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Jimmy Butler ha riacceso gli Warriors
28 feb 2025
→ Dal suo arrivo il record è di sette vittorie e una sconfitta.
(copertina)
IMAGO / Xinhua
(copertina) IMAGO / Xinhua
Jimmy Butler III non è un numero dieci, almeno non nel senso canonico e calcistico del termine. Certo, la cucitura dorata sulla sua canotta nuova di zecca dei Golden State Warriors sembrerebbe suggerire altrimenti, è quello il numero che ha scelto per questa nuova esperienza. Forse appositamente per tracciare una ulteriore linea di demarcazione da Miami, dove ha vestito per gli Heat la #22 per cinque stagioni e mezzo, o forse per rendere omaggio alle leggende, e soprattutto amici, che ha incluso nella grafica twittata dopo la notizia dell’approdo nella baia di San Francisco: Messi, Neymar, Ronaldinho (che ha apprezzato), Pogba, addirittura anche Sadio Mané e James Rodriguez. “Joining the tens”, come ha scritto lui.
Un tentativo molto catchy di presentarsi col botto a un mercato grande e variegato come quello californiano, nonché certamente un genuino tributo ai nomi inclusi, fra i quali figurano anche Tim Hardaway - Hall of Famer che a sua volta ha giocato per Warriors e Heat - e il cugino, Marqueese Grayson, con la maglia dei Central Oklahoma Bronchos. Ma, fidatevi, quando gioca a pallacanestro Jimmy Butler è tutto fuorché l’equivalente di un numero dieci calcistico come quelli menzionati, e non c’è alcun genere di senso dispregiativo in questo. Semplicemente, è tutto l’opposto. E a dimostrarlo non solo c’è un’intera carriera, ma una nuova versione dei Golden State Warriors che sembra essergli stata cucita addosso molto più su misura rispetto a quelle due cifre.
Una versione più intensa, più concentrata in difesa e meno propensa a prendersi rischi inutili in attacco, che ha vinto sette delle otto gare disputate dall’arrivo del veterano, e quasi tutte contro diretti avversari nella della Western Conference quali Rockets, Mavericks e Kings. A queste ultime due in particolare, rivali nella zona Play-In e con un record quasi equivalente di quello di Golden State, hanno rifilato due batoste da 20+ punti di scarto, una dopo l’altra. Se si aggiungono i 36 rifilati a Charlotte, si ottiene un evento statistico che non si intravedeva lontanamente dal 2022, l’anno dell’ultimo titolo vinto dagli Warriors.
L’impatto sul rendimento di squadra non è misurabile soltanto in vittorie. La difesa, già tra le prime dieci della Lega prima dello scambio, ha visibilmente compiuto un ulteriore step in termini di versatilità e aggressività, aggiungendo un cinque volte All-Defensive Team che ha perso un po’ di costanza, ma non lo smalto. La squadra è ancora priva della taglia necessaria a disturbare lunghi dominanti, ma con Butler aumenta ulteriormente la stazza diffusa sulle ali, oltre ad aggiungere un difensore in aiuto e sulle linee di passaggio con pochi eguali nella Lega. Il risultato è, in questa span, il quarto miglior defensive rating, statistica che misura i punti concessi su 100 possessi agli avversari. Ma la vera rivoluzione - come si addice a ogni numero dieci, dopotutto, canonico o meno - è offensiva:
I dati di squadra da Cleaning the Glass, prima e dopo lo scambio Butler
L’attacco butta via meno palloni, produce più punti contro la difesa schierata (“half-court”) e genera tiri migliori a più alta efficienza - primi nella Lega per triple tentate dall’angolo e quarti per conversione nell’area dello short mid-range (compresa fra uno e quattro metri dal ferro) dallo scambio. Ma soprattutto la squadra va finalmente con continuità in lunetta, la più diretta conseguenza dell’arrivo di Jimmy Butler, un maestro nell’aggiungere punti dalla linea della carità. Non solo subisce fallo nel 27.7% dei suoi tentativi e nel 2.0% delle occasioni che non includono un tiro, rispettivamente massimo e 92° percentile di Cleaning the Glass, ma ha già guadagnato 60 liberi dal debutto con la nuova squadra - Curry, secondo, si ferma a 48. Per una squadra con un alto volume di tiri da fuori, di conseguenza con meno elementi che mettano pressione sul pitturato, si tratta di vera e propria manna dal cielo.
IBRIDAZIONE
Un exploit immediato, nonostante si parli di uno dei migliori giocatori della Lega negli ultimi anni, non era necessariamente scontato. O meglio, Butler aveva tutti gli strumenti necessari per integrarsi, ma per far funzionare le cose si prospettava necessario qualche adattamento da parte del coaching staff.
Il sistema offensivo di Golden State, ideato e perfezionato negli anni da Steve Kerr, prevede un movimento costante (“motion”) di corpi, fatto di blocchi lontano dalla palla per i tiratori e di conseguenti letture in reazione al comportamento della difesa. Butler non solo è un bloccante e tagliante di altissimo livello, ma ha anche passato le ultime stagioni in un altro sistema “read&react”, quello di coach Erik Spoelstra, privo di tiratori come Stephen Curry (o il “fu” Klay Thompson) ma fondato su collaborazioni a più giocatori e soprattutto su una costante attività sul lato debole, quello lontano dalla palla. Sono bastati i primi tre possessi al debutto contro i Chicago Bulls a mettere in mostra tutte le abilità del nuovo arrivato nell’interpretare in una frazione di secondo il comportamento della difesa per metterla in croce.
Significativo soprattutto il secondo possesso, dove legge l’anticipo di Giddey sul blocco “stagger” impostato dai due compagni per tagliare verso il ferro.
Butler quindi si è inserito in questo nuovo ambiente senza troppi patemi, ma gli Warriors a loro volta hanno facilitato fin da subito il suo ingresso grazie ad alcune variazioni sul tema, ideando metodi alternativi per concedergli ricezioni nel pitturato ed esplorare il mismatch, anche ricorrendo a soluzioni più statiche. E qui entra in gioco la componente atipica rispetto a qualunque diez classico.
La quantità di tiri liberi guadagnati da Butler è soltanto uno degli indicatori di un approccio alla partita da “brutto e cattivo”, fatto di botte sotto i tabelloni dove si diverte a cacciare gli avversari più piccoli sui cambi per bullizzarli e a rovistare nella spazzatura, gettandosi su qualunque palla vagante per ripulire gli errori dei compagni (Butler cattura il 9.1% dei rimbalzi offensivi disponibili, 96° percentile). Un archetipo, sotto questo aspetto, nuovo per Golden State, che lo ha iniziato a sfruttare fin da subito partendo da quello che sa fare meglio: la bully ball.
La costruzione delle ricezioni di Butler è finalizzata a far arrivare la palla nel dunker spot e la ricerca sistematica dell'accoppiamento favorevole è diventata una vera e propria ossessione per gli Warriors, al punto da ideare molteplici strategie per aumentare i tocchi del nuovo arrivato nel pitturato.
Non basta leggere i cambi difensivi, bisogna innescarli, e spesso tutto parte dall’utilizzo di Butler come bloccante. Lontano dalla palla, soprattutto quando porta un blocco per favorire l’uscita di Curry, una vera e propria calamita per le difese avversarie, capita che queste possano incappare in errori di comunicazione o servirsi di cambi preventivi, finendo per concedere il cambio che Butler vuole. Ma anche sulla palla, dove sfrutta le uscite alte o i blitz sul portatore - spesso, ancora una volta, Steph - per effettuare dei rapidi “slip”, degli scivolamenti verso il canestro prima o subito dopo il blocco, per cogliere di sorpresa la difesa avversaria e ottenere tocchi gratuiti nel pitturato. Se queste situazioni in cui funge da rollante non portano a un canestro diretto, Golden State si trova comunque in soprannumero, e a quel punto le letture di alto livello di Butler dallo short-roll si fanno ancora più letali.
Se questo tipo di figura, cioè un giocatore che ama andare a caccia dei mismatch per far valere la sua capacità offensiva, rappresenta una novità per Golden State, l'ibridazione tra Butler e il sistema è stata immediata. Butler è un giocatore con un ritmo diverso da quello dell'attacco di Kerr, ma è anche altrettanto efficace. Quando può giocare in isolamento è sempre in pieno controllo e non è un caso che il numero di palle perse si sia ridotto drasticamente dal suo arrivo. Ha un ritmo tutto suo quando viene messo a lavoro allontanando tutti i compagni e si prende il tempo necessario per leggere eventuali aiuti, capendo se attaccare con violenza il ferro o se aspettare qualche movimento dal lato debole per far uscire la palla.
Non avrà un primo passo bruciante, non scarterà dal palleggio, “in dribbling”, l’intera difesa avversaria come fosse Neymar o Ronaldinho, ma è esplosivo ed estremamente forte, un aspetto che fa molta paura alle difese, spesso portate a collassare al ferro con urgenza vedendo la mala parata. Valorizzando l’attrazione gravitazionale che esercita Curry lontano dalla palla e l’attenzione ricevuta da Butler quando è in possesso, si aprono quasi sempre buonissimi tiri per gli altri giocatori di Golden State, soprattutto nell'angolo del lato debole.
Questo è uno dei motivi principali per cui gli Warriors dalla trade costruiscono un volume di triple dall’angolo senza eguali nella Lega, spesso concessi dalle difese ancora prima che Butler possa ricevere il pallone.
Il terrore di lasciargli un uno contro uno favorevole porta infatti a strategie di prevenzione da parte degli avversari, che decidono di stringere gli aiuti ulteriormente ancora prima della ricezione, oppure di mettersi a zona appositamente in modo da disturbare le linee di passaggio e essere aggressivi sul pallone. Soprattutto in assenza della taglia necessaria a disturbare l’ex Miami Heat, il senso di urgenza da parte della difesa porta a un eccesso di corpi concentrati sul lato forte, e a Golden State bastano semplici passaggi “skip” su quello debole per sfruttare istantaneamente il vantaggio.
Che sia con blocchi di contenimento o extra-pass, se la palla arriva nell’angolo opposto a quello di Butler nasce sempre qualcosa.
Queste non sono strategie cervellotiche ideate dal Kerr e il suo staff o esecuzioni raffinate da parte di una superstar, anzi, sono concetti piuttosto elementari ma efficaci, che usano come caposaldo la forza bruta del giocatore coadiuvata alle sue letture cestistiche fuori dal comune.
Quello che contraddistingue Jimmy Butler da sempre è proprio questo controllo imperturbabile, che procede secondo la logica, consentendogli di lavorare nelle pieghe della partita, quasi aspettandola. Una razionalità così equilibrata che cozza completamente con la violenza disumana con la quale attacca il pitturato e prova a tirare in testa a qualunque avversario, spazzato via dalla sua fisicità debordante.
I suoi drive, le sue incursioni prepotenti in direzione del ferro, sono forse la vera qualità della quale Golden State beneficia in maniera inedita. Non solo per la mole di tiri liberi, che offrono punti “gratuiti” e permettono di tirare il fiato tra un possesso e l’altro, ma anche per la presenza di un creatore dal palleggio di alto livello oltre a Curry, che mancava come il pane.
In momenti di “magra”, i drive pesanti di Butler sono un lusso per l’attacco dei Dubs.
Questa dicotomia convive in Butler, e da essa gli Warriors possono trarre benefici senza rinunciare ai loro concetti chiave: sono tutte cose in più, che si incastrano alla perfezione con un sistema già collaudato senza intaccarne i principi, ma semplicemente apportando delle migliorie.
Questa è l’altra grande dote che Butler ha portato con sè, un’intelligenza fuori dal comune nell’interpretazione del contesto nel quale si trova inserito, che gli consente di non rinunciare al proprio stile (anzi) ma di farlo senza danneggiare l’ecosistema circostante. La capacità di adattamento sulle due metà campo gli ha permesso di sviluppare istantaneamente una chimica non solo con tutta la squadra, ma soprattutto con le due personalità di punta, Stephen Curry e Draymond Green.
Il costante movimento senza palla del primo è un contesto perfetto per gli altri due, che a loro volta sono fenomenali a leggere e interpretare i vantaggi creati dalle attenzioni che le difese devono rivolgere a Curry. Quando la ricezione del numero 30 è negata dalle difese, sono bravissimi a trovarsi sfruttando gli appositi set e il collasso della difesa, tanto che i passaggi di media da Butler a Green sono 9.7, più di quelli diretti a Curry (8.6).
Con Butler, anche la famosa “split action” degli Warriors (ereditata dell’attacco a triangolo di Tex Winter, uno schema che prevede l’arrivo della palla in post basso e un blocco fra i giocatori in ala) e divenuta col tempo sempre più prevedibile, è stata rivitalizzata: la preoccupazione per Curry è rimasta, semplicemente adesso la presenza di un giocatore capace di attaccare con questa naturalezza i mismatch non permette più i cambi sistematici. Butler è un bloccante roccioso e un tagliante dotato di tempi calibrati al millimetro, ma niente ha più valore della sua abilità nel punire ogni singola volta l’adeguamento della difesa.
La terza clip dimostra quanto sia complicato marcare Curry e Butler allo stesso tempo su questa collaborazione.
Tutte queste letture, tutta questa pressione costante che spinge la difesa a pensare, ha portato ovviamente anche a un miglioramento qualitativo nelle prestazioni di Stephen Curry. Finora se ne è parlato come se fosse una semplice esca per la produzione dei compagni, ma il motivo per cui gode di attenzioni particolari è proprio la sua capacità di accendersi in un istante e di sparare più di dieci triple - dodici, per l’esattezza, quelle segnate stanotte contro i Magic, ai quali ha rifilato 56 punti.
In quella che stava passando alla storia come una delle sue peggiori stagioni in carriera, con 22.7 punti di media e il 59.1% di true shooting (dato personale peggiore dal 2013), dalla trade è tornato a girare a 30.6 punti a partita con il 69.6% di true shooting - dato personale che sarebbe valido per il record in carriera. Il tutto, giocando gli stessi identici minuti di prima.
L'aggiunta di Butler, oltre a sgravarlo di compiti palla in mano e a togliergli un po' delle attenzioni degli avversari, ha permesso a Golden State di avere un attaccante di livello quando Curry è in panchina, distribuendo così in maniera più equa il carico offensivo e aiutando la produzione della second unit.
Nella rotazione di Kerr, Butler chiude il primo quarto e inizia il secondo senza Curry, mentre i due trascorrono insieme i primi minuti di ogni tempo e quelli finali (FONTE: NBA Rotations)
AGONISMO
L’atipicità di Butler consiste anche in questa sua doppia personalità. Da una parte c'è il modo in cui controlla il proprio corpo e l’andamento della partita in maniera ordinata, senza andare mai fuori controllo, dall'altra c'è lo stile aggressivo e al limite della violenza fisica - nei limiti dello sportivo - con cui lo fa. Uno stile che si porta anche fuori dal campo, dove da anni si diverte a trollare NBA e addetti ai lavori presentandosi con le pettinature più appariscenti possibile nel media day (emo Jimmy dopo la mancata trade per Lillard tocca vette inarrivabili), o dove per mesi ha provocato la dirigenza di Miami con gadget a tema arancione che rimandassero ai Phoenix Suns, ma allo stesso tempo viene preso come modello da compagni e giocatori.
Steve Kerr, per esempio, non ha esitato in conferenza stampa a focalizzarsi sull’importanza di Butler per lo sviluppo di Jonathan Kuminga quando sarà il momento del rientro. Lo stesso Butler ha dichiarato di voler «rendere le cose facili» per il ventiduenne, sul quale Golden State ha investito una settima scelta assoluta al Draft 2021 e sul quale ci sono decisioni contrattuali impellenti da prendere - il payroll è pieno e il giocatore sarà restricted free agent in estate, quindi un’estensione a cifre elevate costituisce un argomento molto delicato per il presente e il futuro della squadra. O ancora, sentendo parlare Stephen Curry o Draymond Green, ma anche qualunque ex compagno, il ritratto che traspare del nuovo arrivato è quello di un vincente, focalizzato sullo svolgere il proprio compito nella maniera giusta e favorevole alla squadra.
E questo si intravede anche nella foga mostrata dalla squadra di recente. Soprattutto Green, consapevole di avere un altro difensore lontano dalla palla di alto livello di fianco, è più libero di muoversi a piacimento nella propria metà campo, adeguandosi ai costanti cambi difensivi - dettati dalla taglia “media” generale della squadra - senza rinunciare alle proprie abilità mostruose da protettore del ferro in aiuto.
L’Orso Ballerino è visibilmente più coinvolto, mostra i muscoli spesso e urla in faccia a tutti come nei giorni migliori, un aspetto andato scemando con il diminuire delle aspettative stagionali. E lo stesso vale per Curry, perché di questo si parla, di agonisti ormai con pochi anni di carriera rimasti, che hanno un solo interesse, dopo aver vinto tutto il possibile e immaginabile: chiudere in bellezza.
Per quanto Butler non abbia ancora un anello, è un giocatore che ha trascinato gli Heat a due apparizioni alle NBA Finals da protagonista assoluto, e il suo agonismo è senza eguali, anche a confronto con due mostri sacri come Green e Curry. E soprattutto Butler è devoto alla causa. Lo dicono le fonti dei milioni di media fluttuanti a San Francisco, che parlano di una presenza costante del giocatore nelle facility e nei luoghi condivisi con i compagni, restando fino a tardi per allenamenti ed esercizi.
Lo dice il campo, dove il giocatore si sta battendo con la bava alla bocca, nonostante non sia più il “cagnaccio” dei giorni migliori. Cucitagli addosso è soprattutto la zona messa in mostra di recente da Golden State, dall’assetto prevalentemente 1-3-1, ideale per la sua abilità e per quella di Green di ruotare sempre con i tempi giusti e di restringere l’area sporcando mille palloni e rubandone altrettanti.
Vedere un quasi 36enne accettare tutti i cambi nella propria metà campo, per poi lottare su ogni palla vagante nell’altra infonde una carica inimmaginabile su tutto il resto della squadra.
Non c’è un singolo pallone di questi ripescati da Butler che non sia pesante, quasi sempre sono possessi a fine quarto o in momenti clutch della gara
AMBIZIONI
I Golden State Warriors, adesso, non sono perfetti. Per esempio, affidarsi a un sistema difensivo fortemente dipendente dai cambi rischia di esporre la difesa a troppi cambi sfavorevoli contro squadre dotate di taglia, che a Golden State invece manca ancora un po’. Non c’è un vero e proprio difensore sul punto d'attacco a cui affidarsi per provare a soffocare i creatori delle altre squadre, che comunque saranno giocatori tipo Luka Dončić o Shai Gilgeous-Alexander, su tutti, o come è stato Kyrie Irving nel primo incontro con i Mavericks, chiuso a 42 punti con 25 tiri dall’ex Brooklyn Nets.
Inoltre, offensivamente la ricerca eccessiva dei mismatch e delle ricezioni “morte” di Butler porta spesso ad azioni fin troppo prevedibili, che si concludono in palle perse banali e forzate - spesso anche frutto di spaziature non ideali quando, con il nuovo arrivato, ci sono anche Payton o Looney in campo, oppure Green senza Curry. L’attacco talvolta si fa inevitabilmente stagnante, aprendo a parziali avversari sin qui quasi sempre recuperati, ma che sarebbero problematici in ottica Playoffs - si è toccato il -25 contro Chicago, il -17 contro Orlando e il -15 nella sconfitta contro Dallas, per esempio.
Detto ciò, è evidente come Golden State adesso rappresenti una mina vagante non da poco in vista della post-season. Addirittura, il sesto posto, che vorrebbe dire Playoffs diretti, è a solo mezza vittoria di distanza, il tutto con uno dei calendari più facili rimasti, secondo le proiezioni. Arrivare al primo turno senza passare dal Play-In, guadagnando maggiore riposo fisico e psicologico, adesso non solo è un obiettivo primario per gli Warriors, ma si fa anche discretamente realistico.
Da lì, si dovrà vedere. Dopo la deadline, il voto all’operazione è stato negativo perché l’innesto di Butler, a certe cifre e in questo roster, significa necessariamente “championship or bust” nelle prossime stagioni, offrendo a Stephen Curry sì un’ultima chance di competere ad alti livelli, ma rischiando di lasciare una tabula rasa in prospettiva. Una condizione non esente da pressioni, soprattutto in una Western Conference così competitiva, alla quale però i nuovi Warriors sembrano essersi adattati alla perfezione.
Così come Butler, catalizzatore di una nuova esplosione da parte di un nucleo la cui fiamma sembrava destinata a spegnersi lentamente. Perché è questo che riesce a Jimmy, a modo suo: fare in modo che qualcosa di eccezionale succeda sempre - questo, sì, come un vero numero dieci.
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