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Dieci azioni per spiegare Jason Williams
02 giu 2020
Pochi hanno reso la creatività tanto elegante quanto White Chocolate.
(articolo)
16 min
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Risulta difficile spiegare in poche parole l’impatto avuto da Jason Williams al suo arrivo nella NBA nel 1998. Per dare un’idea, la sua maglia numero 55 dei Sacramento Kings è diventata in pochissimi mesi tra le cinque più vendute e al suo secondo anno addirittura la più venduta in assoluta. Ad aumentare ulteriormente la sua fama contribuì una donna dell’ufficio marketing dei Kings che coniò per lui il fortunato soprannome “White Chocolate”, perché racchiudeva perfettamente l’essenza di un giocatore da playground trapiantato tra i professionisti e che è riuscito nell’arco di poche partite a trasformare i Sacramento Kings in un appuntamento immancabile per tutti gli appassionati di pallacanestro.

Williams era un giocatore da campetto perché con lui i punti si pesavano piuttosto che contarli, concentrandosi più sulla forma che sul contenuto. Nella testa di J-Will perdere un pallone per fare un’azione incredibile pesava meno che perderlo per un passaggio semplice, e allora tanto valeva provare il maggior numero possibile di azioni incredibili. Jason Williams non poteva competere sui 48 minuti contro le grandi stelle della lega, ma si è creato un culto attorno a quelle 4-5 azioni impensabili che riusciva a fare a partita. Ho scelto dieci sue azioni che penso riescano a mostrare di che tipo di talento creativo sto parlando.

Il passaggio col gomito

Giusto iniziare con il suo passaggio più famoso, che non è diventato assist perché il compagno non si sa come non è poi riuscito a concludere a canestro. A dirla tutta questa azione non è neanche così incredibile rispetto ad altre cose che troverete sotto, ma che a nessuno fosse venuto in mente di fare una cosa del genere fa capire la forza dell’impatto che ha avuto nell’immaginario collettivo. Williams è ancora oggi il giocatore “del passaggio col gomito”, è la cosa di cui gli chiedono sempre nelle ospitate in tv o nelle interviste. Lui ripete sempre che era una cosa che voleva fare da tempo e stava aspettando il palcoscenico giusto, che è risultato essere il suo primo All-Star Weekend durante la partita dei rookies. Certo, sarebbe stato meglio se Raef LaFrentz fosse riuscito a fare canestro, ma è facile capire perché un giocatore poco elastico nei movimenti come lui, quando si è visto arrivare quel passaggio, non è neanche riuscito a immagazzinare questa opzione nel suo cervello - e l’istinto non è certo l’aspetto del gioco in cui LaFrentz brillava.

Williams provava quella mossa da quando andava a scuola, in attesa di poterla mostrare al mondo su un palcoscenico della NBA. Ha raccontato che fin dalle superiori i suoi allenatori gli dicevano di provare cose più semplici, ma lui non li stava mai ad ascoltare: nella sua testa non aveva senso sprecare tutte quelle ore di allenamento per poi non rifare le stesse identiche cose in campo. Quello che rende credibile la finta e quindi l’azione sta nel fatto che Williams non muove mai la testa nella direzione di LaFrentz e tutto il corpo è posizionato per andare a canestro o al massimo passarla alla sua destra. Non è chiaro se l’avesse visto partire LaFrentz prima e quindi si fidasse della sua posizione o se sbirciasse con la coda dell’occhio. A difendere Williams c’era un giovane Lamar Odom, che reagì alla finta pensando a un passaggio per un altrettanto giovane Dirk Nowitzki, una presenza necessaria per trarre in inganno la difesa e portare a termine l’azione. Un piano perfettamente eseguito, tranne che per la scelta del compagno a cui passare il pallone...


Il passaggio avvitato

Williams dava l’idea di essere un giocatore che si divertiva più a far segnare i compagni che a segnare lui stesso:«In ogni lavoro devi fare quello che ti piace, essere in grado di divertirti. Per dire: se non fossi stato un giocatore di basket, mi sarebbe piaciuto essere un fattorino, dammi il pacco e dimmi dove devo portarlo e a che ora. Certo, non so se sarei in grado di passare i pacchi dietro la schiena senza finire nei guai con tutte quelle telecamere sui portoni».

Williams ritiene ci siano due tipi di passatori: i buoni passatori e i passatori volenterosi. Il buon passatore è quello che fa il passaggio giusto con i tempi giusti; il passatore volenteroso è quello che è disposto a forzare il tipo di passaggio per raggiungere un compagno che magari è posizionato meglio o ha percentuali migliori. Ovviamente lui si ritiene un passatore volenteroso: «Magari io ho un tiro smarcato, ma J.J. Redick è libero in angolo e la sua percentuale è molto più alta della mia; allora voglio darla a lui, facendo questo passaggio extra per la squadra».

Per questo motivo uno dei suoi passaggi preferiti è per il giocatore già sotto canestro. Ce ne sono di tutti i tipi, da quelli in cui Williams attira su di sé l’attenzione palleggiando per poi sparare il pallone dritto sulle mani del compagno che si è liberato del marcatore sotto canestro e deve solo appoggiare o schiacciare. In questo caso c’è però Jason Williams che rifiuta una tripla aperta per lanciarsi verso il canestro e fare questo passaggio mentre si avvita su se stesso in aria al momento dell’impatto sul difensore. Questo è un assist sospeso tra il genio e il superfluo, una giocata che non va sezionata per capire in che modo sono suddivisi i due fattori che la compongono, stabilire se ha senso il movimento o se bastava dargli il pallone fin da principio. È bella così, pura essenza di White Chocolate.


Il passaggio dietro la schiena per Webber

Il suo migliore amico ai Kings è stato Chris Webber e si vedeva perfettamente dalla chimica che mostravano in campo. Ci sono decine di passaggi quasi telepatici tra i due, una coppia che sembrava fatta per giocare assieme perché Webber, oltre alle mani da pianista, all’epoca aveva ancora tutte e due le ginocchia sane, e di conseguenza un esplosività improvvisa e devastante per accompagnare la creatività di J-Will. Tra tutti i passaggi questo è quello preferito dai due perché lo stesso Williams ammette di averlo improvvisato, vedendo con la coda dell’occhio la presenza di Webber solo all’ultimo, senza fare nulla per fargli capire che gli avrebbe passato la palla. Quello di Webber quindi è puro istinto e fiducia nel suo compagno: lui fa il taglio sapendo che Williams può trovarlo da qualsiasi posizione.

La bellezza del passaggio sta nel fatto che sembra veramente uscito da un campetto di cemento, con tutta la squadra avversaria che lo vede muovere il corpo da una parte e poi rimane pietrificata quando col secondo palleggio lui va dietro la schiena schiacciando il pallone a terra. Il passaggio passa attraverso tre avversari prima di raggiungere Webber ed è ironico come sia di fatto il tipo di passaggio che logicamente può raggiungere meglio un compagno sotto canestro. Ma siamo contro una difesa NBA schierata e lui è con i piedi sulla linea da tre punti. I fondamentali del basket sono completamente rivisitati.


Il dietro la schiena contro John Stockton

Quando gli chiedono del paragone con Pete Maravich lui si schermisce un po’, soprattutto perché dice di non essere cresciuto vedendone le partite e potendosi quindi ispirare nel gioco. Williams è cresciuto idolatrando Jason Kidd, la sua maglia ai tempi dei Mavs è l’unica che abbia mai comprato e indossato. Il modo di stare in campo di Williams e Maravich però era diverso: i video di Maravich sembravano fatti per essere visti con un pezzo jazz in sottofondo, mentre Williams è puro rap. D’altra parte sono figli della loro diversa epoca. Ma rimane il fatto che il paragone è normale, perché è come se Williams fosse arrivato a conclusioni simili a quelle di Maravich, a distanza di anni. Come in questo dietro la schiena contro John Stockton.

Questa è l’azione che più ricorda un canestro di Pete Maravich, o meglio come ci immaginiamo un canestro di Maravich. Immaginando di essere Stockton che si vede arrivare Williams a massima velocità e deve decidere in una frazione di secondo dove mandarlo, si capisce perché era così difficile contenerlo in campo aperto, o anche solo intuirne le intenzioni. Stockton non si aspetta il cambio di mano dietro la schiena e quindi quando la palla viene portata sul sinistro immagina che stia per fare un crossover.

In quanto a controllo del palleggio siamo a livelli stratosferici: Williams sa di essere in controllo della situazione e non si nasconde certo, anzi sembra voler testare ogni partita fin quanto è in grado di tirare la corda. Qui ha davanti uno dei difensori più tosti degli anni ’90, uno che neanche ti rivolge la parola prima o durante la partita, non ti guarda mai negli occhi, pensa soltanto ad entrarti in testa sbarrandoti la strada per il canestro o utilizzando un enorme arsenale di trucchetti fatto di spintarelle e gomitate. Bene: Williams decide che questo modo di difenderlo lo infastidisce e decide quindi che se Stockton vuole arrivare a toccarlo deve prima prenderlo, lasciandolo sul posto per aprirsi la strada verso il canestro.


Il passaggio dietro la schiena per Stojakovic

Per far capire cosa fosse Williams in transizione ho scelto questa azione in cui la palla viene rubata da Doug Christie poco oltre la propria metà campo, con Williams che deve fare pochi passi per farsi trovare libero fuori dalla linea da tre punti avversaria. Nella quintessenza della pallacanestro di Williams, una volta ricevuto il pallone invece di raccogliere il palleggio e provare la tripla, lo fa passare dietro la schiena e lo lancia alla velocità massima con un colpo di polso per Peja Stojakovic che sta tagliando a canestro. Fondamentale che questa volta Stojakovic sia riuscito a concludere, anche perché il passaggio in sé non era perfetto - per esserlo sarebbe dovuto arrivare leggermente più basso, ma con maggiore precisione avrebbe perso un po’ di cruciale velocità per giungere a destinazione - e quindi, se non avesse fatto canestro, quest’azione sarebbe stata catalogata come l’ennesima palla persa sanguinosa, visto che Williams aveva a disposizione sia la tripla aperta che la strada per il canestro libera. Ma è riuscita e ha portato a un tiro facile a pochi centimetri dal canestro.

Per Williams la creatività è tutto. Può sembrare che l’azione sia pensata sul momento, ma in realtà ogni sua azione viene da ore e ore in palestra passate a pensarle e allenarsi a farle. Una volta al liceo ha speso più tempo in palestra che in classe, anche perché il padre ne aveva le chiavi e poteva farlo rimanere a provare riprovare tutto quello che gli veniva in testa. In realtà quindi Williams non fa altro che decidere il momento giusto per farla, come se fosse una mossa di un videogioco di cui conosce già la sequenza di tasti da dover premere. Anche per i suoi passaggi come questo ce ne saranno state decine di versioni simili negli allenamenti dei Kings: viene quasi da pensare che dal punto di vista della circolazione del pallone gli allenamenti di quei Kings potessero valere il biglietto di una partita. Forse non esattamente come gli allenamenti del Dream Team nel 1992, ma vedere come Williams si fidi di Stojakovic può solo farci immaginare le cose ancora più pazze che avrà provato in allenamento per fargli arrivare il pallone.


La finta e tiro su Iverson

Proprio quando il nucleo dei Kings sembrava affiatato e pronto per poter competere per qualcosa di più dei primi turni dei playoff, la dirigenza decise di scambiare Jason Williams per Mike Bibby dei Memphis Grizzlies. L’idea era di lasciarsi alle spalle il basket-spettacolo per inserire un giocatore meno fantasioso ma più pratico e più bravo a segnare. Lo scambio aveva il suo senso e ha finito per fare bene ad entrambe le squadre, perché i Kings hanno raggiunto subito le Finali di Conference, mentre i Grizzlies, appena trasferitisi a Memphis, avevano il disperato bisogno di un giocatore spettacolare per attirare tifosi al palazzetto - e all’epoca meglio di Williams in tal senso c’erano solo Allen Iverson e Vince Carter, ovviamente entrambi intoccabili. A Memphis c’è il vecchio saggio Hubie Brown in panchina a raddrizzarne il gioco, attenuandone la vena creativa pura per aumentare il numero di giocate più funzionali a un sistema. Questo cambiamento ha reso Williams un giocatore migliore, ma anche leggermente meno memorabile per i tifosi e per chi si sintonizzava sulle sue partite per vedere passaggi che non aveva mai visto.

Ha comunque lasciato qualche azione - come questa contro Philadelphia - nelle quali si capisce come l’astuzia di Williams si basasse comunque anche sulla conoscenza dell’avversario diretto. Sapendo che la difesa di Iverson era molto improntata sul cercare la palla rubata, finge di fare un passaggio schiacciato per Pau Gasol muovendo tutto il corpo compreso il viso verso il compagno, per poi raccogliere il pallone e tirare da tre punti. Ne esce fuori una reazione ridicola di Iverson che si muove per la rubata e contemporaneamente salta per il tiro, mentre Williams può tirare smarcato quando Iverson sta già atterrando. Erano altri tempi, e anche se Williams non è mai stato un grande tiratore, è curioso come abbia chiuso la carriera con una sola stagione sopra i 12.3 tiri a partita (proprio la prima a Memphis con 15.2). Giocando sulla nomea del giocatore più predisposto al passaggio che al tiro, avrebbe potuto sfruttare maggiori occasioni come questa - e magari nella pallacanestro di oggi gli avrebbero chiesto di creare maggiormente in proprio.


La finta di passaggio dietro la schiena

La conclusione al ferro non è mai stata il suo forte, anzi spesso preferiva passare il pallone all’ultimo secondo ad un compagno, prendendosi le reprimenda di compagni più esperti come Vlade Divac. Ma l’abitudine di Jason Williams a passare il pallone dietro la schiena lo ha portato a un certo punto a poter sfruttare la cosa per concludere a canestro. Non ricordo giocatori farlo prima di lui in modo così sfrontato, se non Rajon Rondo qualche anno con la maglia dei Boston Celtics - seppur con un movimento più esagerato e meno veloce.

Tra le tante versioni di questa finta la mia preferita è questa contro Portland per la reazione del difensore Brian Grant, che sembra tarantolato per i movimenti convulsi che fa quando capisce che Williams non passerà il pallone pur avendolo dietro la schiena e che quindi non si deve muovere per intercettare il passaggio ma per chiudergli lo spazio verso il ferro. Molto bello il movimento con cui Williams raccoglie il pallone in aria e poi lo fa scorrere sulla mano destra utilizzando tutte le dita fino alla fine, così da dargli l’effetto giusto al momento del contatto con la tabella.


Il crossover su Gary Payton

Quello di Jason Williams che lascia di sasso grandi difensori è un altro lungo filone della sua carriera. Con Williams anche i migliori erano soliti fare un leggero passo indietro, stare sulla difensiva per invitarlo a tirare invece che partire verso il canestro. Magari era precisa indicazione degli allenatori, o più semplicemente - come ha detto Tracy McGrady - era per evitare di finire in una compilation delle sue migliori giocate. La sua azione personale più iconica è arrivata nella prima partita contro i Seattle Supersonics di Gary Payton, uno dei migliori difensori sulle guardie della storia. Williams ruba un orrendo passaggio di Detlef Schrempf poco fuori la linea da tre punti e da lì si invola verso il canestro passando vicino alla linea del campo. Si ritrova quindi Payton ad aspettarlo appena dentro la propria linea dei tre punti e lo supera con un crossover che lo lascia pietrificato, per poi concludere con un tiro alzando la parabola per evitare l’intervento di Schrempf. Il salto a gambe aperte per il tiro lo fa sembrare di una leggerezza irreale.

Non va dimenticato di come nell’azione precedente Williams piazzi una tripla dal palleggio da 8 metri in faccia a Payton, portandolo quindi in quella successiva ad uscire fin troppo aggressivo sul pallone. Nel momento esatto in cui Williams vede il corpo di Payton proiettarsi in avanti, sposta il pallone nell'altra mano per superarlo. Ancora oggi non è chiaro se Payton provi a fargli lo sgambetto o se semplicemente non ritrae la gamba: Williams dice che per lui non ha provato lo sgambetto, che non era una cosa da Payton (i due avrebbero giocato assieme e vinto il titolo con Miami nel 2006). Fatto sta che la telecamera dopo il canestro inquadra il viso di Payton che sorride minaccioso ed è inevitabile pensare al contrario. Noi comunque ci fidiamo della sua versione. Lo stesso Williams non ha risposto alla risata di Payton perché «Ho lasciato che Webber gli rispondesse, io avevo paura».




L’Alley-oop per Wade

Il rapporto tra Shaquille O’Neal e Jason Williams meriterebbe un pezzo a parte, ma basti dire che i due giocavano l’estate al campetto prima ancora che Williams entrasse in NBA perché vivevano entrambi a Orlando ed erano vicini di casa. O’Neal amava dire che con Williams gli bastava alzare la mano e lui avrebbe trovato il modo di fargli arrivare lì il pallone, anche perché - come diceva Williams - se non lo avesse fatto ci sarebbero state delle “ripercussione” non proprio gradevoli. Da questa amicizia nasce lo scambio che lo porta a Miami, del quale si narra che lo stesso Shaq sia andato nell’ufficio di Pat Riley per richiederlo.

Ma un altro beneficiario del suo arrivo a South Beach è il giovane Dwyane Wade, che ha dei razzi sotto i piedi i quali gli permettono di arrivare in un attimo sopra il ferro. Visto che la visione di gioco e la sensibilità nel passaggio di Williams è fuori categoria, ci sono decine di azioni in cui lo si vede alzare il pallone per un Wade che taglia e si appende poi al ferro. Questa contro New York penso sia la più spettacolare perché - ok che a marcarlo c’è Nate Robinson - ma Williams si trova poco oltre la metà campo e alza il pallone da fermo non sopra il ferro ma laterale, così da permettere a Wade di arrivare in corsa e raccoglierlo in aria senza alcuna opposizione. Il contributo di Williams al titolo 2006 di Miami va ovviamente oltre qualche giocata spettacolare insieme a Shaq e Wade, ma di certo entrambi hanno apprezzato quei canestri facili facili che Williams gli regalava ad ogni partita.


Il suo assist più iconico

L’ammirazione di Shaq per Williams nasce forse anche il fatto che Williams contro i Lakers di Shaq si è sempre esaltato. La rivalità tra quei Lakers e quei Kings nasce proprio in questo momento, con i Lakers che non sanno bene come difendere Williams e ovviamente i Kings che non riescono a tenere Shaq. Di tutte le azioni di Williams contro i Lakers, questa forse è la più famosa.

Questo è uno di quei passaggi che francamente mostrano quanto fosse a volte quasi esagerato il livello di abboccamento alle finte di Williams. Succedeva soprattutto nelle sue prime stagioni, nelle quali gli avversari non avevano ancora ricevuto report dettagliati su come difenderlo (lui dice che avrebbero dovuto attaccarlo forte appena superata la metà campo per isolarlo e forzarlo alla sua destra). In questo caso ad esempio Kobe Bryant quasi lo aiuta arretrando verso il canestro invece di spingerlo lontano dal pitturato. Nessuno poi seguire il taglio alle sue spalle di Nick Anderson, che va detto non sembra neanche Williams si aspettasse così profondo. Williams pensa che il compagno si fermi alla sua destra e all’ultimo si accorge del taglio e decide di premiarlo lo stesso. Ma quello che rende realmente speciale il passaggio sta nel fatto che con la testa Williams guarda alle sue spalle mentre è in volo: sembra evidente avesse in testa di passarla al compagno arretrato, che però rallenta la corsa e quindi gli fa capire che non vuole il pallone. La capacità di aggiustare il gesto in volo e la molteplicità di opzioni in grado di elaborare in una frazione di secondo è quello che realmente permette a Williams da una situazione teoricamente da palla persa, di invece trovare Anderson dietro i due difensori. Essere in grado di rendere la creatività pura tanto elegante rimane una cosa che abbiamo visto fare a pochissimi.




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