La scorsa settimana il General Manager dei Boston Celtics Danny Ainge ha rilasciato una lunga intervista alla trasmissione radiofonica Toucher and Rich sull’emittente 98.5 The Sports Hub, nella quale affronta il brutto inizio stagionale della sua squadra. Ainge, uno che di solito non ha problemi a parlare schiettamente, ha affermato senza troppi giri di parole che questa squadra non ha le qualità per competere ai livelli più alti e che la colpa è esclusivamente sua. Secondo la sua opinione, il roster assemblato e dato in mano a Brad Stevens non è al livello delle altre squadre a Est e difficilmente potrà ripetersi ai livelli della scorsa stagione, quando raggiunse la finale di conference per la terza volta negli ultimi quattro anni.
In particolare la sua colpa più grave è quella di non essere riuscito a costruire un contesto adeguato attorno ai due All-Star Jason Tatum e Jaylen Brown, perdendo via via i pezzi e gli asset accumulati in precedenza. Dopo il trionfale scambio nel quale spedì a Brooklyn le salme di Paul Pierce, Kevin Garnett e Jason Terry a fine carriera per l’intera collezione di scelte al Draft dei Nets - tra le quali quelle che porteranno alla selezione di Tatum e Brown - che gli valse il soprannome di “Trader Danny”, il GM dei Celtics ha smesso di fare operazioni di mercato degne di questo nome. Invece di continuare con la consueta aggressività si è seduto in posizione remissiva, accontentandosi di firmare qualche free agent ma senza mai premere il metaforico grilletto per il grande nome che avrebbe permesso a Boston di entrare realisticamente nel lotto delle favorite al titolo. Per gli amanti delle statistiche, sono passati più di sei anni dall’ultima trade effettuata a stagione in corso dai Celtics, quella che portò Isaiah Thomas in biancoverde nel febbraio del 2015.
Non che Ainge non ci abbia provato, anzi. Ogni volta che una superstar diventava disponibile sul mercato, il nome di Boston era sempre in prima fila, ma per qualche motivo nessuna di queste contrattazioni ha visto un lieto fine. Secondo alcuni GM di altre squadre NBA, Ainge non si muove se non ha la certezza matematica che lo scambio penda decisamente dalla sua parte, una condizione quasi irrealizzabile nella lega attuale visto il livellamento verso l’alto accaduto nelle scorse stagioni. Non ci sono più i Prokhorov o i Divac da far fessi o squadre disperate con l’acqua alla gola da strozzinare, ma Ainge - almeno stando a quanto dicono i suoi colleghi - ha piazzato l’asticella delle sue aspettative talmente in alto da finire immobilizzato.
Il risultato è che i Celtics non sono nella condizione di contrattare al ribasso quando c’è la possibilità di acquistare una superstar, perché una delle restanti 29 squadre in ogni momento può inserirsi con un’offerta ben più sostanziosa e portarselo via. Situazione occorsa svariate volte negli anni, tanto da creare una specie di mistica comica attorno alle quasi trade effettuate da “Trader Danny”. Il quale, imperterrito, continua a spingere su questa narrazione, incurante di diventare quasi una caricatura di se stesso. Sempre nel suo intervento a Toucher and Rich ha spiegato che non sa ancora se si muoverà per rinforzare il roster prima della chiusura del mercato, perché è raro che in questa finestra si chiudano delle trattative. «Stiamo parlando con le altre squadre e stiamo cercando di fare delle mosse. Siamo stati molto vicini in un paio di occasioni, il tempo ci dirà». Ecco quel «siamo stati vicini» sta diventando il marchio di fabbrica di Ainge: per questo ho deciso di raccogliere 10 delle trade quasi effettuate dal GM dei Celtics - tra quelle di cui abbiamo avuto notizia, almeno.
Kobe Bryant
Proprio l’altro giorno ESPN ha pubblicato una lunga storia orale sulla complicata storia che portò Kobe Bryant a Los Angeles sponda Lakers nella notte del Draft del 1996. Molto si è già scritto e molto già si sapeva sugli intrighi orditi dal suo agente Art Tellem, del ruolo di Jerry West nel portarlo a L.A., del rifiuto a John Calipari (al tempo allenatore dei Nets) e dello scambio con gli Hornets che permise ai Lakers di selezionare il compianto talento da Lower Merion. Ma tra le tante testimonianze spunta quella di Mark Heisler, che allora copriva la NBA per il Los Angeles Times, il quale afferma come poco prima del Draft Danny Ainge, all’epoca vice-allenatore dei Phoenix Suns, avesse tentato in tutti i modi di scambiare la propria scelta, la 15esima, con quella dei Warriors, che avevano l’11esima, per salire e prendere Kobe. Gli Warriors invece rifiutarono e selezionarono Todd Fuller, un centro bianco da North Carolina State che avrebbe finito per giocare poco più di 200 partite in NBA, con Ainge a sbattere la testa sui muri per aver lasciato ai suoi futuri rivali uno dei giocatori più vincenti della storia NBA.
Chris Paul
Anche qui stiamo parlando di una (quasi) trade che è emersa anni dopo, precisamente durante una puntata nel 2013 del podcast di Bill Simmons dove era ospite proprio Danny Ainge, che rivelò come nell’estate del 2005 fu molto vicino a scambiare Paul Pierce ai New Orleans Hornets per la scelta al Draft che poi sarebbe diventata Chris Paul. E pochi giorni dopo Jackie MacMullan, che ai tempi lavorava al Boston Globe, al podcast di Zach Lowe parlando di quando Daryl Morey era il Senior Vice President dei Celtics sotto Ainge confermò quanto Boston fosse davvero vicina a scambiare il loro miglior giocatore. «Se i Celtics avessero potuto chiudere l’affare, lo avrebbero fatto» affermò McMullan, che addirittura rivelò come sul Boston Globe erano già pronti due inserti pubblicitari con Chris Paul in maglia biancoverde. Invece, per qualche motivo non ancora divulgato, l’accordo saltò e tre anni dopo Boston, affiancando Kevin Garnett e Ray Allen a Paul Pierce, vinse il suo 17° titolo NBA.
Kevin Love
La storia d’amore di Danny Ainge e Kevin Love assomiglia a quei romanzi russi che si protraggono nei decenni. Ha inizio nell’estate del 2014 con quella che alcuni beatwriters di Boston descrivono come “una malata ossessione” del GM dei Celtics per il lungo di Minnesota. In particolare i rumor erano agitati dalle foto dell’incontro tra Love e Rondo a Fenway Park, il celebre stadio dei Red Sox, e dalle ritrosie dello stesso Love nel voler estendere il proprio contratto con la franchigia di Minneapolis. Quando sembrava praticamente fatta però i Cleveland Cavaliers, forti del ritorno di LeBron James e della vittoria della lottery, riuscirono a ottenere i servizi dell’ala forte.
Uno dei motivi per i quali secondo i complottisti Kevin Love non fu scambiato con i Celtics.
L’anno successivo Love rifirmò al massimo salariale per i Cavs, ma i Celtics a quel punto avevano già avviato il processo di ricostruzione scambiando Jeff Green e Rajon Rondo, e lo stesso Ainge aveva superato la sbornia. Non se ne fece nulla ma nel 2016, con i Cavs impegnati nelle ennesime Finals contro i Golden State Warriors, Ainge tornò alla carica incontrando l’agente di Love per intavolare una trattativa. Anche qui fumata nera, ma ogni volta che Love è stato messo sul mercato il suo nome è stato automaticamente associato ai Boston Celtics, nonostante le categoriche smentite di Ainge. Chissà se alla fine, con Kevin Love ormai fuori rosa a Cleveland e a fine carriera, i due riusciranno a coronare il loro sogno d’amore perché - come cantava uno bravo - “true love will find you in the end”.
Jimmy Butler
Con Butler entriamo nella lunga lista di nomi per i quali Ainge non ha avuto il coraggio, la volontà o forse la follia di premere il pulsantone rosso e scaricare qualcuno dei tanti asset accumulati per accaparrarsi un giocatore franchigia, uno di quelli che cambiano la traiettoria della squadra. Già nel 2016 c’erano stati dei contatti tra i Celtics e i Bulls riguardo a Jimmy Buckets ma la trattativa si arenò - pare - per la ritrosia di Ainge di inserire Jae Crowder nell’accordo. Lo stesso Ainge dichiarò che le due società erano state molto vicine a chiudere nonostante «ci fossero rischi per entrambe le parti in causa, alla fine nessuno delle due era pronta».
Butler è andato a Miami a fare quello che avrebbe potuto fare a Boston?
E quando nel 2017 Butler era in rotta completa con la dirigenza dei Bulls, che stava disperatamente cercando in giro qualcuno disposto a prendersi un sicuro talento e un grande leader ma allo stesso tempo una personalità non facile in grado di far detonare uno spogliatoio, i Celtics non si mossero in tempo facendosi battere dai Timberwolves. Minnesota mise sul piatto della bilancia la settima scelta nel Draft 2017 (poi Lauri Markkanen), Zach LaVine (al ritorno dalla rottura del crociato) e Kris Dunn. Un'offerta non trascendentale, ma che Ainge decise di non superare, forse anche distratto dalle tante altre quasi trade che stava imbastendo.
Paul George
Sempre nell’estate del 2017 infatti Butler non era l’unica superstar sul mercato, perché anche Paul George aveva richiesto la cessione agli Indiana Pacers, una situazione non comune che aveva costretto Ainge a giocare su più tavoli. E se per Butler aveva effettivamente evitato di superare l’offerta di Minnesota, è probabile che su George sia stata Indiana a forzare eccessivamente la propria mano. Non sapremo mai se Ainge avesse effettivamente offerto un pacchetto più intrigante di quello che poi permetterà ad Oklahoma City di prendere Paul George, ovvero Victor Oladipo e Domantas Sabonis, inserendo davvero quelle pick tanto richieste oltre a qualche giocatore di contorno, oppure se anche questa indiscrezione trapelata serviva solo a mantenere la facciata dopo aver mancato due bersagli così importanti nel giro di pochi giorni.
All’epoca in molti lodarono la pazienza di Ainge per non essere caduto nella trappola di Indiana e non aver pregiudicato il futuro su un giocatore il cui contratto sarebbe scaduto l’anno successivo e che da tempo aveva espresso il desiderio di tornare a giocare a Los Angeles. Ma abbiamo visto come in NBA quello che sembra giusto la sera può rapidamente cambiare prospettiva la mattina dopo: l’importante è non pentirsene.
Kawhi Leonard
Non c’è da stupirsi quindi che anche l’anno dopo, quando ha cominciato a serpeggiare la voce che Spurs erano stati costretti a mettere sul mercato Kawhi Leonard, i Celtics sono stati una delle tante squadre che hanno fatto un sondaggio. Secondo Adrian Wojnarowski a febbraio 2018 Boston aveva fatto un’offerta a San Antonio che però era stata rispedita al mittente, perché non ancora convinta di privarsi del proprio miglior giocatore. Ainge incassò il colpo e non ci riprovò, forse spaventato dall’anno saltato da Leonard o forse convinto che dopo la rocambolesca finale di Conference raggiunta nonostante l’infortunio di Irving, Leonard fosse un lusso inutile.
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Non si sa per quale motivo Dwyane Wade fosse sicuro che Kawhi sarebbe finito a Boston.
Come sappiamo entrambe le ipotesi si rivelarono errate, e l’immobilismo di Ainge avrebbe permesso a Toronto di chiudere una delle migliori trade della NBA recente, assicurandosi Kawhi Leonard e Danny Green per DeMar DeRozan, Jakob Poelt e una prima scelta nel Draft 2019. Un costo risibile per una mossa che avrebbe consegnato a Toronto il primo titolo nella storia della franchigia e facilmente pareggiabile per Boston visti i tanti asset in termini di giovani giocatori e scelte in mano a Danny Ainge.
Anthony Davis
Davis è la Balena Bianca di Danny Ainge, che lo ha inseguito fino da quando era un freshman a Kentucky e già incoronato come futura faccia della lega. Ovviamente nel Draft 2012 i Celtics non avevano nessuna possibilità di prenderlo, ma Ainge non ha mai smesso di sognare di vederlo al TD Garden in maglia biancoverde. Tanto che quando finalmente si è presentata l’occasione con Davis che ha chiesto esplicitamente ai Pelicans di essere ceduto, il GM di Boston si è messo subito all’opera per portarlo a casa. Solo che qualche mese prima Ainge aveva concluso una trade con i Cleveland Cavs per Kyrie Irving, la quale per dei cavilli inseriti nel CBA (precisamente l’impossibilità di prendere nella stessa stagione due giocatori firmati con la Rose Rule e la Designated Player Rookie Scale Extension) di fatto impediva che si potesse compiere un trasferimento di AD a Boston in quella finestra di mercato.
Eravamo a pochi giorni dalla fine del mercato invernale della stagione 2018-19 e questo impiccio burocratico si rivelò fatale. Davis rimase ai Pelicans per altri sei mesi, ma nel frattempo Rich Paul fece trapelare una lista di squadre per le quali AD avrebbe rifirmato l’anno successivo e il nome dei Boston Celtics non compariva - si disse a causa del trattamento adottato dallo stesso Ainge verso Isaiah Thomas (ceduto a Cleveland senza troppi complimenti dopo un’annata da candidato MVP) che non piacque al padre di Davis. Una coltellata per Danny, che avrebbe ammesso pubblicamente di non avere un’offerta concreta per il lungo dei Pelicans e di fatto abbandonò il suo sogno di affiancarlo a Irving. Anche perché Kyrie, dopo aver reso impossibile lo scambio, avrebbe lasciato la squadra in free agency nell’estate del 2019 mentre Davis, non sorprendendo nessuno, andò a Los Angeles a vincere immediatamente il titolo.
James Harden
Non poteva mancare a questa lunga lista anche il nome caldo dell'ultimo anno di mercato, ovvero James Harden. I due sono stati visti fuori a cena lo scorso Novembre, forse per un estremo tentativo di Ainge di convincerlo a scegliere Boston o più probabilmente un modo per seminare zizzania tra le due rivali di Conference Brooklyn e Philadelphia, entrambe con più possibilità di scambiare per Harden.
Lo stesso Ainge infatti poco dopo confesserà che, nonostante ci siano stati ripetuti contatti tra Boston e Houston, «il prezzo non è mai cambiato ed era troppo alto per noi». Come se un fuoriclasse del livello di Harden potesse avere un prezzo abbordabile o addirittura al ribasso. O forse si riferiva al conto della cena.
Justise Winslow
Non tutte le trade saltate all’ultimo momento sono da rimpiangere. Alcune, infatti, hanno evitato di compiere errori da matita rossa, che avrebbero compromesso il futuro della franchigia. Una di queste è quella imbastita in fretta e furia tra i Boston Celtics e gli Charlotte Hornets durante la notte del Draft 2015, quando Ainge voleva a tutti i costi scegliere Justise Winslow fino ad offrire ben sei scelte, tra cui quattro al primo giro, per salire all’ottava chiamata. Ma gli irreprensibili Hornets non si fecero incantare da questo Ainge in versione Fry di Futurama con “Shut up and take my money”, preferendo invece rifiutare l’offerta e selezionando Frank “The Tank” Kaminsky. Una follia che di fatto salvò i Celtics, che poterono virare su Terry Rozier e salvare il loro tessssoro di asset. E che ha consegnato ad Ainge una bella storia da raccontare attorno al fuoco di quando stava per gettare alle ortiche un progetto di ricostruzione per un attacco di ludopatia.
Myles Turner
Perché alla fine le scelte di Ainge sono spesso inspiegabili ai più, a volte estremamente aggressive, altre oltremodo remissive. Troppe volte però sono state condotte da una posizione di presunta superiorità, che invece gli ha fatto spezzare la corda a furia di tirarla. Come ad esempio è successo nella scorsa off-season, quando pur sapendo di aver perso Gordon Hayward ha fatto saltare la trade con Indiana per ottenere almeno in cambio un buon pezzo come Myles Turner, chiedendo sempre di più. I Pacers avevano offerto il loro lungo più Doug McDermott, un tiratore da rotazione NBA che oggi farebbe comodo sul perimetro, mentre Ainge spingeva per inserire anche TJ Warren o Victor Oladipo, tutto per un giocatore con due piedi fuori dalla porta. Una richiesta eccessiva per i Pacers, o per qualsiasi franchigia, che non sono più disposte ad accettare le aste a ribasso di Ainge lasciandolo con in mano solo una gigantesca Trade Player Exception da 28 milioni che però non mette punti a tabellone.
I Celtics stanno realizzando che questo loro atteggiamento ha sia fatto perdere in free agency pezzi fondamentali della loro squadra come Irving, Hayward e Al Horford, sia reso impossibile costruire un roster di valore attorno a Tatum e Brown. Ainge è stato tanto bravo a scegliere due All-Star nel ruolo più importante della NBA contemporanea quanto impreciso nel lavorare sui margini (anche in sede di Draft), limando gli angoli di una squadra che dovrebbe puntare giustamente al titolo.
I Boston Celtics sono ancora una squadra forte, che ha vinto le ultime tre partite ed è risalita alla quarta posizione nella caotica Eastern Conference. Ma nella spietata corsa alla vetta, spesso le scelte che non si fanno contano più di quelle che si fanno.