Dal 2013 a oggi tutte le prime scelte assolute al Draft hanno ricevuto un’estensione di contratto prima che scadesse il loro accordo da rookie. C’è voluta una catastrofe del calibro di Anthony Bennet per portare una franchigia NBA a non voler proporre alla propria “first overall pick” un accordo per evitare che diventasse free agent: persino Markelle Fultz, un giocatore che ha letteralmente disimparato a tirare da un giorno all’altro e ha avuto il peggior triennio possibile per cominciare la propria carriera, è stato esteso dagli Orlando Magic nel dicembre dello scorso anno, mentre tutti gli altri — da Andrew Wiggins a Ben Simmons passando per Karl-Anthony Towns — hanno ricevuto senza battere ciglio un contratto al massimo salariale al termine della loro terza stagione in NBA. La stessa cosa accadrà con Zion Williamson e molto probabilmente anche con Anthony Edwards e Cade Cunningham, se tutto andrà per il verso giusto.
Solamente quest’estate abbiamo applaudito alle estensioni di contratto firmate da diversi membri del Draft del 2018 come Luka Doncic, Trae Young, Shai Gilgeous-Alexander e Michael Porter Jr., tutti confermati con accordi al massimo salariale. Anche Deandre Ayton, che di quel Draft è stato legittimamente prima scelta assoluta, si aspettava di essere trattato allo stesso modo, specialmente dopo una stagione e una cavalcata playoff in cui è stato un membro chiave della squadra che ha raggiunto le Finali NBA. Invece i Phoenix Suns non hanno voluto mettere sul piatto il miglior contratto possibile, cioè un’estensione da “designated player” che sarebbe valsa a Ayton circa 172 milioni di dollari in cinque anni e la possibilità — qualificandosi per un quintetto All-NBA, vincendo l’MVP o il premio di Difensore dell’Anno in questa stagione — di arrivare a oltre 200 milioni nello stesso arco temporale. Un contratto che Ayton sentiva di essersi guadagnato, mantenendo ferma la sua richiesta senza provare a venire incontro alla squadra, tanto che — come ammesso dal General Manager James Jones a The Athletic — «non c’è stata una vera trattativa tra le parti». Ma perché si è arrivati a questo punto?
La visione dei Suns su Deandre Ayton
Parlando con il giornalista Sam Amick, James Jones ha provato a gettare acqua sul fuoco su una decisione che ha lasciato abbastanza perplessi in giro per la lega. Jones ha ribadito l’importanza di Ayton per la squadra e il suo ruolo «vitale» nella corsa dello scorso anno, e che la franchigia rimane impegnata nel successo a lungo termine del suo centro. «La conversazione con gli agenti però è cominciata e finita in fretta: non avrebbero accettato niente al di sotto del massimo salariale su cinque anni come “designated player”. Quella è la questione principale. Abbiamo parlato anche di contratti da tre o quattro anni, è vero. Ma è un contratto che può essere accettato solo se lo prendi in considerazione seriamente».
Gli agenti di Ayton hanno smentito che i Suns abbiano offerto contratti al massimo salariale di qualsiasi tipo (quindi anche più corti), e Jones ha fatto trapelare anche che dare un contratto “designated player” a Ayton dopo averlo già dato a Devin Booker nel 2018 avrebbe impedito alla squadra di acquisire un altro giocatore con quel tipo di contratto, visto che secondo le regole NBA non se ne possono avere più di due a roster. Una giustificazione che regge solo parzialmente, visto che quella tipologia di giocatori — quella dei Doncic, Young, Jayson Tatum e Donovan Mitchell, per intenderci — sono attualmente intoccabili, e anche se diventassero disponibili lo sarebbero quando il contratto di Booker sarà già da rinnovare, liberando così uno “slot” da designated player. Le uniche eccezioni riguardano Ben Simmons (per il quale però Phoenix dovrebbe rivoluzionare la squadra) e Karl-Anthony Towns, grande amico di Devin Booker, per il quale però (nel remoto caso in cui Minnesota decidesse di scambiarlo) sarebbe indispensabile cedere Ayton, visto che non avrebbe senso tenerli entrambi insieme.
La questione, in ogni caso, rimane un’altra: perché i Suns non hanno ritenuto Ayton meritevole di un max contract? Stiamo parlando della stessa franchigia (anche se non della stessa dirigenza) che tre anni fa ha deciso di prenderlo alla numero 1 del Draft preferendolo a Luka Doncic, sul quale avevano informazioni di primissima mano avendo Igor Kokoskov (allenatore della Slovenia campione a Eurobasket 2017) in panchina in quel momento. E nonostante la grandezza di Doncic, comunque Ayton lo scorso anno ha fatto vedere abbastanza sui due lati del campo per rendere quella scelta non dico giusta, perché Doncic è e sarà sempre un giocatore migliore del bahamense, ma quantomeno difendibile per la costruzione di un roster attorno a un talento perimetrale come Booker. Non siamo ai livelli di ritenere giusto prendere Hakeem Olajuwon alla 1 nel Draft del 1984 quando alla 3 è disponibile Michael Jordan, ma anche in retrospettiva la scelta dei Suns non è sconsiderata — al contrario di Marvin Bagley per Sacramento, ma questa è un’altra storia.
Con l’arrivo di Chris Paul, Ayton è diventato un centro competente sia in attacco che in difesa, in grado di tenere il campo anche ai livelli più alti dei playoff — dove molti centri finiscono per essere “frullati” dalla velocità e dalle skills richieste per tenere il passo delle migliori squadre. In una lega in cui si tende ad andare sempre più small, avere un lungo di 213 centimetri in grado di cambiare difensivamente sui pick and roll e reggere contro gli esterni avversari è un lusso che in pochi si possono permettere, e a questo Ayton aggiunge comunque una presenza interna in grado di tenere botta contro lunghi del calibro di Anthony Davis e Nikola Jokic, contro i quali è sembrato tutt’altro che a disagio — anzi. Alle Finals NBA, pur peggiorando di partita in partita, Ayton era anche l’unico marcatore credibile per Giannis Antetokounmpo, che poi ha finito per dominare comunque una serie destinata agli annali, ma contro il quale comunque il centro dei Suns ha fatto quello che ha potuto.
Se sono arrivati a giocarsi il titolo, poi, è anche per merito del suo game winner contro i Clippers nelle finali di conference.
Nella metà campo offensiva, poi, Ayton è stato intelligente nel limitarsi a “stare nel suo”. Mentre a inizio carriera tendeva a prendersi troppi tiri in allontanamento con pochi movimenti di potenza nei pressi del canestro (un difetto che comunque gli è rimasto, così come l'incapacità di creare qualcosa in proprio), nella scorsa stagione si è specializzato nel lavoro sporco per i compagni, portando una quantità gigantesca di blocchi per tutti e buttandosi a rimbalzo d’attacco anche quando non toccava palla per diverse azioni consecutive. Un bagno di umiltà che ha fatto indiscutibilmente bene alla squadra, anche se non ha avuto un impatto positivo sulle sue cifre “grezze” (è sceso di quasi 3 punti segnati di media su 36 minuti) e, in una lega che lo scorso anno ha riscoperto il fascino dei lunghi, lo ha fatto passare un po’ in secondo piano.
La delusione di Ayton nasce probabilmente da questo: dopo aver fatto tutto quello che gli era stato chiesto e aver anteposto il bene della squadra al proprio, caricandosi sulle spalle il lavoro sporco di tutto il quintetto, non si è visto ricompensato come pensava di meritare dal punto di vista economico per quanto fatto nella passata stagione. Di fatto è come se i Suns gli avessero detto che secondo loro non vale i top del ruolo come Embiid, Jokic o Rudy Gobert, ma che lo vedono più come un Clint Capela o un Myles Turner: sicuramente dei centri titolari in squadre di alto livello, ma un gradino più in basso rispetto agli altri. Dei pezzi, ma non delle pietre angolari del progetto. E sentirselo dire dalla franchigia che lo ha scelto alla numero 1 di un Draft con Doncic e lo ha sostenuto per tutto questo tempo non deve essere stato gradevole.
Le altre mosse dei Suns e il valore di Ayton sul mercato
In molti hanno provato a interpretare la scelta dei Suns con il classico “braccino corto” del proprietario Robert Sarver, notoriamente riluttante a pagare la luxury tax (non accade dal 2010) e spesso finito nel mirino per le sue decisioni cestistiche non proprio illuminate, complice una conoscenza del gioco — a voler essere buoni — scarsa. Il GM James Jones, che ha il pieno controllo cestistico dell'organizzazione insieme a coach Monty Williams, ha però fatto notare come le altre mosse estive dei Suns, dal rinnovo di Chris Paul a quelli di Cam Payne o anche solo la firma di JaVale McGee, siano andate ad aumentare il monte salari della squadra per cercare di migliorarla. E a queste si sono aggiunte le estensioni di Mikal Bridges (90 milioni di dollari in cinque anni) e Landry Shamet (43 in quattro, pur con solo i primi 20 milioni garantiti nei primi due anni), due mosse che testimoniano come i Suns siano disposti a ripagare chi dimostra di voler lavorare, e che fanno stonare ancora di più il non-accordo con Ayton, come se fosse una bocciatura innanzitutto delle sue motivazioni ad allenarsi per migliorare.
Se sull’estensione di Bridges possono esserci pochi dubbi (anzi, al termine del suo accordo potrebbe anche essere ben al di sotto del suo reale valore), quello di Shamet lascia un po' più perplessi. Dopo aver cambiato quattro squadre nei primi tre anni di carriera, il tiratore arrivato da Brooklyn si è guadagnato un contratto da oltre 10 milioni di dollari l’anno prima ancora di aver disputato un singolo minuto per la franchigia, per quanto coach Williams sia stato un suo grande sostenitore. Considerando le difficoltà difensive viste lo scorso anno nel tenere il campo nella serie contro i Bucks, viene da chiedersi quale squadra gli avrebbe offerto quei soldi sul mercato dei free agent e soprattutto quella durata (per quanto, come detto, il terzo anno sia non-garantito e il quarto in team option). Shamet inoltre sarebbe comunque stato restricted free agent, dando ai Suns la possibilità potenzialmente di trattenerlo a cifre inferiori.
A questo punto è bene sottolineare che anche il futuro di Ayton è e rimane sotto il controllo dei Suns, visto che non solo potranno pareggiare qualsiasi offerta (che deve essere come minimo di tre anni garantiti) ma potranno sempre offrirgli lo stesso identico contratto che non hanno voluto mettere sul tavolo ora. Non tutto è perduto, insomma. Viene da chiedersi però perché abbiano voluto incrinare così il rapporto con il proprio centro, che quest’anno inevitabilmente sentirà la pressione di dover dimostrare di valere un contratto al massimo salariale (e di essere dello stesso livello di Doncic, Young e gli altri, verso i quali prova un senso di "competizione a distanza") e potrebbe anche finire per prendersi qualche tiro in più del dovuto per migliorare le proprie statistiche invece di “rimanere nel suo” come fatto egregiamente lo scorso anno.
Dopo aver deciso di non parlare con la stampa per due giorni a seguito della notizia del mancato accordo, Ayton si è presentato in allenamento con la maglia del compagno di squadra Elfrid Payton. Non dovrebbe sfuggire la presenza di “PAY” nel gioco di parole.
Non è da escludere che ci siano state anche delle motivazioni “caratteriali” nella decisione di non impegnarsi così a lungo con Ayton, che nella stagione 2019-20 ha subito una sospensione da 25 partite per essere risultato positivo all’anti-doping per un diuretico, ed è noto comunque per il suo atteggiamento “tra le nuvole” fuori e dentro il campo. Si poteva pensare, a torto o a ragione, che dopo essersi assicurato il contrattone Ayton potesse adagiarsi sugli allori, senza rimettersi a lavorare per migliorare e fornire lo stesso livello di impegno visto lo scorso anno, in cui comunque in diverse occasioni (anche ai playoff) non è stato intoccabile, finendo a volte anche in panchina nei momenti decisivi delle partite. E al netto della sua importanza difensiva, rimaneva comunque la terza e a volte anche la quarta opzione offensiva della squadra, nonché un giocatore che aveva bisogno di essere coinvolto, coccolato e "imboccato" (specialmente da Chris Paul, visto che dalle mani sapienti del Point God sono arrivati 138 assist per DA, e solo Draymond Green-Steph Curry hanno fatto meglio) per averlo al 100% anche in difesa. E dare un max contract a un terzo/quarto violino, specie quando sei già impegnato per oltre 60 milioni di dollari solamente nel backcourt titolare, può far nascere dei dubbi.
Il problema per i Suns è che il resto della NBA sembra ben disponibile a concedere a Ayton quello che vuole pur di assicurarselo per gli anni a venire. Squadre che avranno spazio salariale come Detroit, Oklahoma City o San Antonio avrebbero tutte necessità di un centro come lui da affiancare ai propri giovani talenti perimetrali, e anche squadre come Charlotte potrebbero creare abbastanza spazio salariale pur di assicurarselo — inserendo tutta una serie di cavilli per rendere il contratto meno “team friendly” e portare i Suns a non pareggiare, primo tra tutti la durata.
Firmando con un’altra squadra Ayton potrebbe accordarsi per un 3+1, tornando quindi potenzialmente sul mercato dei free agent nell’estate del 2025, un anno che è già cerchiato sui calendari di tutte le dirigenze (e degli agenti) della lega. Il contratto televisivo collettivo con ESPN e TNT, infatti, è in scadenza al termine della stagione 2024-25 e, se verrà confermata la crescita della lega, ci si aspetta che sia decisamente più remunerativo rispetto a quello attuale, portando il salary cap nei dintorni dei 160/170 milioni di dollari rispetto agli attuali 110/120. È possibile che questa volta la NBA e l’associazione giocatori decidano di “calmierare” artificialmente la crescita del salary cap per evitare che schizzi di 20 o 30 milioni di un anno all’altro, come accaduto nella folle estate del 2016 che ha generato mostri che ancora oggi si aggirano nei libri paga delle squadre NBA (sapevate che il quinto “giocatore” più pagato dai Lakers è… Luol Deng?), ma comunque si tratterà di uno scenario diversissimo rispetto a quello attuale.
Assicurarsi Ayton oggi sarebbe probabilmente costato qualcosa in più nell’immediato, ma — come sottolineato da Sam Vecenie su The Athletic — avrebbe dato benefici nelle stagioni 2025-26 e 2026-27 quando Ayton, non ancora 30enne e quindi nel pieno del suo prime, sarebbe stato probabilmente sottopagato rispetto al suo reale valore (e quindi anche più scambiabile), al netto dei dubbi sul suo carattere già elencati sopra e dei possibili infortuni che possono far deragliare la carriera di qualsiasi giocatore. Phoenix avrebbe quindi avuto tutto l’interesse non solo a non inimicarsi il proprio centro titolare, ma anche ad assicurarselo al 25% di un salary cap da 112 milioni rispetto al 30% di uno potenzialmente da 160. Ed è per questo che anche la possibilità di firmare un accordo più corto di tre o quattro anni paventata da James Jones non aveva davvero senso.
Ci sono ottime possibilità che tutto questo si risolva con un lieto fine, con Ayton che convincerà definitivamente i Suns a rifirmarlo al massimo salariale nell’estate del 2022, sancendo una pace che al momento sembra incrinata. Ma per una squadra che negli ultimi anni è riuscita a riemergere dai meandri della Western Conference fino addirittura ad andare a due vittorie dal titolo NBA, viene da chiedersi perché abbiano voluto tirarsi da soli la zappa sui piedi con una distrazione così grande. Specialmente alla vigilia di una stagione cruciale come quella che approcciano ora, perché il 36enne Chris Paul non è eterno e nei prossimi due anni (gli unici totalmente garantiti dal suo contratto) i Suns dovranno fare tutto il possibile per giocarsela per il titolo. Mettere in dubbio il valore della propria àncora difensiva e unico centro affidabile della rotazione non sembra proprio il primo passo nella giusta direzione, per una squadra che invece fino a questo momento aveva fatto tutto bene.