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Storia dell’odio tra Giannis Antetokounmpo e James Harden
20 feb 2020
Il weekend dell’All-Star Game ha fatto riemergere una rivalità che va avanti ormai da un anno.
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11 min
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È diventato ormai un cliché: i giocatori della NBA sono tutti amici tra di loro e non si odiano più — mica come le superstar di una volta, che invece non si potevano sopportare e si tiravano i pugni ogni volta che si incontravano anche in giro per strada. La realtà, come sempre accade, è ovviamente diversa: magari i giocatori di oggi sono semplicemente più bravi a nascondere le reciproche antipatie, ma si odiano anche loro — eccome. Solo che lo manifestano in altre maniere.

È inevitabile che in un ambiente ultra-competitivo come quello della NBA ci siano dei giocatori che si sopportino poco — e ogni tanto questa antipatia reciproca travalica i limiti del campo e finisce anche davanti ai media o più spesso ai social media. L’All-Star Weekend, mettendo tutti i più grandi ego della NBA in un unico posto, è un’occasione perfetta per “risolvere” certe questioni che rimangono in sospeso durante tutta la regular season, in particolare se i giocatori fanno parte di due squadre di conference opposte.

Quella tra Giannis Antetokounmpo e James Harden è la storia di un odio meno palese rispetto a quelli del passato, ma altrettanto presente ogniqualvolta l’uno deve parlare dell’altro. L’All-Star Game a cui abbiamo appena assistito ce ne ha dato un ultimo assaggio: appena dopo la fine della partita, in conferenza stampa Giannis ha detto che in attacco l’unico obiettivo della sua squadra era «attaccare James Harden con qualunque giocatore lo marcasse, perché era quello contro il quale avevamo maggiori opportunità di segnare».

Per carità, il ragionamento tattico è anche sensato: trovandosi davanti anche LeBron James, Anthony Davis, Chris Paul e Kawhi Leonard, il Barba era sicuramente il difensore con meno pedigree del quintetto di Team LeBron. Senza neanche un minimo di vissuto condiviso alle spalle, nel finale dell’ultimo quarto dell’All-Star Game le squadre cercavano il più possibile di forzare cambi difensivi e attaccare i mismatch — in maniera peraltro non dissimile da come si gioca per buona parte dei playoff veri. Nulla di così strano, almeno sulla carta.

Ma è comunque da notare che Giannis abbia voluto citare James Harden con nome e cognome davanti alla stampa invece di dire genericamente che l’obiettivo era trovare un accoppiamento favorevole. Questo per rimarcare ancora una volta un sentimento che Giannis cova dentro di sé ormai da un anno buono: io sono meglio di James Harden perché io, a differenza sua, difendo. Peraltro, Harden ha risposto alla grande in quel finale di gara con dei possessi difensivi di alto livello, ed è stato uno dei motivi per cui alla fine Team LeBron ha retto e ha vinto la partita.

Ma come si è arrivati a questo punto dell’antipatia tra due che non si sono mai incontrati nel corso della loro vita e, soprattutto, fino a un anno fa non avevano motivo di odiarsi?

Gli antecedenti: la pallonata in faccia e il primo Draft degli All-Star

In perfetta coerenza con gli anni che stiamo vivendo, tutto è cominciato con un video virale. Nel gennaio dello scorso anno è infatti diventata famosa l’azione in cui Giannis Antetokounmpo colpisce sul volto James Harden con una pallonata, tramortendolo a punto da farlo cadere per terra.

Non siamo ai livelli di “Uomo colpito da una pallonata”, ma c’è del potenziale per il premio cinematografico di Springfield.

Al tempo non sembrava neanche una domanda: quello di Giannis era semplicemente un errore, voleva scaricare in angolo per il compagno e ha calcolato male la direzione del passaggio, finendo per prendere in faccia Harden. E al 99% è andata così, anche perché la partita era nell’ultimo quarto e non c’era davvero motivo di sprecare così un possesso offensivo. Ma visto che la polemica tra i due stava già sobbollendo — dato che si era ormai capito che l’MVP sarebbe stato un affare tra loro due —, rimane quell’1% di dubbio che quel gesto non fosse del tutto involontario.

Rimane anche il dubbio su quale sia stato il ragionamento di Antetokounmpo quando ha deciso di non chiamare Harden durante il Draft dei titolari per l’All-Star Game del 2019, anche se è stato un po’ più semplice nascondere la sua antipatia (sempre che fosse già presente). Dopo che LeBron James aveva scelto Kevin Durant alla 1, Giannis ha preso Steph Curry (scelta difendibile), Joel Embiid (comprensibile, anche se lo stesso James è sembrato un po’ sorpreso) e, soprattutto, Paul George quando erano rimasti disponibili Harden e Kemba Walker. «Sta andando fortissimo quest’anno, mi ha schiacciato in testa» è stata la giustificazione data da Antetokounmpo al momento della scelta di PG13, mentre anche Ernie Johnson aveva fatto notare che «Harden era ancora disponibile», come a dire: “Ne fa 30 a sera e non lo prendete?”.

Chissà se James sapeva già dell’antipatia tra i due e ha diabolicamente chiamato KD, Kyrie Irving e Kawhi Leonard prima di lui, convinto che mai e poi mai Giannis si sarebbe preso il Barba e quindi se lo sarebbe ritrovato “gratis” a fine giro dei titolari.

La causa scatenante: il premio di MVP del 2019

Queste sono però scaramucce rispetto a quello che è successo quando Giannis Antetokounmpo è stato votato come MVP per la regular season 2019. Un premio sacrosanto visto che il greco aveva guidato i Milwaukee Bucks al miglior record della NBA facendo la differenza su entrambe le metà campo, chiudendo con medie da 27.7 punti, 12.5 rimbalzi, 5.9 assist, 1.3 recuperi e 1.3 stoppate in meno di 33 minuti di media. Anche i voti dei media hanno confermato la netta superiorità di Antetokounmpo, dandogli 78 primi posti su 101 contro i 23 di Harden per un totale di 941 punti a 776. Visto che nessun altro giocatore in NBA ha chiuso in uno dei primi due posti, tutti sono stati concordi nel definirli i due migliori giocatori della stagione — ma con una chiara preferenza per Giannis. Eppure.

Appena dopo l’annuncio — che era noto a tutti ormai da settimane —, gli Houston Rockets invece di abbozzare e di mandare un tweet neutro di congratulazioni (o anche semplicemente di stare in silenzio) si sono sentiti in dovere di pubblicare tre tweet in rapida successione cominciando con “Congratulazioni al nuovo MVP ma con tutto il rispetto non siamo d’accordo”. Poi hanno snocciolato una lunga serie di statistiche più o meno rilevanti su Harden quali “ha finito o primo o secondo nelle votazioni per MVP in 4 delle ultime 5 stagioni” oppure “dalla stagione 2014-15 le medie di Harden sono di 30.4 punti, 8.4 assist, 6.4 rimbalzi e 1.8 recuperi”, finendo per fare solamente la figura di quelli che non sanno perdere. Tanto è vero che il resto dell’NBA Twitter — ancora memore del celebre “dossier” mandato alla NBA sui presunti torti arbitrali ai loro danni nei playoff del 2018 — li ha presi in giro per la loro ennesima caduta di stile. Evidentemente Houston aveva bisogno di “prendere le difese” del proprio giocatore di riferimento e lisciarne l’ego per dirgli “siamo con te fino alla fine", ma persino loro si sono accorti di aver passato il limite: non a caso quei tre tweet sono poi successivamente stati cancellati.

Botta e risposta a distanza: “Tutta narrativa” vs “Il trofeo è a casa mia”

Dopo mesi dall’assegnazione del premio, Harden è tornato a parlare del premio andato nelle mani di Antetokounmpo e lo ha fatto con dichiarazioni molto antipatiche in pieno agosto, periodo solitamente di vacanza anche per le polemiche. Intervenuto in un programma radio, il Barba ha affermato che quella di dare l’MVP a Giannis è stata «una scelta politica»: «I premi sono qualcosa che non posso controllare: una volta che la gente e i media creano una narrativa nei confronti di qualche giocatore fin dall’inizio dell’anno, le cose non cambiano più fino alla fine». Poi, non contento, è tornato a rimarcare quello che aveva fatto: «Della mia ultima stagione si continuerà a parlare anche quando mi sarò ritirato, va dritta nei libri di storia della lega. Ma non posso controllare quello che pensa la gente».

Ma se la rosicata da parte di Harden e dei Rockets era in qualche modo da mettere in conto, il comportamento di Giannis per rispondere a queste dichiarazioni ci ha mostrato in qualche modo un lato del suo carattere che non conoscevamo. Innanzitutto quello passivo-aggressivo, visto che a ottobre durante un’intervista con Yahoo Sports prima ha voluto rimarcare la sua differenza rispetto agli altri («È la loro opinione, ovviamente i Rockets sono schierati dalla parte di James, io non dirò mai di essere un giocatore migliore di lui») e poi ha aggiunto «Ma il trofeo è a casa mia», come a voler chiudere definitivamente la questione.

Il lato vendicativo di Giannis contro il povero Caboclo

L’altro lato che abbiamo conosciuto è quello vendicativo, di cui si erano avute almeno due avvisaglie già nel corso della sua carriera. Forse in pochi si ricordano che la prima serie di playoff di Giannis nel 2015 si conclude con un bruttissimo fallo a palla lontana su Mike Dunleavy, venendo espulso nel secondo quarto mentre i suoi Bucks erano già sotto di 30 contro i Chicago Bulls.

Un lato di Giannis che non conoscevamo.

L’altro episodio è dello scorso dicembre, quando Antetokounmpo ha segnato 17 dei suoi 37 punti nel solo ultimo quarto per rimontare una partita altrimenti dimenticabile sul campo dei Memphis Grizzlies. Due di questi 17 in particolare hanno fatto il giro del web: Giannis prima ha schiacciato in testa a Bruno Caboclo — dimenticabile prospettone brasiliano noto soprattutto per la leggendaria frase «È a due anni di distanza dall’essere a due anni di distanza dal diventare un giocatore NBA» — e poi rientrando in difesa gli ha gridato addosso di tutto, tanto da meritarsi un tecnico. Ma perché una reazione del genere contro un panchinaro? Il motivo è che mesi prima, ai Mondiali cinesi, Caboclo aveva intercettato un alley-oop diretto a Giannis impedendogli di segnare il canestro del pareggio sulla sirena, ma soprattutto perché il prode Bruno aveva avuto anche l’ardire di guardarlo male mentre Antetokounmpo era a terra.

«Potete giurarci che mi ero segnato questa partita sul calendario. Quando abbiamo perso con il Brasile, Papagiannis mi ha detto che gioca per Memphis. E io ho detto: ‘Va bene, guarda la prossima partita in cui giochiamo contro di loro’. Ogni volta che lo incontro, ricordo quella partita dei Mondiali: se sei un agonista, certe cose ti tirano fuori il cuore. E anche Caboclo lo sapeva». Che tutte le superstar della NBA abbiano un ego particolare dovuto alla necessità di dimostrare costantemente di essere tra i migliori è risaputo: tutti sono in qualche modo figli di Michael Jordan, le cui storie delle vendette piccole o grandi sono disseminate lungo tutta la sua carriera. Ma la narrativa attorno a Giannis è quella del ragazzo povero di Atene che è arrivato in cima al mondo con gli occhi da cerbiatto e i tweet sugli smoothies, non quella di uno che si lega al dito uno sguardo storto ai Mondiali e presenta il conto a mesi di distanza. E se questa era la reazione nei confronti di Caboclo, pensate a cosa deve aver covato dentro Giannis nei confronti di un giocatore e di una squadra che hanno pubblicamente messo in dubbio il suo premio di MVP.

Il secondo Draft per l’All-Star Game e quella strana gomitata

La vendetta di Giannis non è un piatto da gustare freddo, ma uno che (lo) consuma tutti i giorni. Al secondo Draft per l’All-Star Game contro LeBron James non ha nemmeno fatto finta di non voler scegliere Harden per la sua squadra, rendendo esplicito il suo disprezzo. Quando si è trovato davanti alla scelta tra il Barba, Trae Young e Kemba Walker — che, con tutto il rispetto, non sono al livello di Harden nemmeno per l’All-Star Game —, Antetokounmpo ha fatto il finto indeciso dicendo «Non so chi prendere tra Kemba e Trae». A quel punto Charles Barkley, uno che ha fatto della polemica il suo credo, gli ha detto «Aspetta, non vuoi un palleggiatore?» facendo evidentemente riferimento a Harden. Giannis con un sorriso cattivo ha risposto «Voglio uno che passa la palla», provocando le risate di tutti i presenti per l’evidente imbarazzo di Giannis nel non voler scegliere Harden esclusivamente per la sua antipatia nei suoi confronti, cogliendo l’ennesima occasione per parlare male del suo rivale.

A questo ha poi fatto seguito la conferenza stampa citata all’inizio in cui diceva che il piano partita era puntarlo continuamente, e nel mezzo si è inserito anche un momento particolare, quando durante una lotta a rimbalzo Antetokounmpo ha preso in faccia Harden con un avambraccio.

https://twitter.com/TheNBACentral/status/1229444911621124103

Nella concitazione del momento nessuno se ne è accorto, ma nulla sfugge all’occhio attento di Internet.

Normalmente una trama del genere dovrebbe trovare il suo sfogo naturale in una serie di playoff, anche se per godercela sia Bucks che Rockets dovrebbero arrivare fino alle Finali NBA — appuntamento al quale finora nessuna delle due squadre è riuscita a giungere. Nelle 13 occasioni in cui si sono affrontati in carriera il bilancio è di 8-5 per Harden, anche se Antetokounmpo ha una striscia aperta di tre vittorie consecutive e Milwaukee ha dimostrato di essere una delle migliori squadre della lega nel contenere Harden (11/39 al tiro per 42 punti nelle ultime due partite tra la scorsa e questa stagione).

Il prossimo appuntamento è fissato per il 26 marzo, quando i Rockets faranno visita alla squadra con il miglior record della NBA. C’è da scommettere che entrambi i rivali si saranno segnati la data sul calendario, tra una rosicata e l’altra.

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