
Il 21 maggio 2022, attorno alle 18:30, al termine della finale per terzo posto vinta dal Barcellona contro l’Olympiacos nelle Final Four di EuroLega, Evan Fournier apre il suo account Twitter e scrive: “Se un giorno dovessi tornare in Europa e potessi scegliere di andare dove voglio, penso che andrei all’Olympiacos. È ancora un club fantastico”. Come spesso succede in casi simili, il suo post è inondato di messaggi d’amore da parte degli scalmanati tifosi biancorossi.
La sua off-season era iniziata poco più di un mese prima, dopo che con i New York Knicks non era riuscito a qualificarsi né per il Play-In né tantomeno per i Playoffs, chiudendo la regular season in 11° posizione con un record di 37-45. Era la sua prima stagione nella Grande Mela, arrivato in estate da Boston, e nonostante il brutto record di squadra era riuscito a ritoccare il suo career-high per ben tre volte, tutte e tre contro i Celtics.
Visto il ruolo ricoperto nelle rotazioni di Tom Thibodeau - era il terzo per minuti a partita (29.5, alle spalle dei 34.5 di RJ Barrett e dei 35.3 di Julius Randle) - e gli altri tre anni di contratto a circa 18 milioni di dollari a stagione, anche solo l'idea di un suo trasferimento anzitempo in Europa era sembrato oltremodo utopico, in un viaggio che invece era sempre più a direzione unica, e cioè dall'Europa agli Stati Uniti.
Due anni dopo invece quel tweet è diventato il pretesto per un altro. Alle 20:37 del 2 settembre 2024, Fournier lo ha riproposto come screenshot, con una breve didascalia in cima: “Quel giorno è oggi”, più il tag all’Olympiacos e due cerchi colorati, uno bianco e uno rosso.
A volte non servono più di tante parole.
In questi due anni e poco più, è cambiato tanto ma non tutto. L’Olympiacos, che nel 2022 era tornato alle Final Four di Eurolega dopo un’astinenza durata cinque anni, è riuscito a tornarci sia nell’edizione di Kaunas 2023 che in quella di Berlino 2024. In entrambi i casi, però, non gli è andata bene. Un jumper dalla media di Sergio Llull aveva spezzato il cuore biancorosso in Lituania, mentre nella capitale tedesca erano usciti vincitori gli eterni rivali del Panathinaikos, che poi l'EuroLega l'avrebbero vinta, insieme al campionato greco.
Fournier intanto ha visto il suo ruolo in NBA calare: la stagione 2021/22 è stata l’ultima ad alto livello della sua carriera oltreoceano, iniziata nel 2012 con la 20esima scelta da parte dei Denver Nuggets. Rientrato da EuroBasket 2022 con una medaglia d’argento al collo - esattamente come sarebbe successo due anni più tardi alle Olimpiadi di Parigi - lo scorer francese è diventato un corpo estraneo nei meccanismi dei New York Knicks. Nel giro di qualche mese, è passato da 80 presenze stagionali in quintetto a 27, di cui 24 da subentrato. Dai 14.1 punti di media nel 2021-22 è passato a 6.1, con un calo drastico nelle percentuali al tiro: dal 41.7% al 33.7% dal campo, dal 38.9% al 30.7% da tre punti. L’annata 2023/24 è stata la ciliegina marcia su una torta acida: appena 3 presenze con 13.0 minuti a gara, 4.0 punti di media e il 20% dal campo, prima di una trade a febbraio che lo aveva spedito a Detroit. Ai Pistons le cose erano migliorate sotto il profilo dei minuti giocati e dei punti segnati, ma in una squadra tremendamente perdente.
«Mi annoiavo a morte. Voglio della vera competizione, un posto dove posso essere me stesso. Sto voltando questa pagina senza rimpianti. Sono in pace con me stesso e con la mia decisione. Non vedo l’ora di vivere questa nuova pagina che si sta aprendo», ha raccontato in una lunga intervista concessa a L’Equipe.
Se voleva un posto dove essere amato, Evan Fournier pare averlo trovato.
All’Olympiacos Fournier troverà Sasha Vezenkov, che quel giorno di due anni prima, quando il francese aveva espresso la sua passione per il club greco, era in campo, trascinatore di quella squadra. Vezenkov era partito direzione NBA solo la scorsa estate, insieme a Vasilije Micic, i due dominatori dell’EuroLega. Era sembrata la più classica delle occasioni: Vezenkov e Micic avevano firmato, entrambi, un triennale, rispettivamente con gli Oklahoma City Thunder e i Sacramento Kings, per circa 20 milioni complessivi. Non è durato molto.
E se Micic proverà ancora a trovare il suo posto in NBA con gli Charlotte Hornets, arrivato in città poco prima dell’All-Star Break per colmare il vuoto lasciato dall’infortunato Lamelo Ball, il richiamo dall’Europa per Vezenkov è stato troppo forte. Ai Kings ha avuto una stagione sotto le attese, mai davvero preso in considerazione (12.2 minuti a partita, mai titolare), che in estate lo avevano girato senza tanti complimenti ai Toronto Raptors. Se per l'NBA serve tempo anche se arrivi da MVP dell'EuroLega, Vezenkov non era a suo agio anche con tutto quello che gira intorno al basket oltreoceano: «Con tutti quei viaggi la mia prima stagione in NBA è stata assurda. Passi da un hotel all’altro e da lì all’arena e alle strutture d’allenamento. Poi giochi con una squadra diversa e devi leggere il report dello scouting. Poi giochi e viaggi di nuovo. È davvero difficile ricordare tutto».
Vezenkov al Pireo troverà non solo Fournier, ma anche Keenan Evans, Luca Vildoza e un altro rientrante come Tyler Dorsey. Due pedine perfette per la scacchiera di Georgios Bartzokas, schernito a più riprese l’anno scorso dai tifosi del Panathinaikos a suon di “chess player”, ma privo di un creatore dal palleggio quando il possesso si infanga e dei movimenti off-the-ball di un maestro come il bulgaro.
Al di là degli aggiustamenti tattici, comunque, i nuovi compagni di squadra sono accomunati dalla stessa traiettoria, seppur con tempi e periodi d’aggiustamento molto diversi tra loro. Evan Fournier e Sasha Vezenkov, il primo dopo 12 anni e il secondo dopo appena una stagione, si erano stufati di rincorrere delle opportunità, di continuare a dover dimostrare il proprio valore in un contesto che non li apprezzava abbastanza.
Torneremo a vedere questo demone sui campi europei.
Quasi all'improvviso, e senza grandi segni premonitori, l’estate 2024 ha segnato una tendenza: quella della scelta di diversi giocatori che avrebbero potuto avere più o meno spazio in NBA di tornare in Europa. Hanno percepito lo stesso desiderio di tornare a respirare l’aria di EuroLega anche Aleksej Pokusevski e Frank Ntilikina (Partizan Belgrado), Usman Garuba (Real Madrid), Theo Maledon (ASVEL), tutti accolti come salvatori dai tifosi. La maggior parte sono ritorni, è vero, ma c'è anche il caso di Patrick Beverley, che ha preferito cedere alle lusinghe dell'Hapoel Tel Aviv piuttosto che cercare un altro contratto in NBA (e se Israele non è in Europa, l'Hapoel fa l'Eurocup).
E poi i turchi Furkan Korkmaz e Omer Yurtseven, giunti a Monaco e Panathinaikos. Il secondo, addirittura, è rientrato dall’NBA senza la certezza di partire in quintetto per i campioni d’Europa in carica, che in quel ruolo hanno Mathias Lessort, uno dei centri più forti dell’intera EuroLega. Il più forte, forse. Nella sua decisione non può che aver giocato un ruolo cruciale Ergin Ataman, suo connazionale e anche allenatore della nazionale turca; a poche ore dall’arrivo di Evan Fournier in Grecia, poi, è arrivata un’altra bomba.
Mentre per mezza Europa si vociferava di un suo passaggio al Real Madrid per sostituire il partente Guerschon Yabusele - che ha fatto il percorso inverso, tornando in NBA con i Philadelphia 76ers, dopo aver sorpreso tanti spettatori contro Team USA a Parigi - anche Cedi Osman ha firmato per il Panathinaikos. Un altro elemento della diaspora cestistica turca, con i soli Alperen Sengun e Onuralp Bitim a essere rimasti in NBA.
L’arrivo della versatile ala ex Cleveland Cavaliers e San Antonio Spurs è stato interpretato da molti come una risposta alla provocazione lanciata dai rivali dell'Olympiacos con gli arrivi di Fournier e Vezenkov. Una cosa del tipo: “Non solo siamo i campioni in carica, ma siamo ancora più forti di voi”. Il turco porta fisicità, centimetri e applicazione difensiva in una posizione nella quale Marius Grigonis aveva sofferto tremendamente il gioco in post di Bonzie Colson nella serie Playoffs contro il Maccabi Tel Aviv. Vincono entrambi, insomma.
Puntare su esuberi NBA aveva già funzionato per il Panathinaikos, visto che l’arrivo a stagione già iniziata di Kendrick Nunn si era trasformato in un tifone inarrestabile per il resto delle squadre. Allargando lo sguardo alle altre 17, la sensazione è che questa tendenza sia destinata a continuare: sempre più giocatori di bassa rotazione NBA o G-League approcciano l’Europa non più come una zavorra, ma come un nuovo inizio. A maggior ragione se si tratta di giocatori europei, che sanno già cosa trovare.
La lista potrebbe aumentare - il trasferimento di Davis Bertans a Dubai ancora non vale, ma siamo lì -, visto che i nomi non mancano: Vlatko Cancar, Sandro Mamukelashvili, Neemias Queta, Jonas Valanciunas, Daniel Theis, Goga Bitadze, Vit Krejci, Dario Saric, forse anche Simone Fontecchio. Storie e carriere diverse, così come l’anagrafica, ma stesso concetto alla base: prima o poi, potrebbero stufarsi di dover inseguire un annuale a ogni free agency, preferendo un ritorno in EuroLega.
In tanti hanno optato per dire la propria in EuroLega dall’NBA.
Al contempo, ci sono veterani che sembrano voler posticipare il più possibile una propria data di scadenza oltreoceano. Non è certamente il caso di Boban Marjanovic, che a 36 anni ritorna in Europa se non dalla porta principale, da un percorso sicuramente preferenziale: al Fenerbahce serviva un gigante da sfruttare in situazioni favorevoli, affiancandolo a Khem Birch, Nicolò Melli e Sertac Sanli, e Bobi ha risposto sì.
«Vogliamo che Boban faccia Boban», ha detto coach Sarunas Jasikevicius sul suo arrivo. Continuare a rincorrere annuali in NBA - spesso legati all’influenza “comica” del giocatore più che per un suo effettivo contributo a roster - era diventato noioso per il veterano serbo, che vanta ancora un record anacronistico in EuroLega. Si tratta dell’ultimo giocatore negli ultimi 19 anni ad aver concluso una stagione, quella 2014-15 alla Stella Rossa, in doppia doppia di media: 16.6 punti e 10.7 rimbalzi.
Nel suo contratto, annuale, ci sarebbe una clausola che gli permetterebbe di tornare in NBA a dicembre. Il segno che, forse, più di una scelta di vita, quella del centro serbo è una decisione in attesa di vedere se dalla Lega dovesse arrivare una chiamata più stimolante, magari da qualche squadra che punta a vincere l'anello. Rimane comunque un ritorno significativo, anche perché rispetto agli altri nomi Marjanovic aveva trovato una sua dimensione negli Stati Uniti anche fuori dal campo, diventando un personaggio di culto sia per la sua fisicità unica che per il carattere.
Danilo Gallinari invece, nonostante a ora sia ancora free agent e venga da due stagioni abbastanza travagliate dal punto di vista fisico, continua a cercare un contratto in NBA. Intervistato da Repubblica ha detto che «c’è ancora tempo per il mercato, può succedere tutto in qualsiasi momento. Ora c’è l'NBA. A lungo termine è meglio non pensare troppo».
Una scelta opposta a quella fatta da Marco Belinelli, che avrebbe potuto allungare il suo tempo in NBA, ma che quando ha capito che il suo spazio sarebbe stato risicato, ha preferito tornare in Europa, con grande successo. Dal suo ritorno in Europa, in ordine, ha infatti: riportato la Virtus Bologna sul tetto d’Italia dopo 20 anni, contribuito al ritorno dei bianconeri in EuroLega vincendo l’EuroCup 2021-22, vinto un MVP della Serie A e tre Supercoppe Italiane consecutive. Tutto questo da capitano, per di più giocando un’EuroLega dal punto di vista offensivo ai limiti del clamoroso nell’ultima stagione, terminata a un passo dai playoff.
La sua storia, simile a quella di Serge Ibaka reduce da un anno da protagonista al Bayern Monaco, o che riporta alla mente l’esempio di Luis Scola, ancora dominante scollinati i 40 anni tra Milano e Varese, è emblematica: in Europa c’è il contesto ideale per trovare il proprio spazio, e farlo bene, anche quando in NBA non funziona più.
Il ritorno di una tale quantità di talento, una volta naturalmente fuggito verso l’NBA, logica destinazione per soldi e blasone, segna un evidente aumento nella competitività di una competizione come l’Eurolega, dove la qualità si sta alzando sempre più verso l’alto, e questo vale per quasi tutte le squadre. A eccezione di ALBA Berlino e ASVEL, che per nomi a roster ed esperienza recente partono nelle retrovie, in molte possono dire la propria per trovare un posto ai Play-In (dalla settima alla decima posizione). Lo stesso vale per le contendenti alla Final Four.
I campioni in carica del Panathinaikos, un rinnovato Olympiacos pronto finalmente a riprendersi lo scettro sottraendolo ai rivali cittadini, il Real Madrid desideroso di vendetta; e poi un Fenerbahce che ha ritoccato un roster già competitivo aggiungendo Wade Baldwin IV, Bonzie Colson, Devon Hall e Nicolò Melli; il Monaco della ritrovata coppia James-Calathes, il Barcellona di Kevin Punter e il Partizan di Zeljko Obradovic.
L’EuroLega ha trovato lo status di “seconda competizione al mondo”, e non lo perderà. Vuoi perché, nonostante un sistema economico ancora non sostenibile, il budget medio continua ad alzarsi; vuoi perché i giocatori parlano, si confrontano, e capiscono che lo scarto tra Europa e Stati Uniti si sta assottigliando e, se rimarrà sempre, da questa parte dell’Oceano hanno la possibilità di allungarsi la carriera o trovare contesti con più passione, più competitivi e anche economicamente pronti a farli felici.
Certo, non è tutto perfetto e proprio in questi giorni l’Eurolega ha annunciato l’introduzione di un salary cup dal 2027/28, un modo per tutelarsi dal punto di vista finanziario e anche per aumentare l’equilibrio di una competizione che vede proprio parte del suo rinnovato successo nel fatto che quasi tutte le squadre partecipanti possono dire la loro.
Checché ne dica Juan Toscano-Anderson, campione NBA nel 2022 con i Golden State Warriors e protagonista di uno spiacevole discorso motivazionale nel timeout della finale della Coppa Intercontinentale tra Unicaja Malaga e NBA G-League United. «Il nostro sogno non è giocare nella fottuta ACB o nella fottuta EuroLega», ha detto con i suoi sotto di 18 punti, scatenando l’ira dei tifosi e di chi fa di necessità virtù giocando in Europa.
Magari, tra qualche anno, il 31enne di origine messicana tornerà sulle sue parole, attratto anche lui da una chiamata in Europa. Nel frattempo, in tanti saranno tornati a casa: chi in Spagna, chi in Grecia, chi in Francia, Germania, o Italia. Le Olimpiadi di Parigi 2024 ci hanno urlato come non si possa più dare per scontata la crescita della pallacanestro internazionale. L’Europa ci sta mettendo del suo.