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I Golden State Warriors non mollano
06 nov 2024
Sono 6-1 grazie soprattutto alla difesa.
(articolo)
11 min
(copertina)
IMAGO / ZUMA Press Wire
(copertina) IMAGO / ZUMA Press Wire
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Non è mai facile per nessuno ammettere che il tempo sta inevitabilmente presentando il conto. Immaginiamoci per i Golden State Warriors, una delle dinastie più affascinanti e vincenti nella storia recente della NBA, con un impatto che va ben oltre il gioco. In più occasioni la franchigia californiana è sembrata destinata al declino: prima l’addio di Kevin Durant nel 2019 dopo due titoli in tre stagioni, poi con il record di 15-50 nel 2020 e la mancata qualificazione ai Playoffs nel 2021. Eppure, quei passi indietro hanno metaforicamente permesso agli Warriors di arrivare alla vittoria del titolo nel 2022. Poi, un’altra discesa, fino all’uscita al play-in tournament contro i Sacramento Kings della scorsa stagione, con un sonoro 118-94 dopo il quale Steve Kerr aveva dovuto ammettere con franchezza che «non si può rimanere al top per sempre».

È vero: la dinastia dei Golden State Warriors è al tramonto, ma ancora in questa stagione sta cercando di trovare una nuova scintilla, di rinnovarsi intorno a un’idea, che invece è sempre la stessa. Per molte squadre vincenti il rebuilding è spesso un processo doloroso, e magari arriverà anche per loro, ma al momento possiamo parlare più di transizione che di ricostruzione da zero. Certo, i cambiamenti rilevanti ci sono, a partire dall’addio del GM Bob Myers che la dinastia l’ha costruita (sostituito da Mike Dunleavy Jr.) fino all’ultima dolorosissima separazione da una leggenda come Klay Thompson. Tuttavia la franchigia vuole continuare a massimizzare il presente, con un occhio al futuro.

Se la doppia timeline non ha funzionato, oggi accanto a Stephen Curry e Draymond Green, ci sono giocatori come Jonathan Kuminga, Moses Moody e Brandin Podziemski che possono ancora crescere e dire la loro da cast di supporto (più Andrew Wiggins, su cui è difficile pronunciarsi al momento). Anche per questo, in estate, gli Warriors hanno provato a prendere Paul George e Lauri Markkanen per mirare al ruolo di contender, senza però riuscirci. Dovevano essere loro a supportare la creazione di tiri a fianco di Stephen Curry e invece a chi toccherà ora? È la domanda che lì ha inseguiti prima dell’inizio della stagione e allora vale la pena andare a vedere, al momento, qual è la risposta che si sono dati gli Warriors.

La finezza e i quesiti nell’assemblare il roster
La cultura insita nelle organizzazioni è un tema molto considerato in NBA e gli Warriors ne hanno fatto simbolo di eccellenza ed elemento di attrattiva. Lo Strength in Numbers è un richiamo a un impegno collettivo e diffuso, a un'attitudine altruista che vuole fare sentire tutti importanti. Mai come in questa stagione tutto ciò è enfatizzato. Il front office ha spinto sul tasto della profondità e della versatilità con un ulteriore dettaglio non indifferente: l'ammontare totale di salari è sceso da 224.8 a 199.3 milioni di dollari.

Il contratto di Moody è stato esteso a un prezzo ragionevole (tre anni e un po’ a 39 milioni). Tra lui e lo staff tecnico la relazione è ondivaga e sono ancora alla ricerca di un ruolo chiaro. L’estensione è però un segno della fiducia da parte della dirigenza che, magari, spera Moody possa over-performare con tiro da tre punti, gioco in movimento e difesa sul point of attack. Accordo che invece non è stato trovato con Kuminga, che - fin qui - ha rappresentato più un complemento offensivo che non un giocatore su cui costruire. In estate gli Warriors potranno pareggiare ogni offerta in free agency e molto dipenderà da come il giocatore riuscirà a salire di livello in questa stagione (cosa che gli Warriors attendono da un po’).

La sorpresa, ormai garanzia, è però Podziemski. Scelto alla numero 19 al Draft del 2023 (il primo sotto la guida di Mike Dunleavy Jr.), da subito ha dato l’idea di essere una steal non da poco. In campo mostra nessun timore di assumersi responsabilità, di svolgere qualsiasi tipo di compito offensivo o difensivo, a cui aggiunge uno skillset abbastanza ricco. Podziemski ha visione di gioco, footwork, lucidità dal palleggio per essere il compagno di backcourt ideale o un sesto uomo con uno usage importante.

Ma l’aspetto che più lo rende prezioso è l’abnegazione difensiva, la capacità di produrre giocate d’impatto nella propria metà campo in maniera energica. Con senso della posizione eccellente (è stato leader per sfondamenti subiti nel 2023/24) e un totale rifiuto di farsi trovare battuto, Podziemski è l’incarnazione dello spirito con cui l’intero collettivo degli Warriors vuole affrontare questa stagione. Anche a lui è stato chiesto di incrementare il volume di tiri da tre punti, nonostante un inizio non sufficiente (18.8% su 5.3 tentativi), continua a risultare efficace in una serie di aspetti che lo rendono un giocatore speciale.

Accanto a questi tre (più Curry e Green) sono stati aggiunti Hield, Melton e Anderson. Per quanto non possano essere considerati una svolta, fanno parte di scelte studiate, un incastro di caratteristiche che è in grado di modellare l’approccio nello stile di gioco, dal floor spacing di Hield, all’opportunità di privilegiare la tenuta difensiva e ricercare playmaking secondario con Melton e Anderson. A questi Kerr spera di aggiungere Wiggins. Dopo una stagione in cui seri problemi personali hanno compromesso la sua tenuta mentale, e di conseguenza ogni aspetto della sua performance, l’allenatore degli Warriors si augura un ritorno alle sue medie precedenti (e cioè un contributo da 17 punti di media con almeno il 38.0% da tre punti, assieme al fondamentale impatto difensivo). L’inizio è stato promettente, ma il suo nome rimane il più coinvolto in possibili trade che nei prossimi mesi potrebbero cambiare lo scenario della franchigia.

Insomma, gli Warriors hanno costruito un roster con pochi picchi ma profondo, spingendo Kerr, fin dal training camp, a provare tante soluzioni diverse, arrivando a parlare di voler gestire una rotazione di dodici giocatori. Se una suddivisione dei minuti più democratica può aiutare a preservare la salute dei giocatori, e avere più possibili lineup è un potenziale vantaggio, riconoscere i momenti specifici in cui aggiustare il tiro e cambiare l’identità di squadra può non essere immediato e semplice da eseguire. Al netto di ciò, i principi di profondità e versatilità che costituiscono l’identità di Golden State da sempre sono stati da subito visibili anche in questa stagione, e si traducono nel tipo di basket godibile e attivo che da anni siamo abituati a vedere.

Nelle prime gare, il quintetto iniziale era più strutturato e fisico, con Kuminga, Green e Jackson-Davis a comporre il frontcourt e Wiggins a fianco di Curry. Gli scopi primari difensivi sono chiari: rinforzare la taglia sia sul perimetro che nei pressi del ferro, ridurre il carico difensivo di Steph e la versatilità dei giocatori a ricorrere a diversi coverage nei blocchi sulla palla. Questa strutturazione ha però diversi difetti in attacco, a partire da un pessimo spacing, visto che tre giocatori sono sacrificabili dalla difesa se posizionati dietro l’arco, rendendo automatici degli aiuti contro Curry non appena parte in palleggio. Nelle idee degli Warriors, dovrebbe essere Kuminga a rendere efficace questo quintetto. Nel 2023/24 ha chiuso con il 32.8% su 1.8 tentativi a partita, ma la speranza dello staff tecnico è che questi numeri crescano sia in volume che in precisione.

Il principio dell’attacco, comunque, è sempre quello, sfruttare la gravity di Curry. Al suo fianco, non è scontato poter disporre di così tante possibili fonti di gioco: diversi bloccanti, creatori secondari, passatori e taglianti statici o in movimento. Non è un caso che dopo l’infortunio avvenuto contro i Los Angeles Clippers, Steve Kerr ha subito messo mano alla lineup delle gare successive: più small e con orientamento offensivo. A seconda dell’avversario, di infortuni e di altre variabili, i Warriors possono scegliere quale direzione preferire nel coordinare le rotazioni.

L’imperativo di Steve Kerr è quello avere una squadra con un alto volume di tiri da tre punti (al momento è il 46.8% del totale di tentativi dal campo; era il 42.5% la passata stagione, fonte: NBA.com), lavorando sui giochi al fine di costruire tiri buoni anche quando non ci sono tanti tiratori in campo. Ad avvantaggiarsi più di tutti di questa strutturazione è stato Buddy Hield, capace di segnare col 50% da tre su quasi 10 tentativi a partita. Hield è un tiratore di striscia se ce n’è uno, e le sue medie possono scendere in maniera anche drammatica nelle prossime settimane, ma a oggi sta fungendo come Splash Brother di riserva, ma non è uno scorer di supporto continuo come servirebbe agli Warriors e come si è evidenziato nel momento in cui è stato assente Curry.

Il rinvigorito sistema difensivo
Forse come mai prima nella storia recente, il punto di vista da cui guardare con particolare attenzione la squadra di Kerr è però la difesa, al momento la seconda più efficiente dietro ai Thunder (fonte: Cleaning the Glass). Quale miglior modo di iniettare fiducia e senso di responsabilità all’attacco se non partendo da energia e potenza nella metà campo difensiva?

Il livello di applicazione messo in campo dai giocatori rispetto all’ultima stagione è stato sorprendente, merito di un ritrovato livello fisico e atletico da parte di Wiggins e Payton II e della voglia di rivalsa di Draymond Green. Gli Warriors si predispongono con aiuti preventivi dagli angoli, riempiono la zona ai gomiti per ostruire linee di penetrazione, tengono le mani attive per deviazioni e palle rubate. Finora sono secondi per steals su 100 possessi, primi per deflections e secondi per minor frequenza percentuale di tiri da tre punti concessi above the break (zone di campo esclusi gli angoli, fonte: NBA.com).

La maggiore capacità generale di riuscire a tenere il corpo tra l’attaccante e il canestro limita il bisogno di rotazioni difensive, ma quando succede, finora, Golden State ha messo in mostra un’ottima sintonia nel gestire recuperi, aiuti e cambi al volo per togliere ogni sorta di vantaggio all’avversario.

Se Curry è il giocatore intorno a cui ruota l’attacco, in difesa è Green a guidare le file. La sua volontà esplicita di rientrare a far parte della conversazione riguardo il premio di Defensive Player of the Year sta dando motivazioni extra a quello che è uno dei migliori difensori di questa generazione. Accanto a lui sta emergendo Jackson-Davis, la cui prestanza fisica a proteggere il canestro permette a Green di poter agire più liberamente per fare tutte quelle giocate intangibili che lo rendono così speciale. Due esempi nel video qui sotto, ma potrebbero essere mille: deviazione come low man sul lob al ferro ed efficace closeout a contestare (clip 1); capacità di rimanere vigile sul gioco a due nonostante il taglio di Grant vorrebbe toglierlo dalla possibilità di aiutare sullo short roll, per poi disincentivare un primo tiro e alterare il secondo (clip 2).

Avere un otto volte All-Defensive Team aiuta, ma come detto mai come quest’anno per Golden State la difesa è una questione di effort collettivo. L’atletismo del roster permette di avere quintetti aggressivi, aumentando l'utilizzo del coverage al livello del blocco o addirittura con delle trappole contro il palleggiatore. Però sono scelte subordinate a una serie di condizioni che fanno capire il livello di meticolosità degli Warriors.

Da notare la fisicità dei difensori nell’inseguire l’uscita dal blocco sulla Garfunkel Action dei Pelicans (clip 1 e 2 sotto, combinazione di ghost screen e pindown). Poi la volontà di usare il corpo nella difesa perimetrale per ottenere pick pocket e tenere il pick-and-roll laterale verso la linea di fondo giocando ICE coverage unita all’attenzione rispetto quando e contro chi fare blitz. Gli Warriors cercano di avere sempre i giocatori più grossi a protezione del ferro e le guardie sul perimetro per i closeout. Se si vuole adottare questo stile, i movimenti alle spalle della prima linea devono essere puntuali e organici, altrimenti si espongono a qualche ostacolo nel dover rincorrere palla e avversari, o nel gestire posizionamenti non pienamente funzionali a rimbalzo.

L’aumento dell’efficienza difensiva favorisce il gioco in transizione, marchio di fabbrica di questi Golden State Warriors. I break originati da palloni recuperati sono saliti dal 57.7% al 66.1%, mentre quelli aperti da rimbalzo difensivo dal 26.8% al 31.5%; un balzo non indifferente che li ha visti passare dal ventiseiesimo al sesto posto in NBA per frequenza percentuale di possessi in transizione (fonte: Cleaning the Glass).

Come si vede nel video sotto, il successo difensivo è dovuto all'effort dei giocatori: prima il muro costruito sulla ricezione di Grant, la capacità di Wiggins di stare davanti con nessuno dei compagni forzato a staccarsi dal proprio attaccante permette di lavorare bene a rimbalzo e innescare il contropiede (clip 1). Inoltre, la varietà nei coverage sui blocchi disincentiva i tiri dal palleggio: se Jackson-Davis si deve concentrare sul palleggiatore, ecco il supporto alle spalle per mantenere solidità e convertire in punti rapidi. E le corse perimetrali di Hield sono una gioia per gli occhi: a lui è permesso di sacrificare presenza a rimbalzo se questo non svantaggia i compagni e permette di spiccare il volo in corsa a tutto campo.


Probabilmente, in sei gare nessuno ha già variato nei propri assetti come Steve Kerr: da big a small lineup, a chiudere la gara contro i Rockets senza palleggiatori e spacing (precisando che Green e Podziemski erano fuori per falli) ma tenendo gli avversari a due punti nel tempo supplementare. Questa continua possibilità di trasformarsi è come una montagna russa, dove nel giro di poco si possono fare o subire dei parziali considerevoli.

Gli Warriors avevano opzioni ridotte al minimo per rinnovare la franchigia ma mantenerla competitiva, in quella che inevitabilmente sarà una delle ultime stagioni di Curry al più alto livello che può offrire. Rinnovando fino alla stagione 2026/27 il numero 30 ha mostrato la propria fiducia nei confronti della dirigenza, ma ha anche introdotto una sorta di tacita pressione per forzare Golden State a cercare di rimanere competitiva e tentare di avventurarsi il più a lungo in postseason. Per il momento si divertono, e divertono, a correre su un filo del rasoio.

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Pesaro, 26 anni. Avido consumatore di pallacanestro, interessato a tattica e numeri.

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