Caris LeVert ha la palla in mano con quindici secondi sul cronometro con il punteggio fissato sul 105 pari. Palleggia sul posto per qualche istante prima di scattare sulla destra, sbilanciare Tim Hardaway e attaccare il suo piede esterno con un veloce crossover. A quel punto gli si apre un sentiero per il canestro che lui imbocca quasi scivolando verso il ferro fino a concludere, aggiustando il corpo in aria un paio di volte per portare definitivamente avanti i suoi Brooklyn Nets.
Il derby di New York non è più una partita di cartello, ma la la rivalità tra i giocatori per la supremazia cittadina è ancora elettrica, come dimostra la carica emotiva che esplode dopo il canestro di LeVert. «Ne dovevo una alla squadra dopo Detroit» ha commentato a caldo ìdopo la vittoria, facendo riferimento al finale di gara in cui si era fatto strappare da Blake Griffin la palla che poteva valere il pareggio. Parole da leader, quello che Caris stava imparando ad essere per i giovani Nets nonostante una personalità di sua natura riservata.
LeVert non ha iniziato la stagione nel ruolo di go-to-guy per la squadra di coach Kenny Atkinson, nonostante le alte aspettative nei suoi confronti, ma è diventato presto quello che deve prendersi le responsabilità con la partita in bilico. Il canestro segnato dal prodotto di Michigan contro l’ex compagno di squadra a Ann Arbor rappresenta bene perché i compagni si fidino di lui: gioca sempre sotto controllo, secondo un ritmo che a volte sente solo lui, ma che pian piano stanno imparando a seguire anche a Brooklyn. Due settimane dopo nell’aria rarefatta del Pepsi Centre balla un lento nel cerchio di centrocampo prima di lasciarlo sul posto e, con l’ormai brevettato jump-stop nel pitturato, vincere un’altra partita per i Nets.
Sembrava finalmente la fine dell’incubo, dopo un inferno fatto di infortuni di ogni tipo, prima a Michigan e poi ai Nets, dai quali è stato scelto con la ventesima chiamata nel Draft del 2016. Sembrava, appunto, perché stanotte quella roba maledetta che gli antichi greci chiamavano fato e noi chiamiamo comunemente sfiga si è messa nuovamente di traverso tra Caris e la sua voglia di giocare a basket. Quando avevo scritto questo pezzo avevo chiuso questo paragrafo con una frase felice e perentoria, ovvero che “LeVert è un giocatore estremamente moderno, che finalmente sta esprimendo il suo reale valore”. Ora spero solo torni a giocare. Intanto aspettando un suo pronto e completo recupero, non dimentichiamoci che incredibile inizio di stagione stava facendo.
Playmaker di fatto
Pur non essendo il playmaker di ruolo dei Nets (che dovrebbe essere D’Angelo Russell), LeVert si è imposto come il vero creatore di gioco della squadra di Atkinson. Nonostante le poche partite giocate in carriera è già tra i più abili in NBA nel gestire il pick and roll (89° percentile), dove ha sviluppato una connessione telepatica con l’afro di Jarrett Allen. LeVert è uno dei più efficaci portatori di palla in situazioni di pick and roll anche, e nonostante, non essendo un buon tiratore dal palleggio, quasi un’anomalia nel gioco contemporaneo nel quale i tiratori puri vengono spinti a costruirsi un passing game per sfruttare al massimo lo spazio creato dalla minaccia del loro palleggio-arresto-e-tiro. Caris invece lo spazio se lo guadagna con una serafica gestione del tempo e della palla, non chiudendo mai il palleggio e aspettando fino all’ultimo una linea di passaggio. È come un consumato rigorista: quando il difensore fa un movimento da una parte, lui mette la palla dall’altra. Fissa negli occhi la difesa e aspetta che faccia la prima mossa, la qualità delle sue letture poi fanno il resto.
La palla ad Allen può arrivare subito nella tasca o dopo aver attaccato il vantaggio, ma arriva quasi sempre perché LeVert non toglie mai gli occhi dal suo bloccante.
Allen al secondo anno è già un rollante di alto livello, dotato di buona mobilità di piedi e di mani sicure e delicate, bersaglio ideale per qualsiasi passatore che vede saettare nel pitturato la sua capigliatura da Re della Disco. Specialmente per LeVert, che ha un’innata abilità nel muovere la difesa per poi servire il suo lungo. I due formano uno dei tandem più efficienti quando azionati con continuità e Atkinson aveva costruito l’attacco dei Nets su questa colonna portante. La pericolosità di Allen in area apre linee di penetrazione alle guardie, che si buttano dentro con regolarità per poi ricacciare il pallone sul perimetro per i tiratori appostati dietro l’arco. Quando un difensore perde il riferimento con il proprio uomo, i Nets cercano automaticamente il tiratore libero, spesso in angolo per la tripla più efficiente possibile.
Gioca sempre a testa alta, leggendo il movimento degli altri nove in campo e facendo spesso la lettura giusta. In questo caso il kick out sul lato dell’aiuto.
Brooklyn è la sesta squadra per triple tentate e mandate a bersaglio in questo scorcio di stagione. Molto è dovuto alla gravità attratta dal pick and roll tra LeVert e Allen ed all’abilità di Caris di trovare lo scarico quando la difesa collassa sotto canestro. Aiuta anche il fatto che i tre compagni di quintetto - D’Angelo Russell, Jared Dudley e Joe Harris - stiano tirando molto bene in catch and shoot, in particolare con un folle 63.6% su quasi cinque tentativi a partita del prodotto di Virginia. Con il campo così spaziato LeVert riusciva ad arrivare quando voleva nell’area pitturata, creando ad alto livello per lui e per gli altri.
L’importanza dell’ultimo passo
LeVert era al quarto posto in NBA per punti per penetrazioni a partita dopo DeMar DeRozan, Russell Westbrook e James Harden, tre fuoriclasse dello sfruttare il minimo vantaggio concesso dalla difesa per attaccare il ferro. Quasi dieci dei venti punti di media di LeVert arrivavano grazie a penetrazioni verso il canestro, sia facilitate dai solidi blocchi di Allen o Davis, sia battendo il proprio difensore con la sua falsa lentezza e una grande creatività con il pallone. Non è un atleta esplosivo, uno di quelli che attraversa gli avversari come un fantasma le mura di un castello, ma ha imparato ad usare il suo corpo come la muleta di un torero: con una serie di esitazioni e crossover riesce sistematicamente a sbilanciare il difensore, per poi attaccarlo dove è più vulnerabile. Una volta che si socchiude l’uscio, le sue lunghe leve si infilano per bloccarlo con l’astuzia del consumato venditore porta a porta.
LeVert ha il servosterzo di serie e quando scala marcia poi usa si arresta sotto controllo nel pitturato, principio dell’attacco di Beilein a Michigan, per darsi sempre più di un’opzione.
Se riesce a conquistare un vantaggio in qualsiasi zona del campo, LeVert è bravissimo a conservarlo fino al ferro, non accelerando mai senza motivo ma mantenendo sempre il pieno controllo della situazione. Appena girato l’angolo o battuto il difensore diretto, non si fa attrarre dal ferro come una calamita, ma tiene dietro l’uomo e legge l’aiuto del lungo per trovare la soluzione migliore.
In una NBA dove si tende a fare tutto ad una velocità supersonica, Caris che incrocia i piedi davanti a Clint Capela, che si inventa un up & under contro Embiid, che protegge la palla con tutta la superficie del suo corpo ha un sapore vintage, da moviola in bianco e nero. Però è incredibilmente efficace. Quando viene lasciato libero di attaccare dal palleggio, le sue serpentine sinuose verso il ferro generano 1.23 punti per possesso, un dato clamoroso (96° percentile), a dimostrazione di come LeVert stesse lentamente diventando un killer silenzioso. Come nel possesso finale della stracittadina newyorkese, quando la palla si trasformava in un geoide di solito finiva nella mani di Caris.
Se alcuni hanno ricevuto in dono un primo passo fulminante, LeVert ha scelto il potere opposto. Come forse solo Harden, Irving e McCollum, la guardia di Brooklyn possiede un ultimo passo felpato con il quale si diverte a manipolare le difese avversarie. Rallenta il movimento finché tutto intorno a lui rimane come imprigionato in un incantesimo e approfitta della situazione per arrivare indisturbato fino al canestro. Anche quando subiva un contatto duro lo assorbiva come fosse la cosa più naturale del mondo, gestendo perfettamente il corpo e trovando spesso il libero aggiuntivo.
Se LeVert fosse un Pokemon sarebbe sicuramente di tipo Psico: il difensore è talmente confuso che spende falli anche quando non dovrebbe.
Brooklyn è la seconda squadra per punti derivanti penetrazioni a canestro (27.4 punti a partita) e una grossa fetta del merito era da attribuire a LeVert. Fin dai tempi universitari, il prodotto di Michigan ha dimostrato una naturale propensione ad attaccare il ferro e un controllo del corpo in aria quasi circense: qualità che gli sono valse una scelta al primo giro nonostante non fosse praticamente sceso in campo nei suoi ultimi due anni di college. La versatilità del suo gioco, modellata dal sistema fluido di Beilein, si adatta perfettamente alla filosofia di Atkinson: è il coltellino svizzero che apre ogni difesa grazie alla rara combinazione di taglia fisica, atletismo, intelligenza tattica e talento individuale.
Come diventare un tiratore
Dopo neanche cinquanta partite da titolare in NBA LeVert è diventato uno degli attaccanti più completi in circolazione, un facilitatore di seta oltre a un realizzatore su tre livelli. Ma se ha sempre dimostrato di saper creare dal palleggio, più nuvolette dubbiose si assiepavano sopra il suo jumper: non è mai stato un tiratore puro, ma un giocatore in grado di crearsi il proprio tiro in qualsiasi situazione, anche sfruttando le lande inefficienti della media distanza.
Anche oggi LeVert è più a suo agio con prendersi triple dal palleggio, creandosi la separazione con eleganti step back piuttosto che essere un tiratore spot up. Non solo prende quasi il doppio dei tiri in questa situazione (29.4% contro 15.8%), ma è anche molto più efficiente (51% di percentuale effettiva contro 40%). L’intero gioco di LeVert sembra attraversato da un ritmo ancestrale che guida ogni suo movimento in campo, ed è quasi naturale che le soluzioni più pulite arrivino quando riesce a danzare sulla sua personale theme song.
La sua creatività con il pallone è esaltata negli isolamenti quando riesce a trovare la soluzione da fuori dopo aver seminato il diretto marcatore.
Abbiamo più volte sottolineato come un creatore dal palleggio di alto livello debba avere nelle corde il pull-up in qualsiasi situazione, anche un paio di piedi dietro la linea da tre punti. Nel panorama cestistico post-atomico dove Steph Curry lancia testate nucleari da ogni zona del campo, rispondere con le stesse armi diventa una necessità di sopravvivenza. Così anche LeVert si era adattato a prendersi più triple dal palleggio, dimostrando che aveva le qualità per essere, se non un cecchino infallibile, una minaccia da temere in quelle situazioni di gioco.
Il lavoro di piedi che abbiamo ammirato nel pitturato si trasla anche lontano da canestro, dove riesce ad organizzarsi in una frazione spazio-temporale per rilasciare il pallone. Un atleta medio come LeVert ha bisogno di diventare un tiratore più che affidabile per fare un ulteriore salto verso la cima dello stardom NBA, e ha tutte le possibilità per esserlo, una volta messe le ore di allenamento in palestra, anche durante la riabilitazione. Il pulitissimo lavoro di piedi ancora non è coordinato al movimento della parte superiore, ma il rilascio alto e veloce lo rende difficile da contestare. Nelle dodici partite della stagione che ha giocato ha tentato 4 triple e mezzo a partita, realizzate con il 32%, usando l’attenzione che ora le difese gli prestano per rendere ancor più efficiente l’attacco dei Nets.
Se il lungo non esce nel pick and roll non si fa grossi problemi a tirare, nonostante le percentuali non eccelse.
Un difensore cerebrale
Ma LeVert non usa la sua versatilità solo nella metà campo offensiva. Gli stessi strumenti che esibisce in attacco gli sono estremamente utili per rendere la vita del giocatore che si trova davanti una puntata di Hill House. Non è un difensore aggressivo, di quelli che sono pronti a mangiarti il cuore ad ogni possesso, ma sfrutta la sua intelligenza e intuizione per anticipare le decisioni dell’attacco avversario. Le sue lunghissime braccia e quel corpo bidimensionale in cartone poi sono utilissime a rendere reale il suo pensiero. Uno dei miei guilty pleasures di questo scorcio di stagione è stato divorare le clip di LeVert che rimane incollato al diretto marcatore mentre passa o cerca di passare su un blocco. Ora questo inverno sarà un pochino più freddo.
Direttamente dalla mia pinacoteca privata, tre azioni in cui LeVert si spalma sul portatore di palla avversario.
Si appiattisce come la carta moschicida sul portatore di palla e passa sul blocco insieme a lui come se stessero ballando un lento al Prom di fine anno, stretti in un abbraccio che però non entusiasma il partner, soffocato da tutte le attenzioni di Caris. Serve davvero un controllo di corpo fenomenale per restare a un sospiro di distanza dal corpo del giocatore che hai di fronte senza sfiorarlo, senza mettergli le mani addosso e commettere fallo. LeVert resiste ad ogni tentazione tranne a quella di guidare il suo avversario nella direzione opposta alla quale vorrebbe andare, di fatto annullando l’uso del blocco e scaricando il cronometro dei 24. La sua rapidità nel muovere i piedi è impressionante: sembra quasi che abbia imparato la coreografia avversaria prima di scendere in campo.
Possiede la struttura fisica per ruotare a piacimento sui tre ruoli perimetrali, incaricandosi solitamente di mettere il bavaglio al miglior giocatore avversario. Lo sa bene Devin Booker, lasciato a 6/21 dal campo, o Jamal Murray, 5/14. Partite nelle quali Caris è stato anche tra i migliori attaccanti della squadra, dimostrando di poter essere uno dei migliori two way player in circolazione. Solitamente siamo abituati ad immaginare questo tipo di specialisti come 3&D, rocciosi difensori che nel tempo sono diventati affidabili tiratori piedi per terra e hanno imparato ad attaccare i close out. LeVert invece possiede tutto un altro skillset, molto più raro e prezioso, che farebbe la fortuna di qualsiasi squadra NBA. Anche anatomicamente assomiglia a quei pezzi del tetris verticali che quando li trovi ti chiudono le combo mentre sei con l’acqua alla gola.
La sua efficacia con e senza la palla, unita con l’abilità di Jarrett Allen nel difendere il ferro ha tenuto a galla la difesa dei Nets, ora 11^ per percentuali concesse agli avversari (di poco sotto il 50%) ma la migliore in NBA nel pitturato, nonostante la presenza in quintetto di tre difensori sospetti come Russell, Harris e Dudley. Camaleontico come pochi, LeVert si adattava a qualsiasi quintetto gli fosse messo attorno; un giocatore efficace e moderno, uno di quelli capaci di trasformare un gruppo di solisti in un sistema organizzato. Ora Kenny Atkinson, che era innamorato della sua la sua multidimensionalità e lo utilizzava ovunque, dovrà sopperire alla sua assenza per tutto il resto della stagione e i Nets, che lo avevano aspettato per più di due anni - rifiutando anche di inserirlo nelle ipotesi di trade con Minnesota per Jimmy Butler - sono rimasti con un pungo di mosche in mano.
Brooklyn nelle ultime stagioni ha dovuto scalare una parete verticale senza rete di sicurezza e ne sono usciti con un manipolo di soldati di ventura, veterani oltre tempo massimo, contratti regalati dopo una cena di pesce e prime scelte scaricate troppo presto. Speravano di aver perscato un jolly con LeVert e avevano avuto ragione: la sua presenza equilibratrice aveva reso i Nets una squadra migliore di quanto si potesse pensare ad inizio anno.
Fino a stanotte.