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Durant e Irving stanno bloccando il mercato NBA
08 lug 2022
Da una settimana la lega intera aspetta di capire quale sarà il loro futuro.
(articolo)
11 min
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Quando si parla di NBA, c’è un aspetto che viene troppo spesso sottovalutato. Per quanto si tratti di una lega di una competitività feroce, in cui tutte le squadre sono disposte ad andare anche in capo al mondo di avere un vantaggio rispetto alla concorrenza (guardate Hustle per farvene un’idea), esiste anche un senso di comunità all’interno, come si trattasse di una grande famiglia allargata. E in questo ecosistema complicatissimo ogni singola mossa ha una ripercussione su tutto il resto: i contratti dei giocatori appena firmati o già in essere vengono quasi sempre utilizzati come le basi per le discussioni di altri accordi (“Se Tizio prende X, allora io valgo almeno tanto quanto, se non di più”); tutti parlano costantemente con tutti, che si tratti di giocatori, dirigenti, allenatori o scout fa poca differenza; e, soprattutto, anche una singola situazione può finire per paralizzare l’intera lega.

Dopo la classica furiosa sequenza di firme alla mezzanotte italiana dell’1 luglio, il mercato NBA è come se si fosse impantanato. Per quanto già più di 100 giocatori abbiano firmato un nuovo accordo, a fare notizia fino a questo momento è quello che non si è mosso, vale a dire il duo Kevin Durant-Kyrie Irving. Esattamente come nell’estate del 2014, quando il protrarsi della decisione di LeBron James di lasciare Miami per andare a Cleveland provocò uno “stallo” in giro per la NBA di 11 giorni, da una settimana abbondante le notizie arrivano alla spicciolata, perché tutti stanno attendendo di capire se e quando i Brooklyn Nets onoreranno la richiesta di Durant di essere ceduto.

Una notizia arrivata a poche ore dall’apertura ufficiale della free agency e che ha scosso le fondamenta della lega, perché non capita mai che un giocatore del calibro di Durant — uno in grado di rendere qualsiasi squadra una contender per il solo fatto di poterlo schierare in campo — non solo sia disponibile sul mercato, ma che abbia anche quattro anni pieni di contratto senza possibilità di uscita. Ed è pur vero che a settembre KD compirà 34 anni e ha giocato 90 partite negli ultimi tre anni, ma stiamo pur sempre parlando di un perenne candidato MVP ancora nel pieno delle sue forze, per quanto la serie di playoff contro i Boston Celtics non sia stata benevola nei suoi confronti.

Durant è arrivato alla decisione di chiedere la cessione dopo che le trattative tra Kyrie Irving e i Nets per il rinnovo di contratto non avevano portato da nessuna parte, convincendo Irving a esercitare l’opzione da 36 milioni di dollari in suo favore per rimanere nel suo accordo ma senza l’assoluta certezza che a ottobre sarebbe sceso in campo per i Nets, complici dei rapporti tutt’altro che idilliaci tra la franchigia e la point guard. Forse la richiesta di KD sarebbe arrivata anche se Irving avesse rifirmato, visto che Brooklyn è sembrata ben lontana dal competere per il titolo, ma è difficile immaginare che la situazione di Kyrie non abbia influito sulla decisione di Durant, convinto che senza il suo amico non abbia più senso rimanere ai Nets, dove non potrebbe giocarsi sul serio le possibilità di vincere il terzo anello della carriera.

Come la trade di Gobert ha cambiato il mercato di Durant

Se nelle prime ore sembrava che le squadre interessate si stessero preparando a fare l’offerta migliore per KD, e che tutto potesse risolversi in fretta, come spesso accade nel mercato NBA è successa però una cosa imprevista: i Minnesota Timberwolves hanno rotto il salvadanaio e hanno speso cinque prime scelte (quattro dirette più un pick swap) per arrivare a Rudy Gobert, mettendo sul piatto anche cinque giocatori (tra cui Walker Kessler, scelta numero 22 dell'ultimo Draft) per far funzionare lo scambio. Un ritorno che ha sconvolto il resto della lega e ha portato i Nets a dover cambiare i propri piani in corsa.

https://twitter.com/ClutchPointsApp/status/1542974546214395905

Richard Jefferson con la consueta sagacia ha reso bene l’idea del pensiero generale: dopo la domanda di Malika Andrews («Se questo è ciò che Gobert è in grado di comandare in uno scambio, quanto possono chiedere per Kevin Durant?») la sua semplice risposta «La Francia» rappresenta perfettamente la situazione in cui ci troviamo.

Dopo un’offerta del genere, i Nets si sono ritrovati quasi costretti a chiedere di più rispetto a quanto ottenuto dai Jazz per Gobert: secondo le ultime notizie, la richiesta minima da soddisfare per convincere Sean Marks è un giovane All-Star, uno o più titolari e cinque scelte al primo giro. E non è nemmeno detto che basti tutto questo, perché secondo Adrian Wojnarowski di ESPN i Nets vogliono “il più grande ritorno in una trade nella storia della lega”, e non possono permettersi di uscire da questa tremenda situazione senza una medaglia da appuntarsi sul petto. Da qualunque parte la si guardi la richiesta di KD di andarsene è un disastro organizzativo di proporzioni epiche, anche perché i Nets hanno sacrificato gran parte del loro futuro in termini di scelte al Draft nello scambio che ha portato James Harden a Brooklyn, e ancora non è chiaro quale sarà il futuro di Ben Simmons con la squadra.

Già, a proposito di Ben Simmons: anche solo la sua presenza a roster complica ulteriormente la situazione di mercato legata a KD. Le regole del contratto collettivo infatti impediscono a una squadra di avere a roster più di un giocatore acquisito via trade dopo che ha firmato una “Designated Rookie Extension”, cioè il contratto al massimo salariale che quasi tutti i migliori giocatori firmano dopo i quattro anni del primo contratto (per capirci: quelli che Ja Morant, Zion Williamson e Darius Garland hanno appena firmato in questi giorni). Facendo un esempio concreto: avendo già preso Simmons via trade, i Nets non possono ricevere un altro di quei giocatori “da primo max contract”, vale a dire uno come Bam Adebayo in caso di scambio con i Miami Heat, a meno che non cedano proprio Simmons (ma auguri a trovare uno scambio che abbia senso là fuori dopo l’ultimo anno che ha passato l’australiano). Il che riduce ulteriormente gli asset che le altre squadre possono provare a mettere sul tavolo per prendere Durant.

L’equilibrio impossibile per soddisfare i Nets e Durant

Ma anche al di là di tutto questo, c’è una verità incontrovertibile: se la richiesta di Brooklyn rimane (legittimamente) così alta, è pressoché impossibile per un’altra squadra riuscire a soddisfarla e contemporaneamente avere un roster abbastanza competitivo per costruire una legittima contender attorno a Durant. Che senso avrebbe per i Phoenix Suns prendere KD se poi attorno a lui, a Chris Paul e a Devin Booker (sempre che Brooklyn poi non si impunti nel volere Booker) non ci sarebbe più niente, avendo ceduto Deandre Ayton (che peraltro deve ancora rinnovare), Mikal Bridges e Cam Johnson? Oppure: che senso avrebbe per Miami mettere sul piatto Jimmy Butler o Kyle Lowry, se l’interesse di Durant nei loro confronti è proprio per giocare assieme a Butler, Adebayo e Lowry? L'ultima voce sostiene che i Nets, prima della trade di Gobert, abbiano chiesto Karl-Anthony Towns, Anthony Edwards e quattro prime scelte al Draft ai Minnesota Timberwolves in cambio di Durant, una proposta semplicemente ridicola. Trovare un punto di equilibrio per soddisfare sia le richieste di Brooklyn che quelle di competitività di Durant è quasi impossibile, e qui si spiega il motivo per cui la NBA si è impantanata in attesa che qualcosa si muova.

Più passa il tempo però e più è probabile che non succeda nulla. Per usare le parole di Adrian Wojnarowski: «Può succedere anche che i Nets si presentino da Durant con una trade in mano e lui dica: “A questo punto tanto vale che rimango”». E se rimane KD, allora torna ad avere senso tenere pure Irving, provare a vedere come si comporta la squadra una volta in campo con Simmons sano (si spera) e se in qualche modo può esserci ancora la possibilità di avere una squadra competitiva ad Est con tutti a disposizione, che era poi l’obiettivo primario quando Simmons è stato preso in cambio di Harden. Una sorta di matrimonio di convenienza per tutte le parti coinvolte, in attesa che qualche evento scuota il mercato e una squadra disperata si faccia avanti con un’offerta irrinunciabile che al momento non sembra essere sul tavolo.

Sia chiaro che non è uno scenario privo di rischi per Brooklyn. Avere in casa due personaggi come Irving e Durant è complicato già di suo, figuriamoci se entrambi si alleano per rendere impossibile la vita di chi sta loro intorno. I Nets sono sembrati esausti mentalmente prima ancora che fisicamente al termine della passata stagione, come se non vedessero l’ora che cominciasse l’estate per togliersi di dosso le tossine di un’annata che ne ha vissute un’altra dozzina al suo interno (il rifiuto del vaccino di Irving, la trade di Harden, gli infortuni di tutti i membri della squadra, il Covid, le sconfitte, ecc…). Pensare che siano disposti a cuor leggero a imbarcarsi in una situazione che già comincia con la premessa di due stelle scontente è tutt’altro che scontato, ed è quello su cui in questo momento giocano le altre 29 squadre: vediamo se a ridosso del training camp, e magari con la minaccia che quei due non si presentino o che giochino controvoglia, sarete ancora così convinti di chiedere “il più grande pacchetto nella storia della lega” o se tornerete a più miti consigli. Il fatto che i T’Wolves siano stati disposti a cedere cinque prime scelte per Gobert non significa che il resto della NBA sia d’accordo, anzi.

Per dirla con i termini usati da Brian “Very Strange Trade” Windhorst: la valanga di offerte che i Nets si aspettavano non c’è stata.

Per prendere uno come Durant o come Irving non basta solamente che una squadra abbia gli asset giusti, ma deve avere anche una motivazione forte per raggiungerli, un senso di disperazione (del tipo: se non lo faccio adesso questo treno non ripasserà mai più) che ora come ora non sembrano avere in tanti. Una di queste squadre sono certamente i Los Angeles Lakers, non fosse altro che per la carta di identità di LeBron James e per gli asset che sono nelle mani dei New Orleans Pelicans, e che per questi due motivi non possono permettersi di vivere un’altra stagione di purgatorio come l’ultima. E non a caso i gialloviola sembrano la principale (se non l’unica) destinazione possibile per Irving, anche se fino a questo momento non si è trovata ancora la quadratura giusta per concludere uno scambio che inevitabilmente coinvolgerebbe anche il contratto in scadenza di Russell Westbrook e delle scelte al Draft.

Ma per il resto non c’è là fuori una squadra con questa assoluta e imprescindibile necessità di vincere adesso. Facendo un rapido giro della Eastern Conference: i Sixers hanno lavorato ai margini della coppia Embiid-Harden al Draft e in free agency e non sembrano una destinazione plausibile; i Raptors sono combattuti all'idea di cedere uno come Scottie Barnes per andare all-in, visto che hanno già vinto tre anni fa e non hanno a roster nessuna superstar con premura di vincere da accontentare; i Bucks non hanno gli asset, così come non li hanno i Bulls; e i Celtics sono andati troppo vicini al titolo con questa strutturazione per pensare di smantellarla proprio adesso. Tra tutte gli Heat sembrano quelli con più premura, ma un pacchetto costruito attorno a Tyler Herro, Duncan Robinson e scelte fino a dove ti può portare? Per tutte le altre non ha nemmeno senso cominciare il discorso, visto che non avrebbero il roster per potersela giocare davvero neanche con un Kevin Durant nel motore.

Spostandoci a Ovest, i Suns hanno da risolvere la situazione di Ayton, legata a doppio filo alle loro speranze di raggiungere Durant dato che senza il contratto del bahamense per loro sarebbe impossibile concludere lo scambio (ma subentra la regola del “Base Year Compensation”, ed è davvero troppo complicata per spiegarla bene: per chi è interessato può leggere qui); i Grizzlies stanno andando da un’altra parte con la loro costruzione del roster, e Jaren Jackson Jr. è fuori per infortunio per i prossimi 6 mesi; Golden State teoricamente potrebbe anche farcela (anche se per Wiggins vale il discorso della "Designated Rookie Extension" di cui sopra), ma subentra un complesso discorso di legacy per Durant che meriterebbe un capitolo a parte; i Mavericks non hanno abbastanza asset anche solo per convincere i Nets a tirare su il telefono; i Jazz stanno andando in un’altra direzione; i Nuggets vorrebbero prima vedere almeno 10 partite assieme del loro roster prima di prendere qualsiasi decisione. Forse i Pelicans potrebbero farcela con giocatori e scelte, anche perché Ingram non ricade sotto la "Designated Rookie Extension" (così come Pascal Siakam), ma accelererebbero in maniera prepotente una timeline che deve essere costruita attorno ai 22 anni di Zion Williamson, non ai 34 di KD (il cui interesse a rimanere a lungo a New Orleans è tutto da confermare). I Clippers hanno ceduto molte delle loro scelte a Oklahoma City, ma potrebbero sedersi a un tavolo solo se disposti a cedere Paul George (che ha un contratto vicino a quello di KD) e tutto il resto dei loro asset appetibili, che non sembrano essere abbastanza per soddisfare i Nets ora come ora. L'operazione "ritorno a OKC" è romantica e se c'è una cosa che ai Thunder non manca sono le scelte al Draft o i talenti giovani, ma non possono inserire Shai Gilgeous-Alexander fintanto che Simmons è a Brooklyn.

Potremmo andare avanti per ore a immaginarci delle trade, ma tanto se abbiamo capito qualcosa della NBA è che nulla va mai davvero come ci si sarebbe potuti aspettare — che è poi il bello del seguire questa lega in cui quello che accade tra Minneapolis e Salt Lake City può avere ripercussioni a New York, Miami e Phoenix, e via via nel resto della NBA. Anche in un campionato ormai di risonanza globale che si gioca da una parte all’altra di un continente che racchiude tre fusi orari diversi, ogni cosa che accade ha un “effetto farfalla”. E mai come in questa estate è diventato evidente.

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