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Déjà vu Kevin Durant
07 giu 2018
La scena in cui la stella dei Golden State Warriors segna la tripla che decide del NBA Finals l'avevamo già vista lo scorso anno.
(articolo)
8 min
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Se fossimo in Matrix, forse dovremmo iniziare a preoccuparci. Come spiega Trinity a Neo: “Un déjà vu è un'imperfezione: capita quando cambiano qualcosa”. Nel nostro caso invece non ci sono imperfezioni e non è cambiato nulla da un anno all’altro: esattamente come gara-3 delle Finali NBA 2017 era stata decisa da una tripla di Kevin Durant nell’ultimo minuto di gioco, gara-3 delle Finali NBA 2018 è stata decisa da una tripla di Kevin Durant nell’ultimo minuto di gioco.

Non è stata ovviamente solo quell’azione a rendere memorabile la partita di “KD”. Tutta la sua prestazione è stata un dispiegarsi di bellezza: 43 punti con il 65% dal campo, 13 rimbalzi e 7 assist. Nella serata in cui gli Splash Brothers hanno raccolto briciole prendendosi un giro di pausa, il numero 35 ha provveduto al pane e soprattutto al companatico. E se seguiamo un vecchio adagio per cui i punti si pesano e non si contano, allora ci serve una bilancia per camion per dare la giusta misura di quanto fatto stanotte.

Nel primo quarto Durant ha segnato 13 dei 28 punti totali di squadra e sono stati canestri che non solo lo hanno messo in ritmo, ma allo stesso tempo hanno tenuto a galla Golden State contro la mareggiata di LeBron James e compagni. Nel secondo quarto ne ha messi 11, 6 dei quali nell’ultimo minuto fondamentali per evitare che i Cavs andassero all’intervallo avanti in doppia cifra. Nel terzo quarto i punti sono “solo” 10, ma ci sono 3 assist per punire le maggiori attenzioni che - finalmente - la difesa di Cleveland gli ha riservato.

Tre situazioni in cui Durant si prende sulle spalle tutto il peso dell’attacco degli Warriors in situazioni di uno contro uno, e nelle quali è Magister Vitae.

Cattiva spaziatura degli Warriors con Durant che deve mettersi in proprio: l’unico compagno che si libera è Draymond Green, ma ormai KD ha già iniziato il suo movimento abusando fisicamente del pur ottimo George Hill. LeBron non molla Curry, Tristan Thompson arriva in ritardo: canestro.

Poi c’è il quarto periodo, e qui entriamo nell’iperspazio. Quattro canestri che hanno strozzato definitivamente Cleveland e le sue velleità: tre sono serviti per rimettere puntualmente la testa avanti nei minuti in cui le due squadre hanno viaggiato punto a punto, il quarto è semplicemente poesia in azione. Fanno altri 9 punti portando il totale a quota 43 (contro i 41 degli altri titolari del quintetto messi assieme), miglior prestazione di sempre nei playoff per il figlio di mamma Wanda che ha cancellato in un colpo solo i mormorii arrivati dalla tifoseria dopo i tanti isolamenti della serie contro Houston e dell’opaca gara-1 sui due lati del campo.

Il terzo è il mio preferito: KD attacca Love che tutto sommato resta bene su di lui, ma il modo in cui riesce a coordinarsi e indirizzare la palla verso il canestro è sublime. Poi c’è la tripla, e vabbè.

Una serata di pausa per gli Splash Brothers

La partita monstre di Durant è servita a mascherare quella non sufficiente di Steph Curry e Klay Thompson, che hanno combinato per soli 21 punti in due. Il primo è stato soffocato dalla difesa dei Cavs che ha speso tantissime energie per raddoppiarlo e limitarlo, soprattutto con il “movimento Djordjevic” per ricevere in angolo dopo il consegnato a un compagno che per larghi tratti è stata l’opzione principale sfruttata da Steph.

Steph prova il solito movimento con scarico e sprint in angolo, ma la difesa di Cleveland è pronta e lo chiude in angolo forzando la palla persa. È stata probabilmente l'unica cosa fatta davvero bene dalla squadra di coach Lue nella metà campo difensiva.

Il risultato è stato un brutto 3/16 dal campo e un inusuale 1/10 da 3 (reso ancora più incredibile dalle nove triple appena registrate in gara-2), ma pagando lo sforzo lasciando spazio agli altri. Curry ha cercato in tutti i modi di mettersi in ritmo prendendosi i suoi tiri, anche a costo di forzare pur di entrare in partita. Ci è riuscito appena in tempo: un lay-up e una tripla “delle sue” in transizione hanno fatto da preambolo alla giocata copertina di Durant, permettendogli di aggiungere una firmetta alla vittoria negli ultimi tre minuti.

Klay Thompson è stato invece leggermente più produttivo, non fosse altro che si è preso meno tiri rimanendo all’interno del proprio spartito soprattutto nella ripresa, quando ha messo a referto appena quattro conclusioni dal campo. Anche in una serata non felice al tiro (4/11) ha saputo trovare il modo di rendersi utile in altro: non è un caso che sia il giocatore di Golden State che ha chiuso con l’offensive rating più alto (128.7, quello di Durant è 125.2).

A proposito di utilità: è tornato Andre Iguodala e si è fatto subito sentire. Ha saputo leggere la difesa dei Cavs che lo ha costantemente battezzato scegliendo di volta in volta se allargare o stringere il campo, ha difeso su LeBron togliendogli ritmo e non facendolo andare nelle sue zone di campo preferite, nel parziale di 14-5 degli ultimi 3 minuti c’è il suo zampino neanche troppo occulto. In 22 minuti ha raccolto +14 di plus/minus, secondo solo a quello di KD (+15). Se sarà titolo, anche quest’anno ha messo il suo zampino nonostante l’assenza prolungata.

Tutte le mancanze dei Cavs

L’avvio di partita di Cleveland, spinta anche dal proprio pubblico, è stato notevole: aggressivi e lucidi di squadra come non mai in queste Finals, i Cavs sono arrivati ben presto al +12 grazie anche a giocate spettacolari.

L’auto-assist di LeBron con annessa schiacciata di prepotenza è il buongiorno che il Re dà al match. Il canestro successivo è il manifesto di come gli uomini di coach Tyronn Lue abbiano approcciato la gara in modo diverso: Love pressa Durant, gli toglie la palla e deposita a canestro.

C’è molto di Durant nella rimonta lenta ed inesorabile degli Warriors, ma c’è anche molto della non-difesa dei Cavs. Oltre a non trovare una contromisura per limitare KD, compito che per la verità sarebbe stato difficile per chiunque, le distrazioni sulle rotazioni e sui tagli sono state deleterie. Per ogni cosa buona fatta in attacco, ce n’è stata una in difesa a vanificarla.

Tre momenti in cui la difesa dei Cavs si trasforma in una groviera tra i tanti in cui è possibile pescare. Nel primo Tristan Thompson va in raddoppio su Durant fermandosi però a metà strada: alla fine non raddoppia e non può più recuperare su Draymond Green. Nel secondo Klay Thompson batte il proprio uomo e nessuno si preoccupa di aiutare. Nel terzo basta un blocco di Curry per spalancare le porte del canestro a Jordan Bell.

Qui raggiungiamo “la sintesi della disgrazia, l’apoteosi della schifezza” (cit.) in un momento decisamente topico del match. Non inquadrato c’è Klay Thompson in angolo a sinistra e ovviamente è un pericolo, anche in una serataccia. Ma verso di lui si dirigono sia Larry Nance Jr che Kyle Korver: è un’incomprensione inaccettabile a questi livelli e in fasi così delicate. Curry, prima ancora di passare la metà campo, capisce tutto e va dritto da Livingston che si ritrova davanti un territorio sconfinato. Impossibile esimersi, impossibile non punire.

Non aver costruito una cultura difensiva accettabile durante la regular season è una delle, se non La, pecca più grande di questa edizione dei Cleveland Cavaliers. È vero che a febbraio il roster è stato stravolto ma qui mancano proprio le basi, i concetti comuni, le regole, un minimo di identità. Raddoppiare costantemente Curry per non fargli prendere i suoi adorati tiri può essere anche una buona idea: il problema è lo spazio che è stato lasciato per far girare comunque il pallone e il movimento di squadra che si è esaurito nel raddoppio, senza quella continuità vitale per avere chance contro questi Warriors che per di più avevano anche ritrovato il “ball-mover” principe in Iguodala. Le volte in cui Curry non è stato chiuso, o non si è fatto chiudere in un angolo, la palla è comunque uscita pulita dalle sue mani verso un compagno che sapeva benissimo cosa fare, azionando un effetto valanga che Cleveland ha provato a fermare solo con lo sguardo. Se a ciò aggiungiamo la produzione offensiva con zero liberi nel primo tempo, 9/31 al tiro da 3 dopo il buon inizio e il 43.5% generale dal campo ecco che la sconfitta ha altre motivazioni oltre a quello là con il numero 35.

LeBron James ha tirato fuori - nonostante una caviglia destra malconcia dal secondo quarto in poi - l’ennesima prestazione storica, l’ennesima tripla doppia (33+10+11, la decima nelle Finals) e l’ennesima partita con più di 30 punti (110, superato Michael Jordan ai playoff): tutto questo per l’ennesima frustrante serata contro Golden State, contro cui ha perso 14 delle 21 partite di finale giocate negli ultimi quattro anni. Kevin Love gli ha dato una mano nel primo tempo per poi sparire, esattamente come J.R. Smith; Rodney Hood dalla panchina ha dato sostanza in attacco, ma in difesa non ha dato un contributo accettabile; tutti gli altri sono stati presenti solo a tratti, mentre su Kyle Korver - 0/4 stanotte, 1/10 al tiro nella serie - non si può aggiungere più nulla per pietas cristiana, perché si vede che non ha più energie e non sa dove andare a prenderle contro la difesa di Golden State, perdendo anche ritmo in attacco.

In casa Cleveland potrebbe esserci un moto d’orgoglio in gara-4 come accadde l’anno scorso, ma queste Finals - come tutti un po’ si aspettavano - sembrano ormai decisamente segnate. Troppo superiori gli Warriors, troppo altalenanti i Cavs. Nessuna sorpresa dunque, nessun cambiamento in vista nonostante i déjà vu.

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