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Contro Nikola Jokic si può solo pregare
12 mag 2023
Il serbo ha fatto a pezzi i Phoenix Suns e sembra inarrestabile.
(articolo)
9 min
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IMAGO / USA TODAY Network
(copertina) IMAGO / USA TODAY Network
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Prima dell'inizio dei playoff era lecito avere, se non proprio dei dubbi, quantomeno dei timori su questi Denver Nuggets. Il loro rendimento nell'ultimo mese e mezzo di regular season era stato ben peggiore di quanto visto nei mesi precedenti, che era bastato e avanzato per prendersi il primo posto a Ovest con ampio margine sulla concorrenza. Un rendimento preoccupante, a malapena da play-in, con appena 7 vittorie su 17 partite, con differenziali di assoluta mediocrità (-0.8 su 100 possessi contro il +4.6 temuto fino a quel momento forti del secondo miglior attacco della lega e il primo per percentuali dal campo). Come sempre quando le cose vanno male, coach Michael Malone aveva alzato la voce nei confronti dei suoi giocatori dopo una brutta sconfitta a Houston dicendo «Giocando così veniamo eliminati al primo turno dei playoff», cercando di riprendere le redini di un gruppo che spesso tende a specchiarsi nelle proprie qualità, seguendo un po' il mood del suo leader Nikola Jokic.

Proprio Jokic, dopo essere sembrato pronto a prendersi il terzo premio di MVP consecutivo dopo mesi di prestazioni sensazionali e un record di squadra inattaccabile, nell’ultimo terzo di stagione è sembrato abbassare volontariamente i giri del suo motore (relativamente per i suoi standard, chiariamoci: nelle ultime 12 partite disputate ha comunque viaggiato a 25 punti, 12 rimbalzi e 9 assist di media col 62% dal campo), come a volersi levare dalla corsa al premio di MVP lasciandolo nelle mani di Joel Embiid anche per scrollarsi di dosso un po’ di pressione. Un piccolo problema a un polpaccio arrivato a cavallo di marzo e aprile, il periodo in cui i votanti sono chiamati a consegnare i loro ballot per il premio, e la contemporanea esplosione da 52 punti di Embiid contro i Boston Celtics in diretta nazionale hanno fatto il resto, permettendo a Jokic e ai Nuggets di togliersi da una discussione diventata a tratti tossica.

Per Mark Jackson non è nemmeno stato meritevole di un posto in top-5 del premio di MVP, anche se lo stesso commentatore di ESPN ha fatto il giro delle sette chiese cospargendosi il capo di cenere per l’errore, che lui ha spiegato semplicemente come una “svista”.

La testa di serie meno rispettata di sempre?

È per questi motivi che, alla vigilia dei playoff, in tanti erano pronti a scommettere su un crollo dei Nuggets. Con una difesa solamente nella media della NBA, una delle peggiori protezioni del ferro di tutta la lega (solo New Orleans ha concesso percentuali peggiori) e una parte bassa del tabellone a Ovest dove si aggiravano squadre quotidianamente sulla bocca di tutti come Warriors, Lakers o Clippers, in tanti si immaginavano un upset ai danni di Denver, forse la squadra con la testa di serie numero uno meno rispettata da diversi anni a questa parte. Come se la regular season, in fin dei conti, non contasse proprio niente.

E in alcuni casi in questi playoff è stato così, come testimonia la “fallimentare” eliminazione dei Milwaukee Bucks al primo turno a Est e gli upset subiti (con vari livelli di gravità) da Memphis, Sacramento e Cleveland, facendo saltare quattro fattori campo su otto serie disputate. I Nuggets di Jokic, però, hanno usato la mancanza di rispetto nei loro confronti come benzina da mettere nel motore del loro sistema offensivo, che quando ruota a pieni giri attorno a Jokic è semplicemente inarrestabile – come hanno ampiamente dimostrato prima contro Minnesota, regolata con un gentlemen sweep meno tirato del 4-1 finale, e soprattutto nella serie contro i Phoenix Suns, chiusa in sei partite che sarebbero state decisamente di meno se Devin Booker non avesse tirato fuori delle prestazioni individuali fuori da ogni logica (34/43 al tiro in gara-3 e 4 combinate per 83 punti in 82 minuti, con 21 assist per non farsi mancare nulla).

La miglior squadra di questi playoff

Messa in termini molto semplici, i Nuggets fino a questo momento sono stati la miglior squadra di questi playoff. Jokic e compagni viaggiano a un rating offensivo di 121.1 punti su 100 possessi (dati Cleaning The Glass), quasi tre punti superiore a quello di 118.5 dei Boston Celtics, con un eccellente 56% effettivo al tiro e un numero ridicolmente basso di palle perse, oltre ad andare forte a rimbalzo offensivo e procurarsi tanti tiri liberi, rendendoli quasi matematicamente imbattibili nella battaglia dei possessi.

Ma se i numeri dell’attacco di Denver si mantengono stabili sia in casa che in trasferta, la vera differenza fino a questo momento la sta facendo il loro rendimento difensivo specialmente tra le mura amiche, dove chiunque voglia uscire dall’Ovest dovrà vincere almeno una volta. Denver in casa non ha ancora perso (sei partite e sei vittorie) tenendo gli avversari a 105.5 punti su 100 possessi, secondo miglior dato di questi playoff dietro solamente all’irreale 97.0 dei Lakers alla Crypto.com Arena, dove devono aver compiuto una stregoneria sul proprio canestro visto il 46.2% di percentuale effettiva con cui stanno tirando gli avversari appena sbarcano a L.A..

Questi playoff stanno andando talmente bene per Denver che sta nemmeno pagando a caro prezzo lo storico tallone d’Achille della squadra, ovverosia i minuti in cui Jokic va in panchina. Anzi: quando Jokic è in campo il differenziale per i Nuggets è addirittura negativo a -2.2 su 100 possessi, compensando il crollo offensivo (-10.7 punti segnati in meno) con un eccellente rendimento difensivo (-12.9 punti concessi agli avversari). I campioni statistici dei playoff sono ovviamente poco rivelatori, sia perché ridotti nel numero di minuti che per i pochi avversari affrontati, ma è evidente che coach Malone abbia trovato qualcosa nel ridurre a otto la sua rotazione affidandosi solo a Bruce Brown, Christian Braun e Jeff Green dalla panchina, lasciando il resto al quintetto base Murray-Caldwell Pope-Porter Jr.-Gordon-Jokic che sfianca gli avversari a 122.2 punti su 100 possessi di rating offensivo.

Neanche una squadra come Phoenix che poteva contare su due realizzatori di assoluta élite come Booker e Kevin Durant è riuscita a tenere il passo di questi Nuggets, apparsi testa e spalle come una squadra complessivamente più profonda, più coesa o più semplicemente migliore, complice anche l’infortunio di Chris Paul che lo ha tolto dalla serie in gara-2 e un rendimento di Deandre Ayton che meriterebbe ben altri approfondimenti.

I playoff da assoluto dominatore di Jokic

Quello che forse non tutti potevano aspettarsi è che nella serie contro i Suns Jokic è stato il miglior giocatore in campo lungo l’arco delle sei partite. Certo, Booker ha avuto picchi sensazionali e Durant, pur rimanendo sempre Kevin Durant, a quasi 35 anni non è stato in grado di spostare da solo gli equilibri della serie come forse sarebbe riuscito a fare prima dell’infortunio al tendine d’Achille, ma Jokic è stato semplicemente più forte. I numeri, per quanto storici, raccontano solo fino a un certo punto il suo dominio: 34.5 punti, 13.2 rimbalzi e 10.3 assist di media con il 59.4% dal campo, il 44.4% da tre e l’85.4% dai liberi in 38.4 minuti di media, diventando il terzo giocatore di sempre dopo Russell Westbrook e LeBron James a chiudere una serie con una tripla doppia di media ai 30 punti.

Jokic ha chiuso in tripla doppia tre delle ultime quattro gare disputate, e quella in cui non ci è riuscito è perché ha segnato 53 punti con 11 assist, distruggendo il suo precedente massimo in carriera ai playoff (43), piazzandosi alle spalle solamente di Wilt Chamberlain come miglior prestazione realizzativa di sempre per un lungo ai playoff (56) e creando in totale 78 punti tra quelli segnati e assistiti, un dato mai visto prima per un centro NBA. Purtroppo per lui non sono equivalsi a una vittoria, visto che i Suns sono riusciti a imporsi facendolo diventare il giocatore col maggior numero di punti realizzati in una sconfitta ai regolamentari ai playoff (i tre che lo precedono, Lillard con 55, Mitchell con 57 e Jordan con 63 hanno tutti avuto a disposizione almeno un supplementare), ma ci raccontano comunque di un cambio di mentalità da parte del “Joker”.

Mentre in regular season un po’ troppo spesso si è vista una versione “trattenuta” di Jokic, capace di dominare qualsiasi partita ma senza andare a fondo nel suo bagaglio offensivo, in questi playoff abbiamo visto di che cosa è capace si mette in testa di dominare. Pungolato dalla sconfitta di due anni fa in cui venne messo in croce da Paul e Booker (ma quei Suns erano nettamente migliori dei Nuggets privi di Jamal Murray) e Deandre Ayton fece un bel lavoro in marcatura su di lui, ma anche da una serie di episodi fastidiosi nel corso della serie (l’incidente col proprietario dei Suns Mat Ishbia costato un fallo tecnico e 25.000 dollari di multa in gara-4, la spinta di Kevin Durant in gara-5 e, perché no, il premio di MVP consegnato a Embiid proprio negli ultimi giorni), Jokic ha risposto giocando la miglior pallacanestro della sua carriera.

Quando è in vena come lo è stato nelle ultime due settimane, non c’è niente che si possa fare per arginarlo, che poi è il tratto che rende le superstar in grado di spostare gli equilibri ai livelli più alti. Jokic è il giocatore meno raddoppiabile di tutta la lega, perché con la sua visione di gioco e le sue doti di anticipazione è in grado di leggere con anticipo qualsiasi raddoppio di marcatura e vivisezionare qualsiasi difesa mettendo in ritmo tutti i suoi compagni (solo Brown e Green non stanno tirando sopra il 39% da tre in questi playoff). Allo stesso modo, è troppo grosso, troppo tecnico e ha mani troppo educate per poter essere marcato in uno contro uno, come dimostrato possesso dopo possesso contro Ayton, Jock Landale, Bismack Biyombo o chiunque coach Monty Williams abbia provato inutilmente a mandargli sulle sue piste.

Il ritorno ad alti livelli di Jamal Murray, poi, gli ha ridato il suo partner preferito per i pick and roll, un’intesa ormai diventata telepatica dopo sette anni passati insieme nella stessa squadra, un lasso di tempo (per quanto interrotto dagli infortuni) inusuale in una lega che cambia vorticosamente come la NBA. La loro chimica e la loro abitudine a gestire i possessi più importanti delle partite senza nemmeno aver bisogno di guardarsi (con loro due in campo il rating offensivo dei Nuggets sfiora i 125 punti su 100 possessi, un dato semplicemente assurdo) li rende a tutti gli effetti impossibili da arginare. La presenza del canadese aiuta Jokic a procurarsi anche canestri più semplici: in questi playoff ha segnato 57 canestri non assistiti e ben 73 da passaggi dei compagni, 40 dei quali da Murray – il quadruplo rispetto a Gordon secondo in classifica. Se poi tira anche con il 48.7% nelle triple frontali (19/39 fino a questo momento), non si può fare altro che applaudire.

Per di più Jokic è notevolmente migliorato in difesa rispetto a due anni fa, riuscendo a “tenere il campo” sorprendentemente bene anche contro artisti del mid range come Booker e Durant a differenza di quanto accaduto nel 2021, oltre a continuare a dominare i tabelloni come troppo spesso non gli viene riconosciuto, visto che potrebbe essere il miglior rimbalzista di tutta la NBA (e nemmeno di poco). Dopo anni in cui i suoi titoli di MVP sono stati in qualche modo messi in discussione dall’assenza di cavalcate playoff durate a lungo, ora Jokic ha tutto quello che serve per arrivare fino in fondo – e la notizia peggiore per il resto della NBA è che nessuno sembra esserne maggiormente consapevole di lui.

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