«Guardate questa ridicola narrazione che la gente usa, perché così è semplice: “cacciatore contro preda”, giusto?». Così ha esordito Joe Mazzulla al media day, la giornata che inaugura la stagione NBA. Dietro di lui, sulla parete, si alternano immagini di predatori, come draghi di Komodo e orche: «Prendi il leone: la gente pensa che un leone non sia mai cacciato. Ma se abbassa la guardia, se trova un'oasi dove ci sono degli ippopotami e abbassa la guardia e va a bere, un ippopotamo cercherà di attaccarlo». Gli si illuminano gli occhi quando arriva alla morale: «Quindi, c'è una situazione in cui, sì, puoi sentirti il più duro o il migliore o il più feroce, ma in qualsiasi momento, se non sei vigile, potresti morire».
Una metafora riferita ai suoi Boston Celtics campioni in carica, che non ha stupito più di tanto i giornalisti presenti, consapevoli della tendenza di Mazzulla alla frase a effetto. Qual è allora il tuo predatore preferito gli chiedono, e lui: «Le orche. Penso siano l'epitome del predatore supremo, giusto? Ma, allo stesso tempo, hanno l'umiltà di assicurarsi di cacciare in branco. Quindi, quando si cerca di costruire una squadra, è come dire: “So di essere il migliore, ma ho bisogno di persone intorno a me per essere ancora migliore”».
Una risposta che rappresenta Joe Mazzulla in potenza, un allenatore con un rapporto peculiare con i media, a cui assicura i titoli più improbabili. «Presto saremo tutti morti e non avrà più importanza, quindi non c'è alcuna pressione», ha detto poco dopo, quando gli hanno chiesto se sente la pressione di vincere di nuovo.
È curioso Mazzulla: in una risposta può entrare nel più minimo particolare tattico, ricordare una singola giocata arrivata settimane prima, come sparare una frase assurda, che sposta l’asticella del surreale. Quando gli hanno chiesto cosa aggiungerebbe alla NBA per renderla ancora più spettacolare, ha proposto il ritorno delle risse libere come nell’hockey, una risposta totalmente in controtendenza con le scelte ai piani alti della Lega negli ultimi vent’anni.
Mazzulla sembra incurante di come appare ai microfoni, l’unica cosa a cui tiene è mostrarsi totalmente devoto ai Boston Celtics e alla sua altra religione, quella cattolica (ha origini italiane, come potrete aver intuito dal cognome). Alle partite si presenta sempre con una spilletta di una croce sul petto, dice di iniziare ogni mattina leggendo un passo della Bibbia. Quando in una partita di pre stagione gli hanno chiesto se si era accorto della presenza della famiglia reale inglese sugli spalti, ha risposto che l’unica famiglia reale che conosce è quella formata da Gesù, Giuseppe e Maria.
Quando parla, riesce a non essere mai banale. È diretto e conciso. Ha un'intensità che si irradia attraverso lo sguardo; occhi sporgenti, quasi spiritati. Che si tratti di parlare di come la sua squadra difende sul pick and roll o del ciclo di vita delle anguille, riuscirebbe a intrattenere una platea. «Credo che ciò che mi piace di Mazzulla è quanto sia poco ortodosso», ha detto Kristaps Porzingis: «Tutti i video che ci mostra sono di sport diversi o potrebbero non essere esseri umani, ma balene o altro… All'inizio ti chiedi: “Cosa sta succedendo qui? Che cos'è questo?” Ma poi impari a conoscere le cose che gli interessano e impari ad amarle».
«Sì, è molto imprevedibile» ha confermato invece Al Horford: «C'è anche, penso, una sua parte più attenta. Ed è una cosa reale. Si vede che tiene ai suoi giocatori. Gli importa di te come persona. Ed è una persona che si può rispettare. Possiamo stringerci attorno a lui. È genuino. E quando parla, noi lo ascoltiamo». Nel rapporto con i suoi giocatori è molto fisico, al limite della follia pura, considerando che stiamo parlando di delicatissime aziende multimilionarie che camminano. All’inizio della scorsa stagione si è esibito in un salto mortale di jiu-jitsu davanti a Marcus Smart, dicendogli poi: «Scommetto che non saresti in grado di farlo». Con altri giocatori si è messo a fare wrestling, ad altri come Horford ha proposto di partecipare alla maratona di Boston.
Le partitelle con il suo staff sono diventate di dominio pubblico da subito a Boston. Brevi filmati in cui Mazzulla va duro sugli altri partecipanti o segna 3 punti dall'angolo sono finiti nelle trasmissioni televisive. Stan Van Gundy ha ricordato come una volta si sia tuffato su una panchina per recuperare una palla persa durante una di queste partitelle puramente amichevoli, proprio accanto alla sua postazione. Ci sono immagini di Mazzulla che si mette a tirare al canestro durante il riscaldamento dei Celtics e lo fa con una naturalezza e con un slancio nell’elevazione che, a non saperlo prima, sembrerebbe un giocatore della squadra.
Anche perché, a 36 anni, è più giovane del suo centro Al Horford, coetaneo di Steph Curry e Russell Westbrook, ha solo due anni in più del suo playmaker Jrue Holiday. E Invece questa estate Mazzulla è diventato il primo allenatore millennial a vincere il titolo NBA e lo ha fatto alla sua seconda stagione in carica, dopo essere diventato allenatore dei Celtics nel settembre del 2022, subentrato a Ime Udoka dopo che quest’ultimo è stato licenziato per uno scandalo di carattere sessuale interno alla franchigia.
Da fuori la sua chiamata poteva sembrare una pezza momentanea: un assistente allenatore che va ad occupare il posto di capo allenatore ad interim di una squadra con ambizioni da titolo, in attesa di far liberare qualche pezzo grosso della panchina da mettere sotto contratto per fare l’ultimo passo necessario a vincere. E invece dall’interno della franchigia, a partire da Brad Stevens, che questa squadra l’ha modellata prima dalla panchina e poi da dirigente, sapevano che la promozione di Mazzulla era proprio uno dei passi chiave per il futuro, una mossa che lo scandalo di Udoka ha solo affrettato.
Nella prima stagione i suoi Celtics hanno vinto 57 partite e sono poi stati eliminati in finale di Conference in gara 7 dai Miami Heat di Spoelstra. La scorsa è stata invece una di quelle dall’esito più scontato degli ultimi anni: i Celtics hanno vinto 64 partite in stagione regolare (miglior record) e poi il titolo lasciando per strada un totale di 3 partite. «La cosa più importante per me è che riesce a raggiungere il risultato finale che cerca. Il modo in cui ci arriva, direi, potrebbe essere più unico di altri, ma arriva al risultato finale e pensa sempre a come motivare gli altri, a come ottenere il massimo dalle persone» ha detto ad inizio stagione Brad Stevens.
Il rapporto con i tifosi dei Celtics è idilliaco, anche perché Mazzulla è uno di loro, nato nel New England e cresciuto tifando Boston. Quando è entrato al TD Garden per la prima partita stagionale, passando sotto canestro in mezzo a un enorme 18, come il numero di titoli della franchigia, per prima cosa si è inginocchiato e ha baciato il parquet, una cosa che avrebbe fatto un qualunque tifoso se avesse avuto la stessa possibilità.
Era un esordio non semplice: alla squadra venivano consegnati gli anelli di campione NBA e l’avversario erano i New York Knicks, una delle pretendenti al ruolo di avversaria a Est. Potevano essere distratti o poco motivati, e invece i Boston Celtics li hanno mazzolati di triple, creando un distacco nel punteggio talmente ampio che tutto l’ultimo quarto è stato garbage time. Una prestazione che ha sottolineato la distanza che ancora esiste tra Boston e tutti gli altri, che inseguono. Da lì, la stagione sta proseguendo come da aspettativa, con un record ampiamente positivo, secondo solo ai sorprendentemente imbattuti Cleveland Cavaliers.
Se qualcuno poteva anche solo pensare che i suoi giocatori si sarebbero adagiati sugli allori del titolo vinto, ci ha pensato Mazzulla a resettare tutto con un training camp dai metodi estremi: «Mazzulla è uno psicopatico in senso buono», ha detto Jaylen Green, «è stato uno dei training camp più duri a cui abbia mai partecipato, in termini di intensità, condizione fisica, fisicità e mentalità in difesa». Ha poi raccontato che una delle citazioni preferite di Mazzulla durante il training camp è che «non esiste il fallo: o muori o non muori». La cosa delle orche, poi, per quanto assurdo possa sembrare, è alla base dell’attacco di Boston: «chiama il nostro attacco “l'attacco delle orche”, e noi attacchiamo le foche... abbiamo studiato come le orche attaccano come un'unità e abbiamo costruito il nostro attacco in base a questo». Green ha aggiunto che Mazzulla fa un sacco di cose folli, ma che c’è del metodo dietro la sua follia.
La figura del genio pazzoide aleggia su Mazzulla fin dal primo momento in cui è diventato allenatore dei Celtics. Fin da subito è diventata di dominio pubblico negli Stati Uniti la sua abitudine di lavorare con in sottofondo il film The Town, diretto da Ben Affleck e ambientato a Boston, da cui si dice «ossessionato».
Conosce a memoria il regolamento, ogni piccolo cavillo, perché per lui è fondamentale studiare le regole per trovare il modo migliore per sfruttarle a proprio vantaggio: «Penso che tutti cerchino di guardare il gioco allo stesso modo, quindi penso che più lo guardi da uno spettro diverso, più questo ti consente di creare connessioni e ti porta davvero a concentrarti su dove le partite vengono vinte o perse». Questa sua ossessione per il gioco e per l’importanza di ritoccare ogni minimo margine di crescita l’ha fatto avvicinare a una figura altrettanto eccentrica del mondo dello sport: Pep Guardiola.
Mazzulla segue il calcio e in particolare la Premier League e i due si sono conosciuti nell’estate del 2023, trovando terreno fertile per un’amicizia. A febbraio, durante la pausa dell’ultimo All-Star Game, Mazzulla è volato a Manchester per visitare le strutture del Manchester City e incontrare Guardiola. L’allenatore spagnolo ha ricambiato, presentandosi a bordo campo durante le Finals con indosso una felpa dei Celtics. Per Mazzulla Guardiola è «un’ispirazione» e «il miglior allenatore del mondo di qualsiasi sport». Due sport all’apparenza diversi, ma che condividono più cose di quanto sembri: «Per me dal punto di vista tattico calcio e basket sono lo stesso sport e hanno lo stesso obiettivo: come crei un vantaggio? Come crei un due contro uno? Come riesci a riconoscere i punti deboli della difesa e come riesci a sfruttare le situazioni?» ha dichiarato a The Athletic Mazzulla. «Gli allenatori di calcio sono i migliori insegnanti, perché quando la partita comincia non possono chiamare timeout». Proprio qui sta per lui quello che può imparare dal calcio: «La capacità di creare un sistema all’interno del quale i giocatori possano operare e funzionare in base all’andamento della partita è molto importante. Devi dare potere ai tuoi giocatori in modo che possano capire come sta andando la partita e come possano correggersi da soli per fermare un parziale o propiziarne uno».
La sua gestione dei time out è controversa: Mazzulla è infatti molto refrattario nel chiamarli, convinto che fermare il gioco aiuterebbe l’altra squadra a riorganizzarsi e che i suoi giocatori devono trovare soluzioni da soli. Dopo la sconfitta contro Miami nelle finali di Conference 2023 questa sua filosofia è stata molto criticata: un allenatore inerme a guardare gli avversari lanciati nelle rimonte. Lui però ha insistito, convinto che partite più continue avrebbero avvantaggiato la sua squadra, composta da giocatori più portati a un gioco di letture veloci. Oggi la sua testardaggine viene lodata. È un’idea che prende spunto da Popovich e Kerr, anche loro convinti che devono essere i giocatori a risolvere i problemi, non gli allenatori a imboccarli in ogni momento.
Come loro, il suo stile di gioco richiede molto alle proprie stelle, ma sembra ricavare il massimo soprattutto dai giocatori di complemento. La forza dei Celtics sta sì nel livello altissimo del quintetto titolare (probabilmente il migliore della NBA), ma anche nell’impatto di chi entra dalla panchina, sempre con il giusto spirito e determinazione. All'inizio degli scorsi playoff, Mazzulla ha iniziato una sessione video con il filmato di un lottatore di MMA che viene colpito per sbaglio ai testicoli, che si lamenta con l’arbitro e che subito dopo viene battuto. Era un promemoria per la squadra: mai perdere la concentrazione.
Payton Pritchard, che con Mazzulla ha visto la sua carriera rilanciarsi, e che oggi è il giocatore che entra dalla panchina per accendere la second unit, lo adora: «È intenso... e molto diverso. Ma credo che sia proprio questo a renderlo così bravo. Sa di essere diverso, quindi spinge su questo più che cercare di diventare qualcosa che non è. Penso che la gente lo abbia capito e si sia adeguata a ciò che lui predica, ed è la ragione del nostro successo».
I suoi Celtics sono una squadra che cerca di coinvolgere più giocatori possibili in ogni singola azione, che sfrutta al massimo tutta l’ampiezza del campo per stirare al limite le difese avversarie. Lo fanno attraverso il movimento del pallone, cercando vantaggi costanti da sfruttare per - idealmente - arrivare a una conclusione di Tatum, il miglior attaccante della squadra, o trovare l’uomo libero dietro la linea da tre punti. Sono meno dinamici senza palla degli inarrivabili Spurs 2014, ma c’è altrettanta enfasi sul concetto di “occasione migliore possibile”. Che, spesso, per Mazzulla significa “miglior occasione possibile da 3 punti”. Quando si accende, infatti, Boston è una macchina da triple segnate.