Nel giugno del 2013 i Nets erano sbarcati da un paio d’anni a Brooklyn e l’obiettivo del proprietario Mikhail Prokhorov era quello di allestire una squadra competitiva fin da subito per puntare al titolo e anche conquistare un pubblico, quello newyorkese, da sempre legato quasi esclusivamente ai Knicks. Il giorno del Draft, l’allora GM Billy King premette il grilletto, imbastendo una trade con i Boston Celtics. Il resto della storia già lo sapete.
Quella dei Brooklyn Nets è stata una lenta risalita consegnata alle mani di un nuovo General Manager, Sean Marks, e del nuovo coach Kenny Atkinson, ma finalmente si ha la sensazione si possa tornare a vedere la luce in fondo al tunnel già da questa stagione.
Un duo dinamico
“Girls walk to us, wanna do us, screw us
Who us? Yeah, Poppa and Puff
Close like Starsky and Hutch, stick the clutch”
(The Notorious B.I.G. – Hypnotize)
Molte delle sorti dei Nets dipendono dal duo di playmaker che si sono ritrovati in mano più o meno per caso. D’Angelo Russell è stato il protagonista di una trade, questa volta finita piuttosto bene, con i Los Angeles Lakers. Se è vero che la scelta numero 27 finita a L.A. (insieme a Brook Lopez) si è tramutata in Kyle Kuzma, è anche vero che Brooklyn si è consolata con quello che è diventato a tutti gli effetti un All-Star. Prima di arrivare a questi livelli, però, Russell ha dovuto passare due anni tra poche luci e molte ombre a LA e un primo anno a Brooklyn costellato da infortuni. Finalmente sano, Russell è definitivamente esploso.
Il numero 1 dei Nets è sempre stato un valido giocatore di pick and roll, l’arma con cui apre le difese avversarie. Russell dimostra grande abilità nel leggere le difese avversarie dopo aver preso il blocco, mettendosi col corpo davanti all’avversario e scegliendo se servire il rollante (o qualche tiratore appostato sul perimetro) o mettersi in proprio.
Qui sceglie la prima strada, andando a destra nonostante il blocco portato a sinistra e servendo Crabbe in no-look.
Qui addirittura, dopo un doppio blocco preso da Harris e Allen, serve quest’ultimo senza neanche guardarlo.
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In questo caso, invece, dopo il blocco tiene a distanza Lowry col corpo e con l’esitazione “congela” Ibaka a metà strada: il nazionale spagnolo non sa se attaccare Russell, lasciando libero Allen per la schiacciata. Il risultato è che Ibaka rimane a metà strada concedendo due comodi punti all’ex Lakers.
Russell è molto dotato tecnicamente, e ha una vasta gamma di movimenti per trarre in inganno il lungo che cambia sul blocco o che lo aspetta nel pitturato: dal floater alla finta di passaggio al lungo che rolla a canestro, passando per gli up&under. D-Lo ha spesso in canna la conclusione acrobatica, ma finire a canestro rappresenta ancora uno dei suoi punti deboli: quest’anno la sua percentuale di conversione al ferro è la più bassa della carriera, 54% scarso (lo scorso anno è arrivato al 63%).
L’aspetto sotto il quale invece è molto migliorato è il tiro da tre, in tutte le sue forme. Tira con il 39% in catch and shoot – miglior dato in carriera – e quasi con il 35% nei pull up (anche questo miglior dato in carriera, percentuale salita notevolmente dal 29% della scorsa stagione). Mostra invece lacune evidenti nella metà campo difensiva: Russell ha il fisico per resistere spalle a canestro anche contro avversari più grossi di lui, ma il suo atteggiamento negli uno contro uno è molto remissivo (come si nota anche sui blocchi, dove tende a “morire” senza opporre grossa resistenza) ed è ancora suscettibile ai tagli backdoor.
Il ragazzo con cui condivide il ruolo di point guard è, come già accennato prima, un prodotto del caso e, in un certo senso, della sfortuna. Spencer Dinwiddie ha passato i primi anni due anni della carriera facendo dimenticabili cammeo per una squadra altrettanto dimenticabile come Detroit. Sembrava destinato a fare più o meno la stessa fine a Brooklyn, dietro Russell e Jeremy Lin - se non fosse stato per gli infortuni di questi, che gli hanno aperto le porte della titolarità.
Dinwiddie, al contrario di Russell, è eccellente quando si tratta di finire al ferro. È decimo per drive a partita con 14.3, e i quasi 9 punti che produce di media in questa situazione sono il settimo miglior dato di Lega. In questa stagione ha però aggiustato anche il tiro da tre, convertito quasi con il 36% contro il 32.6% dello scorso anno, a fronte dello stesso numero di tentativi a partita, oltre 5. Inoltre, se nel 2017-18 si intestardiva spesso nel tentare triple dopo ripetuti palleggi (tra i 3 e i 6, per NBA.com), tra l’altro con percentuali più che rivedibili (29%), quest’anno Dinwiddie manda a bersaglio gli stessi tiri addirittura con il 39%.
Infine, per il secondo anno consecutivo, il numero 8 dei Nets è tra i giocatori più decisivi della Lega. I suoi 2.7 punti di media messi a segno nel clutch (ultimi 5 minuti della partita, nell’ultimo quarto o in overtime e scarto entro 5 punti) lo pongono al sedicesimo posto in NBA (ovviamente, la lunga assenza per infortunio non ha aiutato).
Per referenze chiedere agli Houston Rockets.
Alcuni mesi fa, parlando di Russell come un possibile breakout player, scrivevamo di come potesse rivelarsi complicata la convivenza forzata tra lui e un giocatore come Dinwiddie, che aveva vissuto la propria consacrazione proprio in sua assenza. I due rimangono una coppia che non si vede spesso in campo contemporaneamente: finora sono 661 i minuti passati insieme sul parquet, con un poco lusinghiero -30 alla voce plus-minus.
La loro intesa ha raggiunto il picco però durante il 18-5 che i Nets hanno confezionato tra dicembre e gennaio, striscia positiva che li ha portati dentro la zona playoff. In quelle 23 partite, il differenziale punti della coppia faceva registrare tutt’altro dato, +62. Dopodiché, Dinwiddie si è infortunato alla mano, e l’esperimento ha subito una brusca frenata. Atkinson preferisce altro tipo di backourt, con uno tra Joe Harris, il rientrante Caris LeVert e la scoperta Rodions Kurucs a fianco di Russell, probabilmente per le migliori doti difensive dei tre e uno skillset differente e complementare a quello di D-Lo.
Un aspetto che rende l’ex Lakers e l’ex Pistons simili tra loro è la necessità di avere la palla in mano per rendere al meglio. Entrambi sono infatti nella top 20 di Lega per percentuale di canestri non assistiti: Russell è tredicesimo con il 71.3% e Dinwiddie diciassettesimo con il 70%.
Per ora, Atkinson ha trovato la quadratura del cerchio facendo uscire Dinwiddie dalla panchina, che anche grazie a lui è la seconda migliore della NBA per punti segnati a partita (oltre 47). Inoltre, il numero 8 dei Nets è stato premiato nei mesi scorsi con un’estensione contrattuale da 34 milioni in tre anni: una cifra assolutamente onesta in relazione alle prestazioni e che lo rende un asset molto appetibile sul mercato, qualora la dirigenza dei Nets voglia decidere di scambiarlo ad una squadra in cerca di un playmaker titolare o di un solido sesto uomo dalla panchina.
Shooters shoot
“Armed and dangerous
ain’t too many can bang with us”
(The Notorious B.I.G. feat. Bone Thugs ‘N Harmony – Notorious Thugs)
Un altro giocatore che deve molto alla dirigenza e al coaching staff dei Nets è sicuramente Joe Harris. Come Dinwiddie, Harris ha passato i primi due anni della carriera inchiodato alla panchina di un’altra squadra (i Cleveland Cavs, dove però coach David Blatt aveva provato a dargli spazio almeno inizialmente) per poi finire a Brooklyn, diventando un pilastro della sua nuova squadra nella quasi inevitabile indifferenza generale.
Harris è principalmente un tiratore. Percentuali alla mano è primo in NBA sia per percentuale da tre punti, sia per percentuale nei tiri da tre punti in catch and shoot tra i giocatori con almeno 3 tiri a partita tentati da oltre l’arco. Un tiratore del genere va rispettato dalle difese avversarie e sfruttato dai Nets, che usano i suoi movimenti lontano dalla palla come “specchietto per le allodole”.
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Nella prima azione della partita, Harris parte nell’angolo destro ricevendo il blocco di Kurucs lontano dalla palla: la difesa dei Rockets però è attenta, e Gordon chiama a Clark il cambio sul blocco. La seconda uscita dal blocco (questa volta di Jarrett Allen), invece, è quella giusta: Gordon e Tucker - un po’ spaventati dal tiro di Harris, un po’ per un errore di mancata comunicazione - raddoppiano sull’ex Cavs consentendo a Russell di trovare il roll indisturbato a canestro del suo centro.
Attenzione però. Harris è tutt’altro che un giocatore monodimensionale. Sa approfittare del suo eccellente tiro per costringere le difese a stargli attaccato per poi mettere palla per terra e sorprendere il marcatore di turno, creando per sé o per i suoi compagni con letture semplici ma estremamente efficaci.
L’elemento in comune sono le uscite a ricciolo sfruttando i blocchi pin-down per avere un primo vantaggio sul marcatore, per poi prenderne un secondo facendogli pagare la posizione troppo alta, come se si aspettasse il tiro.
Harris fa registrare 7 penetrazioni di media a partita, con quasi 4 punti segnati di media in questa situazione: un dato tutt’altro che malvagio, per un giocatore nato esclusivamente come tiratore. Il 10% di percentuale di assist, poi, è più alta di quella di giocatori ben più abituati a scorribande in area come Kyrie e il suo compagno di squadra Russell.
L’ex università di Virginia è inoltre titolare del miglior offensive rating di squadra tra i giocatori dei Nets con almeno 20 minuti di media in campo, 108.7. Da quando c’è coach Kenny Atkinson seduto in panchina, i Nets hanno sempre voluto dare l’immagine di squadra moderna nonostante le ovvie limitazioni di talento. Corrono tanto (sempre tra i 99 e i 100 possessi a partita per 48 minuti, noni in NBA quest’anno ma solo perché si corre molto di più in giro per la Lega) e tirano altrettanto da tre: sempre nella top 5 di Lega negli ultimi tre anni oltre a vincere le gare dell'All-Star Saturday.
Profondità
Se nelle scorse stagioni i Nets hanno pagato dazio per le scelte sciagurate dietro la scrivania, che hanno impoverito la squadra e l’hanno costretta a una faticosa ricostruzione, quest’anno la squadra è molto profonda, potendo contare su una dozzina piena di giocatori NBA a tutti gli effetti. Allen Crabbe è tornato recentemente in quintetto dopo un infortunio al ginocchio che lo ha tenuto fuori dai giochi per quasi due mesi, e ha subito ripreso da dove aveva lasciato, tirando 14/27 da tre nelle quattro partite dopo il rientro, lui che tira dall’arco col 38% in stagione (non la sua migliore percentuale in carriera, ma il volume di tiri è molto alto: 6 a partita). Come spesso succede dopo infortuni complicanti, però, la forma tende a calare, e infatti nelle ultime 5 l’ex Portland ha mandato a bersaglio solo 9 conclusioni sulle 26 tentate (e poi ha dovuto di nuovo fermarsi per ulteriori problemi al ginocchio).
Il suo infortunio, unito a quello di Caris LeVert, ha costretto Atkinson a dare fiducia a giocatori di esperienza limitata come Treveon Graham e Rodions Kurucs, arrivati in estate rispettivamente via free agency da Charlotte e via Draft. Hanno entrambi le potenzialità per diventare difensori sopra la media - anzi Graham forse lo è già, grazie a un fisico che lo aiuta a tenere contro avversari più grossi in difesa, e ad avere la meglio contro quelli più leggeri in attacco, come vediamo qui.
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Rivers gli concede il tiro, e allora lui si mette in proprio portando il figlio di Doc vicino a canestro col fisico: in questa azione ha ricordato molto P.J. Tucker.
Graham quest’anno si è ampiamente immerso nello stile di gioco di Brooklyn raddoppiando i tiri da tre a partita (da 1.5 dello scorso anno ai 3.6 attuali), pur peggiorando decisamente le percentuali, dal 41% al 26%).
Kurucs invece è molto più filiforme, ma è anche molto più atletico e ha braccia lunghissime che gli consentono di disturbare le conclusioni di avversari anche più alti di lui. Patisce però ancora il confronto fisico, ma il tempo è dalla sua.
Il ritorno in campo di Caris LeVert, dopo un brutto infortunio che all’inizio sembrava dovesse tenerlo lontano dai campi per tutta la stagione, ha restituito ad Atkinson il suo metronomo. Con lui i Nets ritrovano, oltre a un realizzatore, anche un valido difensore sia nell’uno contro uno che soprattutto sulle linee di passaggio, per via della sua notevole apertura alare (208 centimetri). La sua capacità di giocare il pick&roll centrale in modo completamente diverso rispetto a D’Angelo Russell, più incline al passaggio piuttosto che al tiro, aiuta i compagni a trovare maggior ritmo offensivo.
Il suo partner in crime è quel freak atletico di Jarrett Allen, finora conosciuto in giro per la Lega per le sue eccellenti doti di stoppatore che hanno fatto anche vittime illustri (LeBron, Giannis e Griffin tra gli altri). In realtà Allen è un rim protector nella media: al ferro concede oltre il 56% agli avversari (dodicesimo peggior dato tra i giocatori che contestano almeno 5 tiri al ferro a partita), e spesso sembra che l’unica cosa che gli manchi per diventare un top in questa categoria sia un fisico più prestante, visto che l’atletismo e le braccia lunghe di certo non gli mancano.
Deve ancora svilupparsi a pieno nella metà campo offensiva dove però, nonostante un’esperienza ridotta (non ha ancora compiuto 21 anni), dimostra di avere una tecnica interessante e un notevole controllo del corpo.
Decisamente non il vostro classico centro. Ogni tanto, poi, lo si vede tentare qualche tripla (0.6 a partita): i risultati sono insufficienti, ma gli sprazzi di tecnica ci sono tutti, così come la possibilità di espandere il suo gioco al di fuori dell’area pitturata.
Finalmente tutti al completo, i Nets puntano con una giusta presunzione ai playoff, i primi dell’era Marks-Atkinson. Sviluppando nuovi giocatori, trasformando scarti in All-Star e mantenendo flessibilità economica, la crescita dei Nets procede per il meglio. Il loro “Process” non è stato pubblicizzato, per così dire, come quello di Philadelphia per mancanza di superstar conclamate come Joel Embiid o Ben Simmons, ma di certo non è stato meno lungo e/o doloroso (anche se auto-inflitto, viste le scelte sciagurate in sede di mercato). Senza fuochi d'artificio e con i ricordi degli anni russi alle spalle, i Nets hanno dimostrato cosa possono fare competenza, passione e programmazione unite a quella mentalità da underdog che da sempre contraddistingue Brooklyn. Con una squadra giovane che diverte e si diverte, la possibilità di accogliere un giocatore al massimo salariale e l’appeal di Brooklyn, finalmente possiamo iniziare a parlare dei Nets come di un modello virtuoso e non più di una franchigia manovrata come il Titanic.
Per quello in città rimangono i Knicks. Intanto, theNets are back.