranno a fare la contender ma non ci riusciranno. Il che vuol dire che non imploderanno, ma nemmeno faranno scintille. Partono senza troppi favori del pronostico e questo è un bene per non avere troppe pressioni. È anche probabile che possano giocarsi il fattore campo al primo turno dei playoff, ma non hanno le carte in tavole per puntare al bersaglio grosso con un cast mediocre dietro KD, Irving e Simmons anche al top della forma.

Fabrizio Gilardi: Sono anziano abbastanza da ricordare questo video, e da averne apprezzato la versione dei Nets:

https://twitter.com/AhnFireDigital/status/1579825931858112513

Perché mentre siamo totalmente assorbiti da Kyrie Irving in contract year e Kevin Durant che fino all'altro ieri voleva essere ceduto, c'è Ben Simmons che testa la nostra capacità di concentrazione. Non necessariamente ci credo, sicuramente non ci spero, ma in un certo senso tifo per l'implosione e una notevole e ulteriore dose di dramma.

Dario Ronzulli: Con la morte nel cuore perché Kevin Durant resta e resterà una delle cose più belle mai viste su un campo da basket, troppi indizi portano dritti dritti verso l’implosione non necessariamente fragorosa.

Dario Vismara: Il bottone dell’“autodistruzione” è stato sfiorato più volte nel corso di questa estate, ma nessuna delle altre 29 squadre della lega ha poi così tanta voglia di dare loro una mano a recuperare tutto quello che hanno investito per costruire questo roster. Rimane comunque una squadra nella quale la superstar ha sfiduciato sia l’allenatore che il capo della dirigenza. E poi c’è Kyrie Irving. E poi anche Ben Simmons.


Sì o no: Golden State è forte abbastanza da poter superare anche un evento traumatico come il pugno di Draymond Green a Jordan Poole

Il momento che ha cambiato tutto.

Francesco Andrianopoli: No. Molti veterani NBA han detto che scene di quella violenza all’interno dello spogliatoio se ne sono viste parecchie (i Knicks del sumo con i canestri, i Jail Blazers, i Bulls del primo Artest), e semplicemente non c’erano i cellulari e i social network. È vero, ma è vero anche che nessuna delle squadre citate in quegli esempi ha mai vinto il titolo. Basta anche meno per incrinare gli automatismi e gli equilibri di una squadra che vive di automatismi, di extra pass, del fidarsi ciecamente del tuo compagno in attacco e in difesa.

Dario Costa: Sì. Semplificare e banalizzare in questi casi è sempre sbagliato, ma alla fine le ripercussioni di quanto successo dipenderanno dalla risposta alla domanda: Steph Curry vuole ancora giocare con Draymond Green? Al momento parrebbe di sì, almeno per un’altra stagione, e con Curry (e Kerr, e Myers e Lacob di rimbalzo) anche una potenziale mina come quella del destro di Green a Poole potrebbe venire se non disinnescata, quantomeno aggirata fino al giugno prossimo.

David Breschi: Sì, perchè Steve Kerr saprà domare lo spogliatoio e perchè Green, focoso quanto volete ma non stupido, giocherà con il capo cosparso di cenere per tutto l’anno.

Daniele V. Morrone: Il fatto che l’incidente sia arrivato prima dell’inizio della stagione, che Green non abbia pubblicamente accampato scuse e che Poole sia stato già “ricompensato” col nuovo contratto da 140 milioni in quattro anni dovrebbe dare abbastanza tempo a Steph Curry, Steve Kerr e gli altri veterani influenti nel roster come Andre Iguodala per rimettere il focus sul bene comune una volta arrivato il periodo caldo della stagione.

Fabrizio Gilardi: Sì e non solo, Poole sarà assolutamente determinante per tenere in linea di galleggiamento l'attacco degli Warriors, anche perché Steph ormai ha una certa età. Tra 9 mesi se ne riparla, ma per ora no worries.

Dario Ronzulli: Sì, in quello spogliatoio c’è troppa esperienza, troppo vissuto comune per pensare che il cazzotto in questione turbi la stagione di GSW.

Dario Vismara: Vincere cura ogni cosa, anche quelle oggettivamente brutte come quello che è accaduto con Draymond Green e Jordan Poole, che inevitabilmente è già un punto di svolta per la stagione: se vinceranno, verranno elogiati per aver superato quell’evento; se perderanno, tutti faranno ricondurre la sconfitta a quel pugno. In ogni caso, la sensazione è che questo sia l’ultimo anno in cui vediamo Draymond Green sulla Baia, considerando anche i rinnovi firmati da Poole e Andrew Wiggins.




Dopo quattro anni di dominio europeo con le doppiette di Giannis e Jokic, un americano tornerà a vincere il titolo di MVP?

Francesco Andrianopoli: No, anche perché i maggiori favoriti rimangono comunque loro due, e dopo di loro i più quotati sono comunque non americani, cioè Embiid e Doncic.

Dario Costa: No. Al momento Embiid e Doncic sono ottimamente posizionati, sia per quanto fanno in campo che per la celeberrima narrative, e l’unico tra gli americani che potrebbe avere i mezzi e la volontà di sobbarcarsi una stagione da MVP parrebbe Ja Morant, che però non sembra godere di ottimi uffici nel rapporto con gli addetti ai lavori (e questo nel caso del premio di MVP conta eccome).

Daniele V. Morrone: La testa dice no, ma il cuore dice che se c’è un giocatore che può riuscirci è Ja Morant. Arriva già con la nomea di giocatore più elettrizzante della NBA, sull’onda lunga di un percorso ai playoff in cui se l’è giocata alla pari con Steph Curry e gioca in una squadra che dovrebbe chiudere col record positivo. Soprattutto entra nel suo quarto anno nella lega, solitamente il momento in cui le guardie fanno un ulteriore salto grazie all’esperienza accumulata e al picco atletico in cui si trovano.

David Breschi: Io mi gioco il jolly e dico sì. Posto che abbiamo perso il numero di passaporti detenuti da Joel Embiid, che di americano ha veramente poco… e se fosse l’anno di Jayson Tatum? Si appresta a iniziare il suo sesto anno nella lega e ogni stagione ha migliorato le proprie statistiche individuali giocando in quella che è diventata la squadra più forte della Eastern Conference. Se rimangono così le cose secondo me unico candidato credibile a interrompere il duopolio serbo-greco.

Fabrizio Gilardi: Difficile, Onestamente Non Cambierei Il Continente.

Dario Ronzulli: No: l’opzione Ja Morant mi intriga, ma credo che i tempi possano essere maturi per Luka Doncic.

Dario Vismara: Due piccioni con una fava: lo vince Joel Embiid che nel frattempo accetta la corte di Team USA per diventarne il centro titolare in vista di Parigi 2024.


Chi è il maggiore indiziato per fare il salto di qualità ed entrare nel rango degli All-Star?

Francesco Andrianopoli: Deandre Ayton. Il rendimento da borderline All-Star l’ha già raggiunto su entrambi i lati del campo, gli serve solo quel pizzico di motivazione in più, e quest’anno di motivazioni ne ha parecchie. Come tutti gli altri compagni deve fare una grande regular season per far dimenticare quella gara-7 contro i Mavs, ma rispetto a tutti gli altri ha anche l’incentivo ulteriore del mettersi in mostra (e metter giù sul tavolo le statistiche grezze) per incentivare qualche squadra a offrire il prezzo che i Suns pretenderanno per lasciarlo andare via.

Daniele V. Morrone: La risposta facile è Anthony Edwards, per cui sembra più che scontato un ulteriore salto di livello, che per uno col suo talento e il suo carisma non può che portare alla prima di molte chiamate all’All-Star Game. Concedetemi però una risposta molto meno probabile e che però significherebbe la salvezza per una franchigia intera: RJ Barrett. Nel suo caso il salto di qualità significa soprattutto un gioco più assertivo e con una crescita nelle sue percentuali al tiro dopo che la stagione passata che le ha viste regredire ad un misero 51% di percentuale reale.

Dario Costa: Anthony Edwards. Il livello a cui ha giocato per buona parte della scorsa stagione, in particolare dopo la sosta dell’All-Star Game, era già molto vicino a quello richiesto per la chiamata tra le stelle. Un impianto di squadra sulla carta molto migliorato dovrebbe consentirgli di esprimersi con ancor più continuità e, se dovesse imparare a gestire meglio alcuni momenti di vuoto e altri in cui agisce con foga eccessiva, l’impressione è che potrebbe diventare quasi inarrestabile.

Male che vada, il futuro a Hollywood è assicurato.

David Breschi: Sono di casa e dico Tyler Herro, anche perché quest’anno – forte del rinnovo contrattuale – giocherà titolare. La speranza è che oltre a alzare le cifre, alzi anche il proprio impatto. Alla fine potrebbe diventare la risposta bianca a Trae Young, anche nell’immaginario collettivo.

Fabrizio Gilardi: Shai Gilgeous-Alexander si meriterà a pieno la convocazione, farà un figurone in campo a Salt Lake City (perché va ricordato che l'ASG avrà luogo nello Utah e nel disinteresse totale dei tifosi locali, che in questa stagione si dedicheranno ad attività differenti dal seguire i Jazz) e durante il rientro a Oklahoma City scoprirà di essersi procurato un leggero eritema a causa del sudore indotto dalle scarpe speciali utilizzate per l'evento, inconveniente che lo costringerà a saltare la restante parte di stagione, perché vedi domanda n.10.

Dario Vismara: Tyrese Haliburton avrà palloni, minuti e numeri per poter avanzare la sua candidatura quasi in automatico per il reparto guardie della Eastern Conference: con un record almeno accettabile, lo si dovrà prendere in considerazione.




Di quale giocatore stiamo per vedere l’ultima stagione in NBA, anche se non lo sappiamo?

Francesco Andrianopoli: Russell Westbrook, ma detto affettuosamente.

Buone premesse.

Daniele V. Morrone: Ok qui sto barando perché qualche giorno fa proprio lui ci ha avvisato di questa cosa, ma visto che non ha dato una data e soprattutto non tutti si informano sulle parole di Goran Dragic posso aggiungere che lui è in scadenza e gli anni si sono fatti sentire tutti nell’ultima stagione, in cui per la prima volta da una dozzina di anni non ha chiuso in doppia cifra e ha giocato solo 21 partite. A 36 anni sembra arrivato a fine corsa.

Dario Costa: Alex Len. Quasi arrivato alla soglia dei trent’anni, ci sono pochi dubbi sul fatto che molte squadre di Eurocup con sede in località dal nome oscuro di cui nessun essere civilizzato ha mai sentito parlare attendano di poter mettere in campo questi 213 centimetri per 113 chilogrammi di totale, raccapricciante, irrecuperabile inutilità cestistica.

David Breschi: Serge Ibaka avrebbe dovuto smettere almeno un paio di stagioni fa.

Fabrizio Gilardi: Ah dite nel senso che pensiamo che si siano già ritirati? Carmelo Anthony e Dwight Howard avranno un ultimo cameo, da qualche parte.

Dario Vismara: Taj Gibson è ancora vivo e lotta insieme a noi in quel di Washington, e quello che vedrete sul fondo della panchina di Sacramento è proprio Matthew Dellavedova, non solo uno che gli assomiglia.


Che cosa possiamo aspettarci dalla prima stagione di Paolo Banchero in NBA?

Francesco Andrianopoli: 17-7-3: se riesce a imporsi come prima opzione, anche caratterialmente e non solo tecnicamente, tutto il resto verrà da sé; quasi sicuramente senza grande costanza né efficienza, ma per quelle ci sarà tempo nelle stagioni successive.

Dario Costa: Rookie Of The Year se Jalen Green deciderà che non gli va di passarla a Jabari Smith e se la maledizione dei Kings si abbatterà sull’incolpevole Keegan Murray. Metterà buone cifre a tabellino e dovrà imparare a gestire la rabbia per i tanti, tantissimi errori e la poca lucidità messa in campo dai compagni che non godono di passaporto della Repubblica Federale di Germania.

Il meglio di Banchero in Summer League.

Daniele V. Morrone: L’obiettivo credibile per la prima stagione di Banchero è quello di prendersi da subito in mano i Magic (a cui da troppo tempo manca un giocatore carismatico come lui) e giustificare così il motivo per cui è stato scelto alla numero 1, che è l’unico numero che pesa da subito quando si parla di scelte al Draft, ma che ti da anche l’esposizione mediatica per bruciare le tappe se inizi alla grande.

Fabrizio Gilardi: Primo quintetto all-rookie, podio nel premio di Rookie of the Year, podio tra i migliori realizzatori dei Magic, un sacco di visualizzazioni sui social per due o tre highlights a partita veramente intriganti. Le partite dei Magic per fortuna non interessano a nessuno e qualcuno dubita anche che vengano effettivamente giocate, quindi per tutto il resto non c'è fretta.

David Breschi: Che non venga sviluppato solo come realizzatore ma che venga spinto dal coaching staff anche a esplorare le sue doti come creatore di gioco. Quindi in grado di mettere su numeri notevoli, ma leggermente più bassi di quanto ci aspettassimo, in favore di una crescita tecnica costante da qui alla fine della regular season.

Dario Ronzulli: Fuoco e fiamme a corrente alternata, nel senso che è prevedibile che i Magic si affidino a lui come principale terminale di gioco, ma che è altrettanto prevedibile che vada incontro a qualche passaggio a vuoto, fisiologico per i rookie. Lottare per il titolo di Rookie of the Year lo darei per scontato.

Dario Vismara: I Magic hanno un po’ più talento difensivo di quello che ci si aspetterebbe da una squadra con quel record, specialmente se Jonathan Isaac dovesse tornare a essere un giocatore di pallacanestro. In attacco passa molto dalle mani di Paolo: le percentuali dal campo saranno un problema, specie per quanto si affida al tiro dalla media distanza, ma non gli manca niente per diventare un hub attraverso il quale far passare il gioco.




Il tanking per Victor Wembanyama sarà uno dei temi della stagione: quale squadra che non ci aspettiamo finirà per dare su la seconda parte di regular season pur di guadagnare qualche pallina in più?

La singola partita più importante della stagione 2022-23, senza che nemmeno sia una partita NBA.

Francesco Andrianopoli: I Chicago Bulls. Sarebbe un peccato, perché nei primi mesi della scorsa stagione avevano veramente dato l’impressione di aver azzeccato tutte le mosse e tutti gli azzardi, ma poi è deragliato tutto. DeRozan difficilmente potrà confermarsi a livelli da quasi MVP, le guardie sono infortunate o al ritorno da infortuni lunghi, Patrick Williams inizia la sua stagione “della svolta” perdendo il posto da titolare contro Javonte Green: le premesse non sono delle migliori.

Dario Costa: Portland Trail Blazers. Difficile ambire a qualcosa in più di un posto alla roulette del play-in per i rinnovati Blazers, che sembrano mostrare all’incirca gli stessi difetti della loro versione vista negli ultimi anni. Se a gennaio la classifica dovesse risultare insoddisfacente, è probabile che il nuovo general manager Joe Cronin passi sotto banco a giocatori e coaching staff delle immagini delle partite della LNB Pro A francese e che a quel punto Damian Lillard avverta un dolorino all’addome e Chauncey Billups ceda all’irresistibile tentazione di provare Jabari Walker da point-forward.

David Breschi: Mi piace veder bruciare l’inferno e dico New York Knicks con Tom Thibodeau licenziato.

Daniele V. Morrone: Non mi piace vedere l’inferno bruciare, soprattutto se l’inferno è la squadra di cui guarderò più o meno tutte le partite stagionali, ma concordo che se le cose vanno male per i mille motivi per cui solitamente vanno male ai Knicks, una volta licenziato Thibs possono tranquillamente diventare candidati a partecipare alla tonnara per Wembanyama senza veder compromesso il futuro a breve termine.

Fabrizio Gilardi: Circa un terzo (escludendo quelle con protezioni che probabilmente consentiranno ai proprietari di non perderle) e fino a metà (considerandole tutte, anche i potenziali swap) delle scelte del primo giro del Draft 2023 non apparterranno alle squadre di origine. In una stagione con un premio come Wembanyama non avrei potuto chiedere di meglio. Per restare pertinente alla domanda: nessuna di veramente sorprendente, anche appunto per questo motivo.

Dario Vismara: Considerando che gli Charlotte Hornets sono già ampiamente in corsa dopo una stagione in cui hanno galleggiato in zona play-in, Washington e Portland a un certo punto potrebbero risvegliarsi dal torpore e capire che così strutturate attorno a Beal e Lillard non possono competere, accendendo il mercato di febbraio.


Sì, tutto bello, ma alla fine chi vince il titolo NBA?

Francesco Andrianopoli: Milwaukee Bucks.

Dario Costa: L.A. Clippers.

Daniele V. Morrone: Milwaukee Bucks.

David Breschi: Philadelphia Sixers con Doc Rivers che non sbag… no dai, stavo trollando: i Milwaukee Bucks.

Fabrizio Gilardi: Golden State Warriors.

Dario Ronzulli: Milwaukee Bucks.

Dario Vismara: Almeno uno di noi deve dire Boston Celtics.


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