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I Denver Nuggets hanno messo le ali
07 apr 2021
Con l’arrivo di Aaron Gordon e l’esplosione di Michael Porter Jr., i Nuggets sono più completi che mai.
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Quando nelle ultime ore di mercato i Denver Nuggets hanno trovato l’accordo con gli Orlando Magic per portare in Colorado lo scontento Aaron Gordon, che pochi giorni prima si era messo sul mercato da solo chiedendo la cessione, è stato come veder incastrarsi l’ultimo pezzo di un bellissimo puzzle. I Nuggets avevano disperato bisogno di qualcuno che riempisse il vuoto a forma di Jerami Grant - che in estate ha preferito diventare il primo violino a Detroit piuttosto che fare il corista al fianco di Nikola Jokic e Jamal Murray - per garantire quella flessibilità e atletismo necessarie per attraversare la giungla di insidie che sono i playoff della Western Conference. E l’improvvisa disponibilità di Gordon ha rappresentato un’occasione da non lasciarsi sfuggire.

Il nuovo ruolo di Aaron Gordon

A Orlando Gordon non è mai riuscito a dimostrare il suo reale valore, intrappolato tra proprie velleità personali da superstar e un contesto poco funzionale che gli chiedeva di essere più di quello che era, mentre Denver sembra essere la squadra perfetta per evidenziarne i pregi e smussarne i difetti. Gordon si è immediatamente calato nel ruolo che gli chiedono i Nuggets, dimostrando di integrarsi facilmente in un sistema offensivo intuitivo e dinamico. Senza dover toccare troppo il pallone, l’ex giocatore dei Magic può esaltarsi nei tanti spazi creati dall’armonico attacco che gira attorno a Nikola Jokic, tagliando verso il ferro e ricordando a tutti - e non solo a Dwyane Wade - l’ingiustizia di quel secondo posto alla gara delle schiacciate.

E infatti nella sua prima apparizione contro gli Atlanta Hawks sono bastati neanche 180 secondi per segnare il suo primo canestro in maglia Nuggets, ovviamente approfittando di un assist di Nikola Jokic che lo ha liberato con il solito passaggio consegnato sul perimetro per un comodo tiro dalla media distanza.

In un’intervista post partita Monte Morris, il playmaker di riserva dei Nuggets, ha raccontato di come Gordon nello spogliatoio dopo la partita vinta contro Orlando fosse esaltato dalla prospettiva di avere a disposizione i tiri più facili della sua carriera NBA. E non è solo una percezione visiva: anche le crude statistiche di queste prime partite confermano il trend positivo riguardo il suo nuovo utilizzo. In queste prime quattro partite lo Usage Rate di Gordon si è quasi dimezzato rispetto ai tempi di Orlando, passando dal 25.3% al 14.7%, così come i suoi tentativi dal campo sono scesi da 11.7 a 8.6 su minutaggio equivalente. In particolare sono diminuiti i tentativi da oltre l’arco, da 4.5 a 2.4, e i tiri liberi, da 4.2 a 2.6 a partita.

La media punti però è rimasta la stessa e l’efficienza per singolo tiro è passata da 1.08 a 1.43 punti per tiro, con una percentuale effettiva che sfiora il 70%. Non è difficile capire come mai questi numeri abbiano preso le montagne russe, e non c’entra solo l’aria rarefatta della Mile High City: la metà dei tiri di Gordon arriva ora intorno al ferro e senza troppi avversari addosso, ovvero la situazione più comoda che vi può capitare su un campo da basket.

Non è un caso se finora Gordon abbia sbagliato appena 3 conclusioni al ferro su 19 tentativi. I Nuggets hanno già stabilito un'azione per liberarlo con un backscreen di Murray all'altezza del gomito che crea grande confusione nelle difese avversarie.

Anche perché ora al ferro ci arriva spesso senza il pallone, che gli arriva tra le mani solo quando lo può depositare a canestro senza metterci in mezzo tanti movimenti o palleggi. Il giornalista di Denver Matt Moore, più noto su Twitter come Hardwood Paroxysm, ha calcolato le differenze tra l’utilizzo di Gordon a Orlando e a Denver in termini di palleggi e punti per possesso, a conferma di come il suo numero di tocchi sia inversamente proporzionale alla efficienza in attacco.

https://twitter.com/HPbasketball/status/1379097348287041536

L’80% dei canestri di Gordon in maglia Nuggets è assistito, in netto contrasto con il 52% della sua stagione a Orlando.

D’altronde i Nuggets hanno già Jokic e Murray a dividersi le responsabilità con il pallone e Gordon offre loro un altro bersaglio dinamico verso il quale lanciare i loro dardi no-look. Il serbo in particolare ha già fornito 13 assist al numero 50, due in meno di quanto fatto da Vucevic nel resto della stagione. E Gordon sta ripagando tali gentilezze in attacco accettando immediatamente di essere il difensore più sollecitato della squadra e quello che deve prendersi cura del miglior giocatore avversario. In queste prime uscite ha già marcato con successo Kawhi Leonard, Ben Simmons e Jerami Grant, spendendosi nel ruolo di stopper dei wing creator avversari che diverrà cruciale ai playoff.

Il decollo di Michael Porter Jr.

Per quanto Jokic e Murray siano un tandem unico quanto prolifico che ha ribaltato il famoso asse play-pivot come solo il talento cristallino può fare, allo stesso tempo la loro modernità ha bisogno di essere associata a compagni di squadra funzionali, che siano in grado di riempire gli inevitabili vuoti lasciati ai margini. In particolare hanno bisogno di dividere il campo con atleti versatili che li possano aiutare in difesa e che in attacco sappiano sfruttare le invenzioni del serbo muovendosi con intelligenza e segnando i tiri aperti che vengono costruiti con certosina puntualità.

Qualcosa di simile ai 3&D che andavano di moda qualche stagione fa, ma che nel frattempo hanno dovuto aggiungere nuovi accessori per adeguarsi all’evoluzione della NBA. Un ruolo che i Nuggets hanno sempre fatto fatica a riempire e che quando erano finalmente ci erano riusciti, con Jerami Grant appunto, gli è scappato di mano senza che potessero farci niente.

Con l’acquisizione di Gordon ora Denver può però schierare non uno, ma due giocatori che rispondono a tale ricercato profilo. Infatti uno di questi i Nuggets se lo sono ritrovati in casa, o meglio, ci hanno scommesso e hanno aspettato che fiorisse nonostante in alcuni frangenti la speranze di vederlo in campo erano molto ridotte.

Invece nella sua terza stagione in NBA, dopo la prima interamente saltata a causa di ripetuti problemi alla schiena, Michael Porter Jr. sta dimostrando perché era stato incensato come uno dei migliori prospetti a livello liceale della sua generazione prima che infortuni dentro e fuori dal campo lo abbiano relegato ai margini sia della lottery che del professionismo. Se a Disney World aveva lasciato intravedere lampi promettenti venendo nominato per il secondo quintetto delle seeding games, in questa stagione MPJ ha fatto quel salto di qualità che a Denver si aspettavano.

https://twitter.com/katywinge/status/1377091649076035590?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1377091649076035590%7Ctwgr%5E%7Ctwcon%5Es1_&ref_url=https%3A%2F%2Fclutchpoints.com%2Fnuggets-news-michael-porter-jr-gets-finding-nemo-seagulls-chant%2F

Una delle mie cose preferite di questa stagione, Michael Porter Jr. che viene presentato con i compagni che imitano i gabbiani di "Alla ricerca di Nemo".

Da quando è stato inserito in quintetto Porter non è più il jolly da estrarre dalla panchina ma una realistica terza opzione da cavalcare accanto a Jokic e Murray. Anzi, le sue superlative capacità realizzative lo rendono il miglior complemento possibile alle qualità degli altri due, un tiratore inarrestabile con un rilascio talmente alto, rapido e pulito che pochi in NBA sono in grado di contestare. E infatti in questa stagione Porter sta dando fuoco alle retine, segnando oltre 16 punti a partita con delle percentuali al tiro da predestinato: il 53.7% dal campo e quasi il 45% da tre punti con cinque tentativi e mezzo a partita. Numeri che si sono ulteriormente alzati dopo la pausa per l’All-Star Game, dove sta segnando quasi 21 punti di media a partita grazie soprattutto a un irreale 52% da dietro l’arco.

Ma la crescita di Porter Jr. non è limitata solamente al suo rifinito talento realizzativo ma ad ogni partita aggiunge un dettaglio in più alla sua abilità nel leggere e influenzare le partite. Ha imparato a muoversi con uno scopo in campo, approfittando della gravità generata da Jokic e Murray per poi scegliersi i vantaggi da attaccare. E per un airone di oltre due metri e otto centimetri praticamente ogni tipo di marcatura è un mismatch.

Nel suo secondo anno MPJ ha imparato ad essere molto più smaliziato, sfruttando la sua statura per punire i difensori avversari e approfittando dell'overplay su Jokic in questi hammer screen in occasioni per tuffarsi verso il ferro.

C’era il rischio che con l’arrivo di Gordon, Michael Porter Jr. dovesse abdicare il ruolo da 4 tattico che lo aveva valorizzato negli ultimi mesi. Invece i due hanno immediatamente trovato le giuste distanze, grazie soprattutto alla versatilità difensiva dell’ex Orlando che ha lasciato al più giovane compagno più responsabilità con il pallone, formando una coppia complementare e moderna che farebbe le fortune di qualsiasi squadra - figuriamoci quella che ha bisogno di loro solo come terza e quarta opzione offensiva.

Il quintetto base più completo della NBA?

Gordon e Porter Jr. insieme garantiscono a Denver una dimensione che la squadra del Colorado finora non ha mai avuto, sia in termini realizzativi che difensivi. Il quintetto con Gordon, Porter e Will Barton al fianco di Jokic e Murray permette a coach Michael Malone di avere cinque giocatori che possono portare palla e giocare un pick and roll da palleggiatore, dando una continua varietà alle soluzioni in attacco. Specialmente punendo ogni tipo di cambio difensivo, grazie alla quantità di vantaggi che può creare usando Jokic come faro dal post alto mentre intorno si muovono i suoi compagni. Una fluidità che ha trovato in Gordon e MPJ due nuove sorgenti, specialmente quando c’è la possibilità di correre in transizione e capovolgere il campo di gioco.

Finalmente Denver ha due giocatori che possono contestare un tiro avversario e recuperato il pallone spingere rapidamente dall'altra parte del campo per comodi canestri in transizione.

La loro esplosività diventa molto utile quando c’è la possibilità di conquistare un rimbalzo in attacco, particolare nel quale entrambi eccellono. Il quintetto base dei Nuggets recupera il pallone su oltre il 35% dei propri tentativi al tiro, un dato certo inflazionato dal campione ridotto ma che da l’idea del potenziale. E quando un attacco così efficiente riceve una seconda opportunità, solitamente non perdona.

Questa versione di Denver per ora non sta mostrando molti punti deboli ed è attrezzata per scontrarsi con le altre potenze della Western Conference, potendo contare su tanti giocatori intercambiabili per difendere nei ruoli chiave dell’NBA contemporanea. Rispetto a Gary Harris, eccellente difensore sulle guardie avversarie, Aaron Gordon può prendere in consegna avversari più grossi e atletici, permettendo agli altri compagni di scalare di una posizione. Quindi ora Barton non deve più marcare l’ala piccola avversaria e può dedicarsi al playmaker, mentre Murray si può nascondere sul peggior attaccante per averlo fresco dall’altra metà campo. E una squadra finalmente dotata di lunghezza ed elasticità può essere più aggressiva in difesa, evitando di usare Jokic solo in drop per difendere il pitturato ma cambiando con più semplicità sapendo che c’è una seconda linea di difesa in grado di tappare i buchi.

Da quando Gordon ha indossato la maglia dei Nuggets quest’ultimi sono ancora imbattuti, cinque a zero nelle ultime uscite con prestazioni di grande autorevolezza. Il loro nuovo quintetto base sta spaccando le statistiche avanzate, con un differenziale su 100 possessi di +33.9, complice un attacco che non sembra essere arginabile. Denver segna 134 punti su cento possessi con la naturalezza di chi gioca a memoria nonostante continui a cambiare i pezzi in corsa. Un attestato del talento associativo di Jokic, in grado di rendere migliori tutti i compagni che gravitano nella sua influenza con una semplicità quasi infantile.

Schiacciasette.

Il serbo sta disputando una stagione sopra ogni aspettativa, che lo posiziona come primo indiziato al premio MVP, e un ulteriore salto in classifica renderebbe la sua candidatura ancora più inattaccabile. Al momento Denver ha appena superato i Los Angeles Lakers che aspettano il ritorno di James e Davis e punta diretta al terzo posto dei Clippers, dal quale distano una partita.

Un traguardo al quale ora Nuggets devono puntare senza più nascondersi, dopo che le trade chiuse nell’ultima finestra di mercato hanno definitivamente alzato l’asticella per la squadra del Colorado. D'altronde con uno Jokic in formato MVP e Murray che sa accendersi come pochi quando le partite diventano importanti, la dirigenza guidata da Tim Connelly ha il dovere di giocarsi al massimo le proprie possibilità provando a costruire attorno al duo il roster più competitivo possibile. Per ora sembra funzionare tutto alla perfezione.

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