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Nessuno meritava il titolo più dei Denver Nuggets
13 giu 2023
La vittoria in Gara-5 regala l'anello a Jokic e compagni.
(articolo)
9 min
(copertina)
IMAGO / ZUMA Wire
(copertina) IMAGO / ZUMA Wire
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«Il lavoro è finito ora. Possiamo andare a casa». Parla come un uomo in missione Nikola Jokic, l’MVP delle finali, il miglior giocatore di questi playoff, quello con più punti, rimbalzi e assist, o - almeno - parla come un uomo molto stanco. Gara-5 si è conclusa nel modo più atteso per i suoi Denver Nuggets, dopo le due vittorie in trasferta a Miami il titolo era sembrato una formalità, ma meno pronosticabile, al termine di una partita che ha avuto tutto tranne, forse, quello che ci si aspettava ancora una volta da loro, ovvero fluidità, logica, esecuzione.

Come è andata Gara-5

Gara-5 è stata una partita pazza, non necessariamente nella sua accezione più positiva del termine, una partita fatta di tiri che non entrano da nessuna parte, di giocatori che si lanciano sul parquet, di palle perse in maniera banale e di altre recuperate in maniera eroica. Una partita di paura da una parte e di consunzione dall’altra.

È anche difficile provare a commentare quanto successo a Denver senza scadere nella banalità della retorica, trovare un pattern tattico a una partita finita 94 a 89, che a un certo punto era sembrata poter diventare la partita di Kyle Lowry, 37 anni, una stagione sinceramente pessima fino a quando si sono accese le luci dei playoff. La squadra di Spoelstra ha provato ad affidarsi ancora una volta ai comprimari, cercare di spremere ogni briciola dalle idee del suo allenatore, che ha provato tutto quello che poteva e che fin qui nei playoff, in modi anche imperscrutabili, aveva funzionato.

Ieri notte, però, come in tutta questa serie, sono usciti i limiti offensivi di una squadra che - tra le altre cose - ha dovuto rinunciare a Tyler Herro (ieri formalmente convocato, ma senza pestare il parquet). In Gara-5 gli Heat hanno sbagliato 12 dei primi 14 tiri presi, non riuscendo a capitalizzare l’ottima difesa per costruirsi un vantaggio iniziale che magari avrebbe aiutato a contenere il ritorno di Denver, che dall’altra parte aveva i suoi problemi.

La squadra di Malone ha iniziato con 4 palle perse nei primi due minuti e mezzo, grazie anche alla difesa di Miami, arcigna fin dalla palla a due. I Nuggets hanno cercato di trovare canestri attraverso le solite soluzioni offensive, ovvero i giochi a due tra Jokic e Murray, le ricezioni profonde di Gordon contro avversari più piccoli, le triple aperte create dai passaggi del serbo, sbagliando però una marea di buoni tiri. A un certo punto i padroni di casa erano 1 su 15 da tre (finiranno con 5 su 28), costretti inoltre a panchinare Jokic e Gordon a causa dei falli (si è rivisto spuntare anche DeAndre Jordan, 3 minuti in campo e qualche buona difesa) e costantemente indietro nel punteggio, seppur sempre tra le 5 e le 10 lunghezze di distanza, con Miami incapace di affondare il colpo del KO.

Il secondo tempo è stato un lungo giocare a fare il gatto col topo. Denver ha ritrovato qualcuna delle sue certezze e un Michael Porter Jr che, se ha continuato a sparacchiare dalla lunga distanza, ha portato a casa 16 punti quasi tutti dalla spazzatura e 13 vitali rimbalzi. Soprattutto però - in una partita in cui Murray ha faticato più di quanto ci si poteva aspettare al tiro, anche se nel finale ha segnato due triple decisive - i Nuggets avevano il miglior giocatore in campo per distacco e fargli arrivare il pallone era più o meno tutto quello di cui avevano bisogno. In una partita in cui tutti hanno tirato male, Jokic ha chiuso con 12 su 16 dal campo per 28 punti a cui ha aggiunto 16 rimbalzi (10 nell’ultimo quarto). Trovare un modo per marcarlo è un enigma da almeno tre anni ma in questi playoff è diventato sinceramente impossibile. Miami ci ha provato mettendogli Adebayo da solo, raddoppiando, provando la zona, ma niente.

Sul +7 Denver sembrava lanciata per una facile vittoria, ma poi dal nulla è spuntato Jimmy Butler, fino a lì offensivamente dannoso (i suoi numeri sono peggiorati molto dopo l'infortunio alla caviglia contro i Knicks, lui però anche ieri ha detto che non lo ha limitato), che con l'unica fiammata di questa serie ha infilato 13 punti in fila - tra cui tre liberi per un fallo di Gordon molto contestato, ma che gli arbitri hanno confermato anche dopo il challenge - riportando addirittura Miami avanti di un punto con due minuti da giocare.

Da quel momento in poi la partita ha preso la piega selvaggia che possono prendere le partite NBA a giugno, quando tutti hanno migliaia di minuti nelle gambe e ancora più chilometri di viaggio e il titolo è in ballo. A riportare avanti Denver è Bruce Brown che raccatta un rimbalzo dal lato debole e segna i due punti più importanti della sua carriera. Poi Max Strus sbaglia una tripla aperta dall'angolo, Jokic un facile appoggio al vetro (l’unico errore “facile” della sua serie). Miami allora ha l’azione per rimandare tutto a Gara-6, ma Denver contiene bene la penetrazione di Butler che poi mette la pietra tombale sulla serie sua e della sua squadra, con un passaggio sciagurato che finisce nelle mani veloci di Kentavious Caldwell-Pope. KCP dalla lunetta non trema, come - dopo un’altra tripla affrettata e sbagliata da Butler - non trema Brown. Quattro liberi segnati decisivi, anche considerando che fino a quel momento Denver aveva tirato 9 su 19 dalla lunetta. L'ultima preghiera, respinta dal ferro, è di Lowry.

Se volete godervi i minuti finali di questa serie, non michelangioleschi ma comunque emozionanti.

Il dominio di Denver

Dopo è il momento della festa, attesa a Denver da 56 anni, di cui 47 passati in NBA: mai nessuno aveva dovuto attendere tanto. I Nuggets chiudono questi playoff con un record di 16 vittorie e solo 4 sconfitte, una delle migliori postseason di sempre, la migliore da quella degli Warriors del 2017 (il primo anno con Durant, in cui persero una (!) sola partita). Oggi questo dominio sembra netto e pacifico, per una squadra che già durante la stagione regolare aveva mostrato di essere la più continua, quella con più soluzioni e meno drammi, eppure era difficile pronosticare che l’anello andasse a loro. Un passaggio a vuoto nell’ultimo mese e mezzo di stagione regolare aveva spinto molti a dubitare, ma i dubbi erano dovuti soprattutto al fatto che le altre squadre avevano stelle più appariscenti e scafate, allenatori più vincenti, roster più talentuosi.

Cosa ha avuto in più Denver allora alla fine? Abbiamo già parlato della pazienza con cui hanno costruito questo roster, lavorando di cesello intorno al talento cestistico di Jokic e Murray. Non solo i Nuggets sono stati la squadra più affiatata e organizzata nel collettivo, ma sono stati spinti anche dalla singola voglia di riscatto che avevano quasi tutti i loro giocatori. Dai veterani all’inseguimento dell’anello, ad Aaron Gordon e Michael Porter Jr che hanno accettato ruoli più marginali per arrivare proprio qui, dove sono arrivati questa notte, fino alle due stelle della squadra. Murray, che ha dovuto recuperare da una rottura del crociato, le cui incredibili prestazioni nella bolla erano state bollate come quasi una casualità in un contesto non naturale, che non è mai stato neanche convocato all’All-Star Game. Ma anche Jokic, il cui posto nella NBA attuale e storica è sempre troppo dibattuto, fin dal suo arrivo in punta di piedi nella lega, come se più che commentare le sue prestazioni bisogna cercare di normalizzarlo perché non rientra nel personaggio archetipo del fenomeno cestistico.

I suoi playoff rimangono qualcosa di straordinario, all’interno di tre anni in cui ha toccato vette di basket offensivo celestiale. Questa volta, dalla sua, ha avuto compagni sani e perfettamente a loro agio nel ruolo che Malone ha ritagliato per ognuno. Una squadra che ha avuto un contributo decisivo anche da un rookie come Christian Braun, uno di quelli che solitamente nei playoff scivolano silenziosamente in panchina. Se possibile, però, in questa postseason Jokic è salito ulteriormente di livello, mostrandosi finalmente pronto a vincere.

Lo hanno detto anche i suoi compagni: è stato un leader più vocale, capace nel dire le cose giuste al momento giusto, nel guidare la squadra in campo, anche banalmente leggendo gli attacchi avversari. Senza essere un grande difensore, il suo contributo dietro si è sentito parecchio, soprattutto in questa finale, così come si è sentito quando decideva se a vincere le partite doveva essere lui (come ad esempio in gara-2 contro Phoenix o nelle partite a Miami) o se doveva lasciare il pallone a Murray (come in alcuni dei momenti decisivi contro i Lakers).

Nei festeggiamenti è tornato il solito Jokic, quello che pensa a casa, ai cavalli, che mostra davvero poco entusiasmo nelle vittorie, anche a una incredibile come questa. Fortunatamente per Denver intorno a lui la festa e l’emozione si è sentita eccome, a partire dai due fratelli fino ad arrivare a tutta la città, che non è mai stata una "città del basket” ma che si è stretta a questa squadra e non poteva essere altrimenti. Il più contento di tutti è forse Mike Malone, all’ottavo anno su questa panchina, spesso criticato per i suoi limiti, ma che anche lui ha avuto il suo riscatto. Mentre sollevava il trofeo ha gridato all’arena che «ne vogliamo di più» a far capire che il loro non è stato un bel giro irripetibile, ma l’inizio di qualcosa. Effettivamente questa squadra rimarrà: l’unico in forse è Bruce Brown, che ha una player-option da appena 6 milioni e che sicuramente sonderà il mercato in cerca di qualcosa di meglio. Dovessero riuscire a tenerlo o anche no, come non considerarli favoriti per il prossimo anno? (non lo faremo, probabilmente, ma i Nuggets al momento rimangono la squadra meglio costruita della NBA).

https://twitter.com/BleacherReport/status/1668474750895620098

Dall’altra parte gli Heat tornano a Miami con nulla in mano, ma proprio loro - i colpevoli che hanno spinto Giannis all’ormai famoso discorso sul fallimento - possono certo dire di non aver fallito. Non ne avevano per battere questa Denver, ma ogni tanto il percorso conta: Chicago nel play-in, poi Bucks, Knicks e Celtics. Una cavalcata irreale, da ottava testa di serie, piena di eroi più o meno attesi, la conferma che Spoelstra è ancora il migliore nel suo ruolo. Forse non ci hanno dato la finale migliore possibile, ma è merito anche loro se questi playoff sono stati indecisi e spettacolari.

Che rimane? Giovedì c’è la parata a Denver, e chissà se ci sarà Jokic ci sarà, poi è il momento del riposo, dei giocatori che si preparano nell'ombra, del draft che porterà in NBA Wembanyama, del mercato che può distruggere o far nascere sogni. Insomma, il classico periodo giugno-ottobre della Lega in cui tutto è possibile. Quello che è certo è che, al ritorno, a indossare meritatamente l'anello saranno i Denver Nuggets.

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