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10 piccole cose che hanno deciso gara-2
04 giu 2018
La storia di gara-2 delle NBA Finals è ruotata attorno a dieci sottotrame fondamentali per la soluzione della storia.
(articolo)
12 min
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Dopo una gara-1 spettacolare per prestazioni individuali e colpi di scena, gara-2 delle Finals tra Golden State Warriors e Cleveland Cavaliers è ruotata attorno a dieci piccoli aspetti fondamentali del gioco, o per meglio dire dieci mini-storie interne alla stessa partita, con uno o più protagonisti del duello che da quattro stagioni monopolizza il mese di giugno nella NBA.

“Slip the pick”

In gara-1 Cleveland ha giocato alla pari per 48 minuti anche grazie a un atteggiamento troppo remissivo di Golden State, che ha faticato a trovare il suo solito ritmo in attacco e in difesa ha lasciato troppo spazio di manovra alle iniziative di uno storico - e stoico - LeBron James.

La musica in gara-2 è stata diversa sin da subito: gli Warriors sono scesi in campo con l’obiettivo di mettere le cose in chiaro e senza doversi alternare nel ruolo di lepre e cacciatore. La chiave dell’avvio di Golden State è stata la capacità di “fintare” il blocco sulla palla, un movimento chiamato in gergo tecnico “slip the pick”: contro una Cleveland che si preparava a dei cambi difensivi che non sono mai arrivati, i blocchi solo accennati degli Warriors hanno tolto tempo e ritmo ai Cavs, conquistando quell’area sguarnita che ha permesso di convertire tutti e 7 i primi tiri tentati nel match.

Il primo possesso della partita è esemplificativo del leit-motiv della serata: rapidità d’esecuzione e canestri facili in area specialmente per JaVale McGee, schierato dal primo minuto proprio per mettere pressione al ferro avversario al posto del timido Kevon Looney.

Il dominio in area ha permesso agli Warriors di condurre per tutti i 48 minuti in una partita in cui, per lunghi tratti, non sono riusciti a trovare ritmo e continuità fuori dall’arco: Cleveland si è preoccupata di concedere il meno possibile sul perimetro, faticando però a portare aiuti efficaci e tempestivi in area.

Qui Durant non fatica più di tanto a prendere vantaggio su J.R. Smith, e senza l’aiuto di Love i due punti sono assicurati.

Col prosieguo del match Cleveland ha poi recuperato su quest’aspetto, ma la sensazione perdurante è stata quella di una Golden State sempre avanti di almeno un paio di pagine del playbook.

La pressione su King James

Come rispondere difensivamente al più grande losing effort della storia NBA? In gara-2 gli Golden State Warriors hanno provato a rallentare e affaticare LeBron James pressandolo in single coverage sin dall’inizio del possesso, rendendo più difficile del previsto anche l’apertura della stessa azione. Per farlo, Kerr ha accettato che gli Warriors si caricassero di falli (25 a 15 il conto finale), distribuendo il compito difensivo su James per evitare problemi di falli a un singolo.

Questo possesso termina con un fallo - decisamente cercato da James, vista la situazione di bonus - commesso da Bell, ma illustra bene quello che è stato l’atteggiamento difensivo sul numero 23 dei Cavs.

Cleveland ha provato a rispondere mettendo di più il pallone nelle mani di George Hill, che non si è astenuto dal prendersi responsabilità a livello offensivo nei primi 24 minuti. Qui Hill punisce il raddoppio - in verità piuttosto leggibile - su James, infilando una delle sue tre triple di serata.

I continui aggiustamenti e cambi difensivi di Golden State hanno certamente limitato LeBron, che si è preso soltanto 20 conclusioni contro le 32 di gara-1: nonostante i 13 assist, principalmente verso Hill, Smith e Thompson (9 dei 12 canestri dei tre sono stati assistiti da James), anche in questo caso gli Warriors sono sembrati costantemente “sul pezzo” anche nella metà campo difensiva.

Draymond Green, uomo ovunque

Il merito di questa rinnovata energia difensiva è, in primo luogo, di Draymond Green. Il difensore dell’anno in carica - pronto a passare lo scettro, probabilmente a Rudy Gobert - non ha brillato particolarmente in attacco, ma ha disputato una gara-2 splendida per applicazione difensiva, mostrandosi come continua spina nel fianco dei Cavs e, in particolare, di chiunque decidesse di entrare nel pitturato.

La velocità di esecuzione di Green in questo possesso è illuminante: prima copre in aiuto su Love, impedendo l’appoggio verso l’ex Timberwolves, poi riesce a recuperare su Hill sporcandone la conclusione da tre.

Rispetto a una gara-1 da 5 recuperi e 2 stoppate, quella su Hill è stata l’unica conclusione bloccata direttamente da Green in gara-2. Il numero 23 dei Warriors è stato poi particolarmente incisivo anche nella metà campo offensiva come distributore di palloni (il conto è aggiornato a 16 assist in due partite).

Un’azione vista e rivista più volte nella stagione di Golden State: Green finta il tiro per poi scaricare su Curry completando l’uno-due.

Dopo due gare in cui Green ha flirtato con la tripla doppia di media (18 punti, 19 rimbalzi e 18 assist in totale), qualsiasi ragionamento sulla effettiva durata di questa serie passa ora da quanto il prodotto di Michigan State riuscirà a mantenere l’altissima efficienza del suo gioco anche in trasferta.

Kevin Durant, il chirurgo

In gara-1 il suo 8/22 rappresentava al meglio una prestazione timida, superficiale e abbastanza deludente nonostante il positivo risultato finale. Per fugare tutti i dubbi sulla sua condizione, Kevin Durant ha risposto con una prestazione semplicemente chirurgica in gara-2.

Sempre a segno con i primi cinque tiri, a Durant sono servite soltanto 10 conclusioni a canestro per pareggiare gli otto canestri di gara-1, chiudendo alla fine con 10/14 dal campo, in una delle prestazioni più efficienti della sua carriera ai playoff.

Fluidità e rapidità d’esecuzione: fondamentali per mettersi in ritmo da solo.

In particolare, i tre canestri del terzo quarto sono stati fondamentali per spezzare i vari tentativi di rimonta dei Cavs e interrompere l’inerzia favorevole.

La tripla del nuovo +10, ad esempio, arriva dopo i due canestri da tre punti segnati da Love, e la tranquillità nell’esecuzione la dice lunga sullo stato d’animo di “KD35”.

Proprio Love è il difensore che prova a fermare Durant in occasione del secondo canestro, fondamentale per tenere a distanza Cleveland: stavolta la conclusione è da due punti, ma l’eleganza e la totale facilità con cui esegue il movimento è un duro colpo anche al morale di una squadra che si sta provando il massimo sforzo per ricucire lo svantaggio.

Il terzo, invece, è un tiro che arriva al termine di una transizione con però la difesa di Cleveland in grado di coprire efficacemente in difesa: lo step-back di Durant è però immarcabile per l’ex compagno Jeff Green.

Klay Thompson, l’assistente

Dopo oltre 40 minuti giocati sul dolore per l’infortunio patito nei primi minuti di gara-1, Klay Thompson veniva dato come probabile assente in casa Warriors per gara-2. Alla fine, però, il figlio di Mychal in campo c’è stato e il suo impatto è stato cruciale nel costruire il vantaggio iniziale che ha tenuto avanti Golden State per tutti i 48 minuti.

Insieme a Durant, Thompson è stato cruciale per disinnescare la rimonta Cavs nel terzo quarto, in particolare con due delle tre triple di serata.

La prima è una specialità della casa, con il canestro in arresto-e-tiro in contropiede, che ha successo anche grazie alla pigra difesa di un J.R. Smith perso sulle nuvole. Nel secondo caso, invece, la tripla che costringe Lue a spendere un timeout e stoppa sul -5 il recupero di Cleveland arriva al termine di una buona circolazione di palla, con Bell che rinuncia al tentativo da sotto puntando sulla rapidità d’esecuzione del compagno posizionato sull’arco.

L’importanza dei comprimari Warriors

Oltre all’apporto offensivo dei Big Three, in gara-2 è stato fondamentale il contributo di JaVale McGee - partito in quintetto al posto di Kevon Looney - e di Shaun Livingston, che non ha fatto rimpiangere l’assenza di Andre Iguodala. In due, McGee e Livington hanno messo a referto 22 punti con un bilancio perfetto al tiro: 11 canestri su 11 conclusioni tentate, rivelandosi come certezze delle rotazioni di Golden State. Livingston, per lo più, deve ancora sbagliare il primo tiro delle sue finali NBA, essendo finora 9/9 dal campo per un totale di 33 minuti sul parquet.

Con i suoi canestri Livingston ha permesso a Golden State di non pagare dazio nel duello tra le panchine.

McGee, invece, ha fornito un’altra prova di qualità ed energia: non la prima volta - e presumibilmente neanche l’ultima - in una partita casalinga di Golden State ai playoff. L’ex lungo di Nuggets e Wizards è diventato l’ottavo giocatore (e il terzo dal 1994, dopo Danny Green nel 2013 e Tristan Thompson nel 2016) a chiudere una partita di Finale NBA senza errori al tiro con almeno 6 tentativi a canestro.

L’unico canestro di McGee che non è una schiacciata mostra tutti i suoi miglioramenti offensivi in maglia Warriors.

Dr. Kevin and Mr. Love

In gara-1 Kevin Love non aveva sfigurato nonostante le percentuali non ottimali al tiro, chiudendo con il primo 20+10 in una gara di finale contro i Warriors, gli avversari che storicamente l’ex T’Wolves soffre di più. Nel primo tempo di gara-2, però, di Love sembrava essere scesa in campo la peggiore versione possibile.

Oltre agli errori sotto canestro, a un certo punto Love poteva vantare 14 errori consecutivi nelle “catch-and-shoot 3” in questi playoff.

Al rientro dagli spogliatoi, invece, alla Oracle Arena si è visto un altro giocatore, completamente diverso: più aggressivo a rimbalzo e più fluido in attacco, in un terzo periodo chiuso con 14 punti e senza errori al tiro (compreso un ottimo 3/3 da 3 punti) che aveva riportato a contatto Cleveland fino al -5.

Alla fine Love ha portato a casa un altro 20+10, dimostrando comunque di essere una delle figure più reattive del roster dei Cavs, oltre che un punto di riferimento in attacco alternativo a LeBron James. Da quale versione del prodotto di UCLA vedremo nelle due gare in Ohio, però, passa tanto delle possibilità di Cleveland di riaprire e allungare la serie.

Playmaking James

Limitato dall’arcigna e ostinata difesa avversaria («Volevamo rendergli la vita difficile, scomoda», ha dichiarato Steve Kerr nel post-partita), LeBron James ha provato a mettere in ritmo i suoi compagni di squadra, nella speranza anche di allungare le sue energie: coach Lue l’ha tenuto in campo per tutto il match, fatta eccezione per gli ultimi 4 minuti di garbage time.

Il Re ha risposto producendo una prestazione da 13 assist, che sarebbero potuti essere di più qualora i suoi compagni non avessero sbagliato alcune delle tante conclusioni wide-open, come successo, anche se in misura minore, pure in gara-1.

Quando ha avuto davanti una difesa meno aggressiva, James non ha esitato nel cercare un assist smarcante anche nei primi secondi di un possesso. Nel secondo caso, invece, legge bene il raddoppio avversario, puntando sulle capacità in penetrazione di un Hill ispirato nel primo tempo in attacco. Infine LeBron sfrutta bene la transizione, trovando Thompson per la schiacciata dell’illusorio -6.

Il trasferimento in Ohio porterà in dote un giorno di riposo in più, essenziale per ricaricare le pile, in vista di una gara-3 già da dentro o fuori per le effimere speranze di titolo dei Cleveland Cavaliers.

Il supporting cast dei Cavs

Rispetto a una gara-1 decisamente troppo timida, in gara-2 George Hill è partito deciso, voglioso di riscatto e desideroso di sfruttare al meglio i tentativi di coinvolgimento del suo leader. L’atteggiamento positivo di Hill ha prodotto 12 punti nel primo tempo, con canestri spesso importanti per spezzare l’inerzia a favore degli Warriors.

Hill in questa serie è 3 su 5 da 3 quando assistito da LeBron James; il resto dei Cavs è 5/27.

Accolto dall’ironica ovazione della Oracle Arena, che gli ha scherzosamente tributato anche cori da “MVP” quando toccava il pallone o si presentava in lunetta, J.R. Smith non è riuscito a riscattare l’incredibile errore sul finale di gara-1: partito con un buon atteggiamento con due dei primi tre tiri tentati messi a segno, Smith ha sbagliato le successive sei conclusioni a canestro, indulgendo troppo spesso in forzature evitabili e non riuscendo nemmeno a incidere nella metà campo difensiva.

L’unica luce dell’incontro di J.R.

Il Jeff Green visto nelle due partite decisive della serie con Boston (gara-6 e gara-7) sembra un lontano ricordo: l’ex Thunder e Magic dovrebbe essere cruciale nel portare punti dalla panchina alla causa di Cleveland oltre che cambiare su chiunque in difesa, ma in gara-2 ha offerto un rendimento abulico e incolore, non riuscendo mai a incidere per davvero sulla partita.

Stephen Curry from three

Se dieci punti sono quelli con cui si può riassumere questa gara-2, il decimo non può non essere rappresentato dal nuovo record di triple segnate in una partita di Finale.

Ciascuna delle nove conclusioni segnate dall’arco da Stephen Curry riassumono perfettamente come il due volte MVP abbia influito sulla storia del gioco. Al di là dell’esplosione nell’ultimo quarto (16 punti e 5 delle 9 triple sono arrivate negli ultimi dodici minuti), è proprio nel tiro da tre che Steph ha trovato ritmo in una partita dove il ritmo sembrava sfuggirgli.

L’unica tripla del primo quarto di Curry, che chiude con 1/5 nei primi 12 minuti. Nei successivi 36 ha chiuso con 8/12.

Nel secondo quarto sono poi arrivate un paio delle classiche conclusioni da “killer” di Curry: prima la tripla del nuovo +10, dopo che Hill e James avevano riportato a contatto i Cavs, e poi quella del +15, tempi massimo vantaggio Warriors nel primo tempo. Dopo un terzo quarto da 0/3, il quarto periodo da capolavoro (5/5) ha chiuso ogni possibile discorso. Aprono, infatti, due triple consecutive che portano Golden State da +7 a +13. Dopo qualche minuto in cui sono Draymond Green e Durant a prendersi il proscenio, Curry chiude i conti con le altre tre triple: la prima è una conclusione fuori da qualsiasi spiegazione sulla sirena dei 24 secondi.

Poi, dopo l’ottava tripla per pareggiare il record che diventa in realtà un gioco da 4 punti a causa del fallo del malcapitato Love, arriva la nona per il record, subito dopo il momento in cui Lue aveva già alzato bandiera bianca chiamando in panchina i titolari e inserendo le riserve.

Step back in automatico, il malcapitato Cedi Osman non può nulla.

Uno statement game dominante da parte di Steph Curry, con una gara che - unita all’eccellente prestazione di gara-1 - getta le basi per la conquista, in caso di titolo Warriors, del primo titolo di MVP delle Finals in carriera. A LeBron James e ai Cavs sta ora il compito di impedirglielo.

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