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La caduta delle finaliste
16 mag 2022
Milwaukee e Phoenix hanno perso malamente in gara-7, uscendo dai playoff prima di quanto avevamo previsto.
(articolo)
14 min
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Prima dell’inizio dei playoff, la scommessa più educata sulla finale NBA vedeva una riproposizione di quanto accaduto lo scorso anno, con i Phoenix Suns di nuovo davanti ai Milwaukee Bucks. I Suns hanno dominato la regular season chiudendo con 64 vittorie, otto in più di chiunque altro, con il miglior differenziale su 100 possessi della lega e una sensazione di solidità difficile da scalfire sui due lati del campo, inanellando anche 18 vittorie consecutive nel mese di novembre e concludendo con il miglior record nella storia della franchigia. Una stagione in cui hanno battuto tutti in maniera convincente e dominante, sembrando pronti a fare l’ultimo passo che era mancato lo scorso anno.

I Bucks, pur con diversi problemi di infortuni per tutto l’anno, erano riusciti a rimanere nelle prime quattro posizioni a Est e sembravano giocare con la consapevolezza di chi, avendo appena vinto un titolo, sapeva alzare il livello quando necessario per battere qualsiasi avversario, tanto da concedersi il lusso di perdere appositamente l’ultima gara di regular season a Cleveland (tenendo tutti i titolari a riposo) e facendosi scavalcare in classifica dai Boston Celtics, convinti di poter passare un eventuale secondo turno anche senza il fattore campo a favore. Una decisione che alla fine si è ritorta loro contro, dovendosi giocare una gara-7 in trasferta che si è rivelata fatale per le loro speranze di difendere il titolo, così come anche i Suns sono caduti al momento decisivo.

La scommessa persa di Mike Budenholzer

Per molti versi, i Bucks non hanno perso la serie coi Celtics in gara-7 ma nella partita precedente, quella che non sono riusciti a vincere in casa dopo essersi ripresi il fattore campo nel rocambolesco successo di gara-5, nella quale hanno rimontato 14 punti nell’ultimo quarto trovando il canestro decisivo da rimbalzo offensivo di Bobby Portis su un libero sbagliato da Giannis Antetokounmpo. In quella gara-6 i Bucks hanno mostrato i limiti di una squadra arrivata col fiato corto al momento decisivo, venendo tramortiti da una prestazione generazionale di Jayson Tatum — 46 punti, 17/32 dal campo di cui 7/15 da tre e tutti i canestri decisivi in un ultimo quarto da 16 punti su 26 di squadra —, sprecando una serata da 44 punti e 20 rimbalzi di Giannis Antetokounmpo e pagando a caro prezzo l’assenza di Khris Middleton, fuori per tutta la serie dopo l’infortunio al mediale collaterale del ginocchio destro subita contro Chicago.

Gara-7 è stata un microcosmo dell’intera serie. I Bucks sono partiti meglio nel primo quarto e sono riusciti non solo a tenere in campo Brook Lopez (che nel corso della serie non aveva mai giocato più di 30 minuti e ne aveva accumulati solo 39 in gara-5 e 6), ma anche a sfruttarlo a dovere sia in attacco che in difesa, sbloccandolo dalla lunga distanza con la prima e unica tripla della sua serie e chiudendo l’area a doppia mandata, facendo tirare 2/10 da due punti ai Celtics. Lo stesso leit-motiv visto in gara-1, nella quale i Celtics non erano riusciti a stanare Lopez dal centro dell’area schiantandosi sulla difesa del pitturato dei Bucks, tirando appena 10/34 da due punti e venendo costretti a prendersi più di 50 triple dall’arco nel corso del match.

La tattica di sfidare gli avversari al tiro pur di non compromettere la propria difesa a contenimento dell’area fa parte del DNA di questi Bucks almeno quanto le cavalcate in campo aperto di Antetokounmpo. Da sempre coach Mike Budenholzer scommette sulle percentuali avversarie ignorando platealmente alcuni giocatori sul perimetro, in particolare quelli marcati da Brook Lopez. La scelta della serata è stata quella di “nascondere” Lopez su Grant Williams prima e su Derrick White poi, e almeno all’inizio ha pagato: nel primo tempo i due hanno tirato 3/12 dalla lunga distanza e sono sembrati in difficoltà mentale prima ancora che tecnica, come se Budenholzer con la sua difesa stesse cercando di giocare con la loro psiche, facendo nascere nella loro testa una vocina che diceva: “Sei liberissimo di tirare tutte le triple che vuoi, ma sei davvero così sicuro di tentarne così tante quando hai di fianco a te Jayson Tatum e Jaylen Brown? E se poi sbagli e il pubblico di casa rumoreggia? È una gara-7 dei playoff NBA: hai la personalità per sopportare un’eventuale serata storta ed un’eliminazione per colpa tua?”.

Il giochino ha funzionato fino a quando Grant Williams, che in regular season ha tirato col 41% da tre punti e si sta confermando ai playoff su un volume ancora maggiore, non ha trovato dentro di sé il coraggio di prendersi 18 triple in una partita così importante, anche a costo di esagerare un po’. Più ancora delle sette che ha mandato a segno (record pareggiato nella storia delle gare-7), è proprio quel 18 (un altro record: neanche Steph Curry ha mai superato quota 15 e lui stesso prima di questa serie non ne aveva mai tentate più di 8 in vita sua) a testimoniare il livello di fiducia a cui sono arrivati questi Celtics. Anche se in un paio di occasioni ha comprensibilmente esitato, specie quando non gli stavano entrando, nel terzo quarto Williams ha tirato 3/7 e ha aperto in due la partita, chiudendo come miglior marcatore di squadra a quota 27 punti e mettendo il suo nome nella storia dei Boston Celtics ai playoff.

Delle sette triple segnate, la seconda è quella più importante: i Bucks erano tornati avanti di 5 a metà secondo quarto, Williams aveva sbagliato tre triple consecutive aperte in cui la difesa di Milwaukee lo aveva palesemente sfidato al tiro, e in uscita dal timeout coach Ime Udoka ha disegnato uno schema per fargliene prendere una in ritmo e dargli fiducia. Da quel momento in poi Boston ha vinto 74-44.

Come ogni volta che escono i Bucks, è normale chiedersi se la decisione di Budenholzer di scommettere così tanto sulle percentuali avversarie anche in una gara-7 da giocare in trasferta sia giustificabile. Dopo la partita l’allenatore di Milwaukee ha spiegato la sua decisione sottolineando come ogni tiro dato a “un altro” che non fossero Tatum e Brown per lui fosse una buona soluzione, con l’aggiunta di dare a Lopez «l’opportunità di avere un enorme impatto sulla partita» con la sua presenza sotto i tabelloni. Ma si tratta pur sempre di una scommessa, affidando il proprio destino sportivo nelle mani dell’avversario invece di cercare di realizzarlo con le proprie mani cercando di difendere nella miglior maniera possibile invece di speculare su un possibile errore. E le scommesse, per loro natura, si possono anche perdere. A sua discolpa, bisogna dire che l’assenza di Khris Middleton per infortunio e la partenza di PJ Tucker decisa dalla dirigenza (che alla deadline ha anche deciso di cedere Donte DiVincenzo per prendere Serge Ibaka e risparmiare sulla luxury tax) hanno tolto dalla sua disponibilità l’opzione di “cambiare su tutto” sugli esterni e togliere il più possibile la circolazione di palla degli avversari, venendo quasi costretto a impiegare una difesa in contenimento con il personale a disposizione. Grayson Allen ha vissuto una serie da incubo tirando sotto il 21% da tre punti e venendo puntato ossessivamente dagli avversari, e Budenholzer probabilmente avrebbe dovuto toglierlo molto prima dalla serie, ma al netto di tutto non è che in panchina ci fossero chissà quali alternative per toglierlo dal campo, specie nelle condizioni in cui versano Matthews e Hill arrivati ormai a fine corsa.

https://twitter.com/ClutchPointsApp/status/1525934705891192833

Resta il fatto che troppo spesso Budenholzer ha spinto all’estremo la scelta di rimanere in “drop”: possibile che un difensore del livello di Giannis Antetokounmpo rimanga così basso contro un tiratore del livello di Tatum, peraltro già in ritmo con 2/2 da tre per cominciare la partita?

I problemi di “filosofia difensiva” passano però in secondo piano quando si considerano quelli che i Bucks hanno avuto in attacco. Dopo aver segnato due delle prime tre triple tentate nella partita con Lopez e Antetokounmpo, Milwaukee ha tirato 2/29 nel resto del match trovando il fondo della retina solo con Bobby Portis, rendendo la vita sempre più facile all’eccellente difesa di Boston. Con una serata così storta dei vari Wes Matthews (0/3), Grayson Allen (0/4), Pat Connaughton (0/5) e George Hill (0/0), Antetokounmpo e Jrue Holiday si sono ritrovati di fronte un muro di maglie bianche ogni volta che hanno provato a mettere piede in area. E dopo due settimane in cui si sono dovuti buttare dentro ad ogni occasione possibile, hanno comprensibilmente finito con il serbatoio della benzina vuoto, in particolare Giannis che ha tirato solo 7/20 negli ultimi tre quarti per appena 15 punti, commettendo una serie di errori non da lui anche dalla breve distanza e faticando già nel secondo quarto a battere dal palleggio anche un lungo come Daniel Theis che non dovrebbe vederlo neanche in cartolina.

https://twitter.com/ESPNStatsInfo/status/1525955186119819264

Antetokounmpo ha comunque prodotto uno sforzo erculeo anche solo per tenere i suoi in questa serie, chiusa per la prima volta nella storia della NBA con più di 200 punti, 100 rimbalzi e 50 assist a referto.

L’assenza di quei 15/20 tiri che Middleton gli toglie dalle spalle ha finito per pesargli enormemente, specialmente in una serie in cui il tiro dalla media distanza (che in stagione regolare aveva segnato col 44%) lo ha completamente abbandonato, tirando appena 29/92 fuori dalla restricted area e 7/28 da tre punti. Buttarsi ogni volta contro difensori del calibro di Al Horford, Grant Williams e Marcus Smart o dover battere dal palleggio gente come Jayson Tatum e Jaylen Brown gli ha richiesto un dispendio di energie insostenibile anche per uno come lui, che al netto di tutto rimane probabilmente il miglior giocatore in questo momento in NBA. Semplicemente non ha avuto attorno il contesto necessario per confermarlo, ma ci è andato dannatamente vicino lo stesso.

L’assenza di Middleton non toglie comunque neanche uno dei tantissimi meriti che i Celtics hanno avuto in questa gara-7 e in generale nella serie, dove complessivamente si sono dimostrati la squadra miglior al netto di un paio di partite lasciate per strada in gara-3 e in gara-5 (dove comunque erano arrivati punto a punto). Jayson Tatum ha risposto presente nel momento più importante, con la stagione in bilico in gara-6 con una prestazione che potrebbe aver cambiato la storia di questi playoff, e altri protagonisti sono saliti di livello quando necessario (Jaylen Brown con i 30 punti di gara-2, Al Horford con quelli di gara-4, Grant Williams con gara-7) dimostrando che il gruppo in mano a Ime Udoka è davvero forte quanto suggerisce il loro fenomenale record da gennaio in poi. La loro difesa è stata di livello talmente alto da sopperire anche all’assenza di un membro cardine per loro come Robert Williams, alle prese con un ginocchio che non la smette di tormentarlo: ieri era a disposizione come “estintore da rompere in caso di emergenza”, ma ora che li attendono Bam Adebayo e i Miami Heat, il suo atletismo potrebbe risultare fondamentale per superare lo scoglio delle finali di conference, che i Celtics hanno raggiunto per la quarta volta negli ultimi sei anni ma che non superano dal lontano 2010.




Il crollo inaspettato dei Suns

Se nelle sette partite tra Boston e Milwaukee il fattore campo è stato rispettato solo in tre occasioni, in quella tra Phoenix e Dallas non è mai neanche andato vicino a saltare nelle prime sei gare — almeno fino a quando non si è arrivati a una gara-7 difficile da spiegare razionalmente, se non utilizzando termini assoluti. I Mavericks hanno semplicemente fatto quello che hanno voluto, quando lo hanno voluto e dove lo hanno voluto dal primo all’ultimo minuto, partendo fortissimo nel primo quarto con otto punti in fila di Luka Doncic e non voltandosi più indietro. «A good old-fashioned ass whooping» lo ha definito Devin Booker dopo la partita, sintesi perfetta di una gara in cui c’è davvero poco da analizzare, ma molto da raccontare.

Al netto di quanto sia abbagliante il talento di Doncic in certe serate — 35 punti, 10 rimbalzi, 4 assist, 12/19 al tiro e 6/11 da tre, segnando 27 punti nel solo primo tempo quanto tutti i Suns messi assieme —, sono stati gli altri Mavs a vincere la partita specialmente nella metà campo difensiva. Dallas è riuscita a convogliare l’attacco dei Suns nelle mani di Jae Crowder e di Mikal Bridges sfidandoli al tiro (10 tentati in due nel solo primo quarto, 18 nei primi tre quarti contro i 23 del resto dei titolari) senza però concedere loro conclusioni comode o in ritmo, togliendo la palla dalle mani di Booker e Chris Paul e tagliando i rifornimenti a un Deandre Ayton corpo estraneo nei confronti dei compagni.

Due azioni difensive su tutte, ma l’intero primo tempo dei Mavericks è stato un clinic. Spencer Dinwiddie è con i piedi in area per circondare Booker sulla penetrazione lasciando perdere Torrey Craig, poi quando quest’ultimo riceve il pallone trova la distanza perfetta per invogliarlo al tiro (la soluzione che la difesa di Dallas vuole) pur alzando una mano per contestarlo. Nel secondo possesso invece la cosa più interessante avviene lontano dal pallone: Dorian Finney-Smith è staccatissimo da Chris Paul che è un solo passaggio di distanza da Booker, e quando Jae Crowder si avvicina per forzare il cambio difensivo per coinvolgere Luka Doncic in difesa, DFS e lo sloveno cambiano marcatura al volo senza neanche avere bisogno di comunicarlo. Risultato: forzatura di Booker ed ennesima vittoria della difesa.

Il lavoro fatto da Jason Kidd e dal suo assistente deputato alla difesa Sean Sweeney (uno che probabilmente troveremo presto su una panchina NBA come capo-allenatore) per trasformare questi Mavs da una squadra che doveva rifigiarsi in una zona 2-3 con Boban Marjanovic titolare in gara-7 contro gli L.A. Clippers un anno fa a questa macchina perfetta capace di sottomettere l’attacco dei Suns a meno di 101 punti segnati su 100 possessi nelle quattro vittorie (contro i 127.2 delle tre sconfitte) è stato semplicemente sensazionale. E al netto di un Reggie Bullock in più e della trade che ha portato Kristaps Porzingis a Washington in cambio di Dinwiddie e Davis Bertans, stiamo parlando dello stesso nucleo di giocatori della passata stagione. Ma aver trovato altri due creatori di gioco come Jalen Brunson e Dinwiddie (eccellente in gara-7 con 30 punti) permette a Doncic di togliersi dalle spalle quei 20/25 possessi offensivi a partita che gli permettono di essere più fresco in tutti gli altri e anche di spendersi un minimo di più in difesa, dove non sarà mai uno stopper di alto livello ma sono comunque due metri abbondanti per oltre 110 chili che occupano spazio con intelligenza e presenza a rimbalzo.

Certo, poi avere queste mani aiuta.

Questi Mavericks sono talmente strutturati da potersi permettere anche di tenere Doncic in panchina per quasi sei minuti ad inizio secondo quarto, il momento in cui probabilmente hanno vinto gara-7 spegnendo ogni possibile velleità degli avversari, esponendo anche più difetti di difesa perimetrale di quanti forse gli stessi Suns erano a conoscenza. La storia della serie l’hanno fatta i vari Bullock, Finney-Smith, Kleber, Bertans e Dinwiddie che hanno tirato tutti sopra il 37.5% dall’arco su un volume consistente di triple, che però sono arrivate grazie alle capacità dei portatori di palla di arrivare nel pitturato più o meno a piacimento. Doncic e Brunson hanno tentato 78 tiri al ferro e ben 98 nel resto dell’area nel corso della serie (per fare un paragone: tutti i Suns tolti i tre lunghi Ayton-McGee-Biyombo hanno chiuso con 80 tiri al ferro e 89 nel resto dell’area in sette partite) e i Mavs in generale hanno viaggiato a oltre 47 penetrazioni a partita andando a punti nel 61% delle occasioni, contro le 40 degli avversari che hanno prodotto punti in meno del 55% delle occasioni. Il risultato è stato anche che i Mavs hanno costruito 75 triple dagli angoli per i loro tiratori contro le sole 53 degli avversari nell’arco della serie, e anche se i Suns hanno tirato bene dalla media distanza con il 45%, non appena hanno trovato la serata storta in attacco hanno puntualmente finito per perdere.

Il post-partita ha anche mostrato più crepe nello spogliatoio di quello che pensavamo. Lasituazione del contratto di Ayton, nascosta come polvere sotto il tappeto di una squadra che ha volato per mesi e mesi senza mostrare alcun segno di cedimento, è esplosa quando Monty Williams ha spiegato i soli 17 minuti concessi al centro bahamense (terza partita con minor numero di minuti nella sua carriera) con le parole «Rimane tra di noi», facendo intendere che qualcosa si è rotto anche nei suoi confronti. La sua situazione rimane comunque il punto focale dell’estate dei Suns, che però si ritrovano a fare i conti anche con un Chris Paul che dopo aver compiuto 37 anni nel giorno di gara-3 è sembrato inadeguato a certi livelli da un punto di vista fisico, finendo anche lui la benzina dopo aver probabilmente dato troppo nella serie contro New Orleans, dove aveva dovuto fare le veci di Devin Booker infortunatosi in gara-2. In questi playoff in cui il livello è così alto, la gestione delle energie delle stelle fa tutta la differenza del mondo: squadre come Celtics e Mavericks che hanno trovato protagonisti sempre diversi attorno a Tatum e Doncic hanno finito per avanzare, mentre le due finaliste dello scorso anno sono attese da un’estate in cui avranno diverse domande a cui dover rispondere per tornare dove erano state meno di dodici mesi fa.


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