Prima dell’inizio della stagione, nel nostro pezzo sulle Domande Fondamentali ci chiedevamo se l’esperimento di convivenza tra Anthony Davis e DeMarcus Cousins sarebbe stato destinato a fallire. Avere delle Risposte Definitive dopo poco meno di un quarto di stagione, ovviamente, sarebbe impossibile, anche perché gran parte del successo dipenderà dalla qualificazione o meno ai playoff a metà aprile. Un obiettivo che, se la stagione si concludesse in questo momento, sarebbe raggiunto dai New Orleans Pelicans: il loro record di 11 vittorie e 9 sconfitte li pone al settimo posto nella Western Conference, con un cuscinetto di due partite e mezzo di vantaggio sul nono posto occupato dagli Oklahoma City Thunder. Dando per scontato un rientro di Russell Westbrook e soci tra le prime otto, i Pelicans possono approfittare del fatto che le principali avversarie sono alle prese con infortuni molto importanti: tolti i Los Angeles Lakers, gli Utah Jazz stanno cercando di tenersi a galla pur dovendo fare a meno di Rudy Gobert, i Memphis Grizzlies sono in crollo verticale senza Mike Conley (e ora hanno pure licenziato David Fizdale) e agli L.A. Clippers mancano Patrick Beverley (fuori per il resto della stagione), Danilo Gallinari e Milos Teodosic.
Insomma, le cose sembrano essersi messe per il verso giusto per la coppia auto-soprannominatasi “Ice and Fire”, per quanto di vittorie veramente di prestigio contro squadre in questo momento sopra il 50% di vittorie siano arrivate solo contro San Antonio, Indiana e Cleveland, mentre tutte le sconfitte sono arrivate contro squadre competitive. Le statistiche avanzate però sostengono il tentativo di costruire qualcosa che possa durare fino a fine stagione: il loro +1.3 di Net Rating li pone al 12° posto nella lega, più per merito del 9° miglior attacco rispetto alla 16° difesa — un’inversione di tendenza rispetto alla scorsa stagione, nella quale anche dopo l’arrivo di Cousins i Pelicans si erano rivelati una squadra più difensiva che offensiva. Segno che qualche difetto strutturale c’è, ma che la grandezza di Davis e Cousins insieme è in grado di sopperire alle palesi mancanze di un roster con tantissimi buchi.
Ice and Fire, on fire
La notizia più positiva del primo quarto di stagione dei Pelicans è che la coppia formata dalle due stelle funziona: nei 462 minuti disputati assieme il loro Net Rating è un solido +4.5, superiore a quello registrato in generale dalla squadra che invece soffre quando uno dei due va a sedersi (in particolare Davis). Le “Twin Towers” si sono allenate a lungo insieme durante l’estate per trovare la giusta chimica e una divisione dei ruoli adatta, e in questo inizio di stagione se ne sono visti i frutti: i due sembrano davvero impegnarsi per trovare il modo giusto per funzionare insieme — cercandosi continuamente nei giochi a due in attacco, dandosi reciprocamente spazio per attaccare se uno dei due è entrato in ritmo e mettendo la propria intelligenza cestistica al servizio dell’altro —, tornando anche in difesa per quanto è concesso dalla mole che devono spostare su e giù per il campo. Il loro impegno nella propria metà campo è testimoniato non solo dal tentativo di sprintare per tornare in transizione difensiva, ma anche dalla presenza in top-3 di Cousins per sfondamenti presi (da sempre la specialità della casa) e il terzo posto di Davis per palle vaganti recuperate (nonché decimo per sfondamenti). Entrambi, poi, sono in top-10 per tiri contestati a partita, con Davis a inseguire le ali più veloci e Cousins a rimanere più vicino al ferro, cercando di nascondere la propria lentezza di piedi.
I due hanno deciso di spartirsi quasi equamente le zone di campo in cui operare invertendo i ruoli in attacco: di base tutto ciò che arriva sotto la linea del tiro libero è proprietà di Davis, che gioca il più possibile vicino al canestro fungendo da bersaglio per gli scarichi dei compagni; tutto ciò che succede sopra la linea del tiro libero è responsabilità di Cousins, che in questo inizio di stagione sta agendo di fatto come playmaker dei Pelicans nell’attacco a metà campo, in cui stanno andando benissimo (quinti in tutta l’NBA, dati Synergy).
Cousins gioca 1.5 pick and roll a partita ed è nel 53esimo percentile nella situazione, facendo vedere le migliori cose quando si esibisce in un indifendibile gioco a due con Davis — un’azione per la quale nessuna squadra in NBA può ragionevolmente mandare in aiuto un terzo uomo dal lato debole in grado di arginare l’assalto al canestro di AD
L’ex Kings utilizza il terzo numero più alto di possessi nella lega dopo James Harden e Kristaps Porzingis, è a livelli Jokic-iani per passaggi e assist a partita, è primo per tocchi nella metà campo offensiva e penetra solo poco meno di Kyrie Irving. Boogie si sta assumendo quasi tutte le responsabilità di creazione della squadra, cercando di nascondere la polvere di un roster problematico sotto il tappeto del suo enorme talento: basti pensare che, nonostante Davis sia il suo bersaglio preferito con 1.2 assist a partita, è solo il quarto giocatore a cui passa più palloni dopo le guardie (6.5 a partita contro i 17.2 a Holiday, gli 11.5 a Nelson e gli 8.4 a Moore) — segno che si fa compito anche di mettere i giocatori perimetrali in condizione di segnare dall’arco.
Moore è il tiratore più affidabile in quintetto visto che sta tirando con il 37% da tre, ma meglio di lui fanno solamente Darius Miller con il 47% e Jameer Nelson con il 39% - tutti gli altri sono sotto la media NBA. La mancanza di tiratori nel roster è evidente nel 27° posto per efficienza nei tiri piedi-per-terra
Tutta questa mole di lavoro che si deve sobbarcare ha ovviamente degli effetti collaterali: nessuno in NBA perde più palloni di Cousins, che con oltre cinque a partita è uno dei motivi principali per cui i Pelicans sono in top-10 per percentuale di palle perse. La squadra di Alvin Gentry si passa tantissimo il pallone (319 passaggi a partita, settimi in NBA) ed è addirittura terza per percentuale di canestri che deriva da assist, ma questo dato sembra più frutto del fatto che passarla a quei due in posizione favorevole equivale quasi sempre a un canestro — e che quindi sia il talento dei due All-Star, che concludono oltre il 60% dei possessi della squadra, a far sembrare migliori i compagni. Il resto del roster infatti non è poi così fornito di buoni passatori: se escludiamo Rajon Rondo e Jameer Nelson, gli altri — a partire da Jrue Holiday, che sta gestendo malissimo i pick and roll — hanno palesi limiti di tecnica e di visione per pensare che i Pels possano essere un “pass-happy team” del livello degli Warriors o dei Sixers, le due squadre che li precedono per percentuale di assist.
Questo strano e delicato equilibrio però per il momento però funziona: i Pelicans hanno il nono miglior attacco della lega e stanno tirando benissimo dal campo, vantando la quinta miglior percentuale effettiva della NBA (54%) pur posizionandosi al 26° posto per percentuale da tre (34%). L’efficienza così alta si spiega con l’eccellente selezione di tiro: la presenza contemporanea di Cousins e Davis permette di mettere pressione al ferro, dato che il 49% dei loro punti arriva in area e sono quinti per numero di tiri presi nella restricted area; ma allo stesso modo riescono a tirare tantissimo dagli angoli e nella media nelle triple frontali, limitando invece i tentativi dalla media distanza (quart’ultimi). Questi ultimi dati sono dovuti soprattutto al fatto che i Pelicans non hanno tiratori dal palleggio affidabili tra le guardie e che anche Anthony Davis, per quanto incredibilmente talentuoso, ha problemi nel costruirsi un tiro in sospensione da solo (27% nei tiri dal palleggio in stagione). Davis è uno che finisce le azioni ma non uno che le comincia, e quindi ha bisogno di essere continuamente rifornito nelle sue zone preferite (6° per tocchi in area in tutta la NBA) per rendere al suo meglio, mentre ha dei limiti di playmaking che vengono acuiti dallo scarso talento attorno a sé.
New Orleans prova ad ovviare a questi difetti alzando tantissimo il ritmo, più di quello che ci si aspetterebbe da una squadra che schiera due “sette piedi” veri: possiedono il settimo numero di possessi più alto della lega e molto spesso tentano passaggi azzardati a tutto campo anche da canestro subito, cercando in profondità uno dei due lunghi (la maggior parte delle volte Davis, che è nell’80° percentile in transizione) che tenta continuamente di battere il proprio avversario diretto sui 28 metri di campo. Una cosa molto particolare è che i Pelicans alzano tantissimo il pallone con i lob, cercando di arrivare in area sfruttando lo spazio aereo a cui solo un freak atletico come Davis e un mostro fisico come Cousins riescono ad arrivare, piuttosto che una ragionata manovra a metà campo.
Ci sono momenti in cui i Pelicans sembrano l’Inter che cerca continuamente Mauro Icardi crossando in area: qui Jameer Nelson alza il lob per Davis direttamente dalla rimessa laterale per battere il cronometro
L’ingresso di Rajon Rondo in quintetto ha soprattutto questo effetto: quando l’ex playmaker dei Celtics riceve il passaggio di apertura dai compagni, alza la testa e cerca il lancio in profondità per Davis o Cousins alzando il pallone e il ritmo della partita. Di fatto è una macchina spara-palloni al servizio delle due stelle, perché poi quando si deve giocare a metà campo è inutile al limite del dannoso: Alvin Gentry ha deciso di farlo partire titolare togliendo un non-tiratore come Dante Cunningham con il quale le spaziature sarebbero state impossibili, ma di fatto in questo modo gioca senza alcuna ala di ruolo, spezzando il quintetto in due tronconi — i due lunghi da una parte e le tre guardie (lui, Holiday e E’Twaun Moore) dall’altra. Con il pallone che è stabilmente nelle mani di Cousins quando si attacca a metà campo e la necessità di rifornire sia Davis che Holiday, l’unica utilità di Rondo è quella di fornire degli entry pass nelle rare occasioni in cui il pallone arriva nelle sue mani; per il resto delle volte si piazza in un angolo e osserva, con il suo difensore ben contento di concedergli metri di spazio pur di raddoppiare sui lunghi.
In difesa, poi, la presenza di Rondo insieme ad altre due guardie crea continuamente accoppiamenti sfavorevoli: i Pelicans giocano 48 minuti in mismatch da una parte e dall’altra, perché se in attacco nessuna squadra ha due lunghi difensivamente in grado di contenere Davis e Cousins contemporaneamente, quasi tutti hanno degli esterni abbastanza grossi per tirare in testa a Holiday, Rondo e Moore, che non arrivano neanche all’1.95.
Ok, gli Oklahoma City Thunder sono un caso a parte visto che sono enormi, ma qui Rondo è troppo basso per pensare di rimediare dopo un errore di comunicazione con Davis
Il fatto che Rondo abbia un Net Rating abominevole (-12.0 in 122 minuti con il peggior rendimento difensivo del roster) si spiega soprattutto così: per quanto la sua esperienza sia utile nei finali di gara - come ad esempio quello contro i Thunder in cui ha spiegato pallacanestro dopo l’espulsione di Cousins - risulta semplicemente un pesce fuor d’acqua in una squadra a cui di certo non mancano le guardie, visto che non imparerà a tirare a 30 anni suonati (finora 4 punti prodotti in 14 possessi spot-up). L’arrivo di Jameer Nelson, paradossalmente, fornisce una dimensione perimetrale che, a parità di evidenti mancanze difensive, tornano più comode a una squadra che ha l’obiettivo primario di aprire il campo a quei due là: non a caso, a 35 anni suonati il suo è uno dei Net Rating più alti di tutto il roster (+5.2 solo Davis sopra a lui) con il miglior rendimento offensivo della squadra.
Un po’ di fortuna, poi, non guasta
L’anti-modernità dei Pelicans
Se la cosa migliore di queste prime 20 partite è l’intesa e la voglia di funzionare insieme mostrata da Davis e Cousins, la cosa peggiore è certamente il modo in cui è stato costruito il roster attorno a loro. Spesso il progetto dei Pelicans è stato definito come “controcorrente” perché nella NBA moderna sono poche le squadre che schierano due lunghi tradizionali, ma per la verità la vera differenza di New Orleans sta nella mancanza totale di ali versatili che sappiano giocare in entrambe le metà campo. Le uniche due che hanno un profilo del genere sono Dante Cunningham (che però non è schierabile in attacco, visto che è nel 26° percentile spot-up) e Darius Miller, che sta tirando il fuoco da tre punti dopo essere stato ripescato dall’Europa (dove si era ricostruito una carriera al Bamberg), ma troppo lento e troppo poco attento difensivamente per essere schierato da 3 insieme a Cousins e Davis. I Pelicans sono pieni di giocatori che giocano una sola metà campo: solamente Moore è un solido esterno dal quale potersi aspettare che “faccia il suo” sera dopo sera, ma con tutti gli altri - da Tony Allen a Ian Clark e Nelson, da Cunningham a Miller fino all’enigma Rondo - trovare un equilibrio che permetta di schierare 48 minuti di quintetti in grado di giocarsela in attacco e in difesa è un vero e proprio esercizio di equilibrismo.
La composizione del roster dei Pelicans assomiglia a una mano fortemente squilibrata di Briscola Chiamata: tra le carte in mano ad Alvin Gentry ci sono due carichi pesanti (diciamo il 3 e il Re di briscola, rispettivamente Davis e Cousins), una “briscoletta” in Jrue Holiday e nessun altra carta utile, a malapena qualche figura nelle giornate in cui gira bene. A volte quelle due sole carte ti bastano per battere quello che c’è sul piatto e portare a casa qualche punto, vale a dire le singole partite che magari ti permettono anche di arrivare ai playoff. Ma per pensare di vincere sul lungo periodo serve qualcosa di più solido e più continuo. In definitiva: Anthony Davis e DeMarcus Cousins hanno dimostrato di poter funzionare insieme; è tutto il resto del roster a non dare garanzie.
Gli equilibri della lega passano da New Orleans
Fossero una “semplice” squadra con problemi di amalgama ed equilibri, i Pelicans sarebbero una storia come tante altre. La particolare situazione contrattuale delle due stelle, però, li rende particolarmente interessanti - tanto che il resto della lega ha gli occhi puntati su come procederà la loro stagione. Cousins dovrà ridiscutere il suo accordo a luglio, quando sarà uno dei free agent più ambiti sul mercato e riceverà le attenzioni di parecchie squadre; allo stesso modo, al termine di questa annata rimarranno solamente due stagioni piene sul contratto di Davis, che può diventare free agent nel 2020. Se i Pelicans dovessero finire fuori dalle prime otto a Ovest, non si può realmente prevedere quello che può succedere: nello scenario peggiore, Cousins lascerebbe la squadra e Davis potrebbe chiedere la cessione, o potrebbero essere gli stessi Pelicans a pensare di cederlo quando il suo valore sul mercato è al massimo (memori di quanto raccolto nell’ultima estate da Indiana e Chicago per Paul George e Jimmy Butler).
Muovere due pezzi così grossi sulla grande scacchiera della NBA però può avere effetti imprevedibili sugli equilibri della lega, visto che le stelle potenzialmente sul mercato non sono così tante. Cosa succederebbe se i Boston Celtics dovessero mettere sul piatto una delle scelte che rimangono nel loro tesoretto più uno dei giovani più interessanti (Jaylen Brown o Jayson Tatum) per arrivare a Anthony Davis? Verrebbe colmato il gap con i Golden State Warriors per la prossima stagione e quelle a venire? E ancora: se i Los Angeles Lakers decidessero di investire uno dei due slot dei contratti al massimo salariale che stanno disperatamente cercando di creare su DeMarcus Cousins, quale altra stella potrebbe scegliere di raggiungerlo a L.A.?
A un livello più alto ancora, il fallimento dell’esperimento Davis+Cousins potrebbe portare a un ragionamento più ampio sulla permanenza stessa di una franchigia professionistica a New Orleans, visto che il memo condiviso da ESPN li indica come una delle 14 squadre che hanno perso denaro nella stagione 2016-17 (poi recuperati con il sistema del revenue sharing). Con il proprietario Tom Benson che ha già 90 anni ed una successione molto difficoltosa - non più tardi di un anno e mezzo fa aveva dichiarato di non voler lasciare assolutamente nulla alle sue figlie e ai suoi nipoti, rei di aver preso di mira la sua terza moglie -, capire in che direzione vuole andare la franchigia è tutt’altro che semplice, anche se per il momento non c’è stata alcuna voce concreta di un possibile passaggio di mano.
Con il cap intasato per i prossimi anni complice il rinnovo di Jrue Holiday e diversi albatros pesanti (gli inutili Omer Asik e Alexis Ajinca occupano quasi 16 milioni di dollari per questo e per il prossimo anno), una dirigenza traballante e la panchina di Alvin Gentry in discussione, quella di New Orleans è la situazione potenzialmente più esplosiva di tutta la NBA. Sulle larghe spalle di Anthony Davis e DeMarcus Cousins ricadono molte più responsabilità di quelle che si possono immaginare.