L’ultima volta che avevamo visto Jamal Crawford su un campo di pallacanestro NBA aveva segnato 51 punti. Era il lontano 9 aprile del 2019 e già allora c’erano ottime possibilità che sarebbe stata la sua ultima partita in carriera da professionista. Crawford aveva appena scollinato i 39 anni di età e l’annata appena conclusa con i Phoenix Suns era stata tutt’altro che positiva, essendo sceso in campo solo 64 volte per una squadra capace di portare a casa appena 19 vittorie in tutta la stagione. Il suo Net Rating di -15.1, il peggiore di tutti tra i giocatori dei Suns con almeno 300 minuti, raccontava molto della sua incapacità di tenere il campo anche in una squadra fortemente perdente.
Quella sera, nell’ultima partita di regular season, Crawford aveva sfogato la frustrazione di un’annata passata a rimuginare in panchina (meno di 19 minuti di media: non gli succedeva dall’anno da rookie nel 2000-01) e in cui la sua incapacità di marcare qualsiasi avversario in difesa sembrava avergli definitivamente chiuso le porte della NBA. Segnare 51 punti nell’ultima partita — seppur in una gara che non metteva nulla in palio, contro i Dallas Mavericks già fuori dai playoff e impegnati solo a organizzare il giusto addio a Dirk Nowitzki — sembrava in qualche modo appropriato, permettendogli di firmare il quarto cinquantello della carriera con altrettante squadre, avendolo già fatto con Chicago (11 aprile 2004), New York (26 gennaio 2007) e Golden State (20 dicembre 2008). Nessun altro giocatore nella storia è mai riuscito a segnare 50 punti con quattro squadre diverse: un record che unisce non solo la sua incredibile capacità di segnare (come ci tiene a sottolineare: nel mese di aprile 2019 aveva viaggiato a 31 di media, il suo miglior mese in carriera), ma anche il suo lunghissimo girovagare in lungo e in largo nella NBA.
I primati di Crawford in quella partita non si fermano lì: a 39 anni e 20 giorni aveva superato il record di Michael Jordan come giocatore più vecchio a segnare 50 punti in una partita, visto che MJ ci era riuscito a 38 anni e 315 giorni nel 2001 con la maglia degli Washington Wizards. Insomma, per essere stata una possibile ultima partita in carriera, c’erano stati addii decisamente peggiori. Pur in una gara in cui a un certo punto Crawford ha cominciato a tirare tutto quello che gli passava per le mani, il suo tentativo di riportare i Suns in partita sembrava sincero — e tanto le percentuali (18/30 dal campo, 7/13 da tre e 8/9 ai liberi) quanto i compagni in squadra attorno (il quintetto base era formato da Elie Okobo, Ray Spalding, Josh Jackson, Mikal Bridges e Dragan Bender) giustificavano il suo tentativo di uscire di scena con un bang.
Solo che Jamal Crawford non si è accontentato di uscire così di scena. Da quel 9 aprile in poi ha continuato a inseguire una nuova opportunità in NBA, convinto di avere ancora qualcosa da dare pur uscendo da una stagione da meno di 8 punti di media (non segnava così poco dal suo anno da rookie in NBA) e avendo quasi 40 anni sulla carta d’identità. Nonostante la levata di scudi di tantissimi suoi colleghi, indignati che nessuna squadra volesse concedergli un contratto anche solo decadale, praticamente per un anno intero Crawford è rimasto a guardare la lega che ha chiamato casa per metà della sua vita, diventando quasi più un membro fisso dell’NBA Twitter (non c’è argomento sul quale non dica qualcosa dal suo account @JCrossover) che un giocatore ancora in attività.
https://twitter.com/RealBillRussell/status/1192936618832744448
Anche il Mahatma Bill Russell, che vive a Seattle come Crawford, si è speso per procurargli un lavoro “e levarmelo dalla cucina”.
Solo una squadra cestisticamente disperata come Brooklyn ha pensato di metterlo sotto contratto una volta che il mercato è stato riaperto, e solo perché era oggettivamente impossibile trovare un altro veterano decente disponibile. Con ben sette giocatori di rotazione impossibilitati a volare a Orlando — dagli annunciati Kevin Durant a Kyrie Irving fino a Spencer Dinwiddie, Wilson Chandler, DeAndre Jordan, Taurean Prince e Nic Claxton —, i Nets hanno dovuto raccattare corpi dove potevano, arrivando perfino a chiamare Michael Beasley (è durata poco: dopo la positività al COVID-19 è tornato subito a casa e di lui sono sparite le tracce esattamente come era riapparso sui radar della lega). Di fatto, in molti hanno cominciato a chiamarli Bubble Nets invece che Brooklyn Nets, anche perché è difficile immaginare quanti dei giocatori presenti a Disney World verranno riconfermati per la prossima stagione.
Crawford, però, dopo aver chiesto a gran voce di tornare in campo e aver atteso così a lungo, non poteva di certo fare lo schizzinoso. Appena arrivata la chiamata di una squadra con una minima possibilità di dargli minuti ha firmato come rimpiazzo di Dinwiddie, facendo armi e bagagli per volare a Orlando e rinchiudersi nella bolla con tutti gli altri e tornare a fare quello che più ama: giocare a basket senza pensieri. Anche per uno che negli ultimi due decenni ne ha viste veramente di ogni tipo e genere, girando otto squadre diverse, l’esperienza di Disney World era davvero uno scenario che non avrebbe mai potuto immaginare per il suo atteso ritorno in NBA.
https://twitter.com/Rachel__Nichols/status/1289610039670579200
In un’intervista con Rachel Nichols, ha detto che la chiamata dei Nets gli è sembrata un sogno a cui non riusciva davvero a credere, e di aver imparato a essere paziente.
Cinque minuti e 58 secondi di Jamal Crawford
La presenza di Crawford per i Nets aveva in qualche modo acceso un piccolo riflettore su una squadra volata a Orlando giusto per onor di firma. Al momento del suo accordo numerosi suoi colleghi giocatori, che lo hanno sempre adorato per la sua personalità e soprattutto per il suo amore per la pallacanestro, hanno esultato come se avessero anche loro guadagnato dei soldi dalla sua firma, riaccogliendo un rispettatissimo membro della famiglia NBA. Per rivederlo in campo, però, c’è voluto del tempo: Crawford non è sceso in campo nelle prime tre partite amichevoli e neanche per le prime due “seeding games” contro Orlando e Washington, le due dirette concorrenti dei Nets per i posizionamenti dal settimo al nono posto della Eastern Conference.
Ufficialmente Crawford era stato tenuto fuori per “ritrovare la giusta condizione atletica” dopo oltre un anno di inattività, anche se era forte il dubbio che fosse più legato al fatto che in quelle due gare i Nets avessero qualcosa da giocarsi e non potessero permettersi di correre rischi. Alla terza partita contro i Milwaukee Bucks, possibili avversari al primo turno di playoff, coach Jacque Vaughn ha deciso di tenere fuori i tre migliori giocatori a disposizione nella bolla (Caris LeVert, Joe Harris e Jarrett Allen) e di mettere in campo una squadra di mestieranti, undrafted e G-Leaguers in cui il giocatore di maggiore talento era forse Timothé Luwawu-Cabarrot, uno che in carriera non ha mai neanche segnato 8 punti di media in NBA. Ciò nonostante, il possibile ritorno di J-Crossover forniva almeno un motivo per sintonizzarsi nella partita del matinée della bolla.
Crawford ha fatto il suo ingresso in campo a 4:35 dalla fine con il punteggio incredibilmente ancora in bilico tra le due squadre, con i Nets avanti di un punto sul 22-21. Al suo primo possesso difensivo nella zona schierata dai Nets praticamente per 48 minuti si è subito inteso male con Donta Hall lasciando una tripla aperta a Marvin Williams, mentre in quello offensivo ha salvato un pallone troppo alto che stava per perdersi sul fondo con un salto e un passaggio al volo per un compagno. Al primo pick and roll in cui ha potuto gestire in transizione ha poi servito uno splendido assist per il taglio sotto canestro di Rodions Kurucs, venendo poi bucato difensivamente da Donte DiVincenzo per due punti facili dall’altra parte.
Di rientro dal timeout Crawford ha subito scaldato la mano prendendosi una tripla in uscita dai blocchi sul lato debole, una conclusione in cui lo avremo visto centinaia di volte in carriera, scheggiando solo il ferro. Dopo aver diligentemente passato un pallone per la tripla sbagliata da Chris Chiozza, si è capito male con il playmaker della squadra perdendosi Kyle Korver sul lato debole per altri tre punti concessi ai Bucks per un suo errore, rovinando poi addosso a Eric Bledsoe per cercare di contestare un altro tiro di Korver. Era evidente come l’obiettivo dei Bucks fosse quello di attaccare dal suo lato della zona 2-3 dei Nets per far pagare la sua presenza in campo.
Dall’altra parte però Crawford ha fornito un altro assist, ancora più bello di quello precedente, attaccando il closeout della difesa e mandando a schiacciare Donta Hall sotto canestro; subito dopo è andato a segno da tre punti battendo il recupero di Bledsoe che era uscito a contestargli il tiro per il sorpasso sul 35-34 e l’esultanza dei suoi compagni in panchina. Infine ha dato il suo terzo assist in tre minuti trovando Dzanan Musa in punta per una tripla completamente aperta per un errore della difesa dei Bucks.
Il meglio della partita di Jamal Crawford.
Con i Nets incredibilmente avanti sul 40-34 alla fine del primo quarto, Crawford ha ricominciato servendo un altro ottimo pallone a centro area per l’errore di Hall, e dopo un minuto è andato di nuovo a segno con un tiro dalla media distanza concesso dalla difesa conservativa di Milwaukee. Sentendosi in ritmo, ci ha riprovato subito dopo tirando in faccia a Khris Middleton un classico long-two con cui ha costruito la sua lunghissima carriera, uno di quelli in cui prova a mettersi in ritmo dopo dei palleggi incrociati sul posto, che però ha preso per due volte il ferro. Anche se non poteva saperlo, è stata la sua ultima conclusione dal campo.
Sulla rimessa successiva, provando a ricevere un passaggio consegnato uscendo da un blocco contro la pressione di Middleton, la gamba sinistra ha ceduto e Crawford ha cominciato a zoppicare verso il centro del campo, accorgendosi immediatamente che qualcosa di storto era successo nei suoi muscoli. Il 40enne è immediatamente tornato in panchina e bastava vedere la sua espressione sul volto per capire che la sua partita da 5 punti e 3 assist in poco meno di 6 minuti si sarebbe conclusa lì.
Cosa ci resta di Jamal Crawford
Il responso dopo la gara è stato di uno stiramento al bicipite femorale sinistro, un infortunio che unito ai tempi ristretti della bolla di Orlando (tra tre settimane i Nets potrebbero già essere a casa) e la scarsa necessità di averlo sul parquet (al suo posto Chris Chiozza e Jeremiah Martin hanno disputato un’ottima partita, portando incredibilmente i Nets alla vittoria complice la scelta dei Bucks di tenere fuori i titolari nel secondo tempo) potrebbero decretare la fine della carriera di Crawford. Così, su una panchina con le poltroncine distanziate in una bolla separata dal resto del mondo per una pandemia di cui ancora non si vede la fine, potremmo aver assistito alle ultime immagini di Jamal Crawford in NBA.
https://twitter.com/JCrossover/status/1290752528393674753
Ovviamente Crawford non contempla nemmeno che possa essere stata l’ultima, commentando solo dicendo “Avevo appena cominciato a divertirmi…”. Lui stesso però sa che questa potrebbe essere la sua ultima chance in NBA.
Scendendo in campo per quei sei minuti scarsi, Crawford è comunque diventato l’ottavo giocatore nella storia NBA a essere presente in venti stagioni diverse, raggiungendo Kobe Bryant e Kareem Abdul-Jabbar e mettendosi in scia di Kevin Garnett, Dirk Nowitzki, Robert Parish e Kevin Willis con 21 e Vince Carter con 22. Con la tripla segnata sul finire del primo quarto ha portato il suo totale in carriera a 2.221, ottavo ogni epoca, e con i cinque punti realizzati è salito a 19.419, settimo miglior realizzatore tra i giocatori in attività. Avesse disputato anche solo sei minuti in più, invece, avrebbe superato quota 39.000 minuti in carriera, terzo dietro solo a LeBron James e Carmelo Anthony tra quelli ancora in campo.
Coach Vaughn ha detto di adorare la sua presenza a Orlando e di non vedere l’ora di poterlo vedere di nuovo sul parquet. Ma anche se tutti speriamo che sia realmente così, non c’è alcuna certezza che la sua esperienza in NBA possa andare oltre quei sei minuti in cui è sembrato ancora poter essere un giocatore da rotazione. Pur con i suoi evidenti limiti e pur con i suoi chiari difetti, Jamal Crawford ci riuniva con una parte primordiale del nostro essere appassionati di pallacanestro, con la felicità che proviamo nel vedere qualcuno bravo a fare canestro. Perché è sempre stato evidente che ci fosse tantissima pallacanestro nelle mani di Crawford, che avesse un dono speciale per mettere il pallone dentro al ferro, che avesse un ritmo di gioco che apparteneva solo a lui, con quei palleggi incrociati che attraversavano ogni centimetro possibile del suo corpo (sotto le gambe, dietro la schiena, davanti ai piedi: non esiste un modo in cui non abbia eseguito un crossover) prima di lasciare il suo diretto avversario nella polvere.
Crawford è stato senza ombra di dubbio uno dei più grandi sesti uomini nella storia del gioco (con tre riconoscimenti individuali è alla pari di Lou Williams nella classifica all-time del premio) e uno dei giocatori più universalmente amati quantomeno dai suoi colleghi, che ne hanno sempre adorato le incredibili doti realizzative e di intrattenimento con il suo stile di gioco. Non è stato un giocatore efficiente (47.7% di percentuale effettiva in carriera, 53% di percentuale reale, il numero di palleggi superflui invece non si conta nemmeno) ma è stato un giocatore inconfondibile, anche perché sembra non essere mai realmente invecchiato negli ultimi 20 anni.
Non fosse per il numero di tatuaggi e la lunghezza dei capelli, potrebbero passare per fratelli gemelli — invece in mezzo ci sono quasi due decenni. Dorian Gray è molto invidioso.
E proprio per quel suo volto da bambino sempre uguale pensavamo — e forse pensava anche lui — che potesse continuare a dipingere crossover, tiri dalla parabola altissima e giochi da quattro punti per sempre, come continuerà a fare sui campetti di Seattle di cui è il re incontrastato. A meno di un recupero lampo, Crawford non uscirà più dalla panchina di una squadra NBA per dare una scossa offensiva ai suoi con la sua capacità di creare un tiro dal nulla e di tenere le difese sulle spine con la minaccia di metterti a sedere sul parquet. Ma in ogni caso ha guadagnato abbastanza rispetto in giro per la lega (a margine: è uno dei veterani più amati dai giornalisti, visto che si è sempre reso disponibile per una dichiarazione per qualsiasi pezzo) e ha abbastanza storie da raccontare per poter lavorare come commentatore quando lo vorrà. Magari per le partite dei Seattle Supersonics, se e quanto torneranno mai.
Chissà se con il senno di poi chiudere con quei 51 punti a Dallas non sarebbe stato meglio per la sua legacy, ma una cosa è certa: Jamal Crawford ha fortemente voluto un ultimo giro di giostra e ha promesso di goderselo fino all’ultimo, anche se dovesse concludersi prima ancora che si concluda il mese di agosto e senza poter rimettere piede in campo. In ogni caso, grazie per averci fatto divertire in questi ultimi 20 anni, J-Crossover.