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Un nuovo inizio per Kevin Durant
24 giu 2025
Cosa pensare del suo arrivo agli Houston Rockets.
(articolo)
7 min
(copertina)
IMAGO / Xinhua
(copertina) IMAGO / Xinhua
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Sapevamo che sarebbe successo, ed è successo nel momento peggiore possibile. Appena poche ore prima dell’inizio di gara-7 delle Finali NBA, i Phoenix Suns hanno ceduto Kevin Durant agli Houston Rockets in cambio di Jalen Green, Dillon Brooks, la decima scelta del Draft di quest’anno, più cinque seconde scelte.

Durant è venuto a saperlo mentre era sul palco del Fanatics Fest, rispondendo con un «vedremo» imbarazzato agli spettatori che hanno iniziato a fargli domande, senza però riuscire a nascondere una specie di sollievo nel viso. Sicuramente per lui Houston è una buona destinazione da un punto di vista economico, dato che arriva in una squadra con una buona flessibilità salariare, e potrà firmare un biennale con uno stipendio appena sotto i 60 milioni di dollari annui (simile a quanto prende ora).

IL MATRIMONIO PERFETTO TRA KEVIN DURANT E GLI HOUSTON ROCKETS
È sempre una notizia quando a muoversi è uno dei migliori giocatori nella storia della NBA, ma lo è ancora di più in questo caso, per quanto non sia una trade che ci coglie di sorpresa. Dopo l’esperienza a Golden State e l’infortunio al tendine d’achille, Durant aveva fatto due scelte che si erano rivelate sbagliate: prima aveva firmato per i Brooklyn Nets, portandosi dietro Irving e Harden, fallendo l’assalto al titolo prima a causa degli infortuni e poi per l’implosione di quella squadra; poi aveva forzato un trasferimento ai Phoenix Suns, da cui ha ricavato due uscite consecutive al primo turno dei playoff, prima dell’ultima disastrosa stagione.

A quasi 37 anni, per lui questa è l’ultima occasione per tornare a competere al livello più alto, e Houston sembra la scelta migliore per farlo. A San Antonio sarebbe stato un lusso troppo grande per una squadra che non sembra ancora pronta a competere, a Miami praticamente inutile, a Minnesota un rischio per l’alchimia del roster, a Houston invece può diventare essenziale per quello che, ancora oggi, è in grado di portare su un campo da basket.

In maniera del tutto inattesa, i Rockets sono arrivati al secondo posto a Ovest nella scorsa stagione, mostrando con che velocità Ime Udoka è riuscito a creare una cultura di squadra, costituita principalmente da un sistema difensivo affidabile e duro come la pietra. Houston è stata la quinta squadra della NBA per defensive rating (110.3) e in generale è in cima alla lega per quanto riguarda tutte le statistiche difensive (rimbalzi, efficienza, palle recuperate). Per rendersi conto di che bestia sono, basta guardare una loro partita: una squadra che è stata in grado di rendere la fase difensiva una cosa divertente da guardare, grazie all’atletismo e alla ferocia di giocatori come Amen Thompson, Tari Eason, Jabari Smith Jr. e Steven Adams.

La serie di playoff persa in gara-7 contro i Golden State Warriors ha però confermato anche il resto, e cioè le difficoltà in attacco, soprattutto negli ultimi minuti delle partite punto a punto (la peggiore dei playoff). Con Green troppo, troppo ondivago e impalpabile per essere la prima opzione offensiva, Van Vleet tremendo come percentuali al tiro, l’unica soluzione nei momenti difficili era: palla a Sengun e vediamo se succede qualcosa. Ma il centro turco, per quanto stia diventando un ottimo hub offensivo, non è ancora, e probabilmente non lo sarà mai, il go-to-guy, quello da cavalcare in attacco quando si rompono i giochi o quando il pallone pesa.

Durant, lo sappiamo, è invece la versione deluxe di questo giocatore. Certo, non è più il realizzatore letale dei suoi anni migliori, ma rimane sempre Kevin Durant: nella scorsa stagione, tra i giocatori con usage di almeno il 28%, solo Nikola Jokic ha superato la sua percentuale di true shooting (64,2%, quella di Jalen Green è stata di 54,4%). A Houston gli verrà chiesto di continuare a fare quello che sa fare meglio, e cioè canestro. Sia quando si tratta di costruirsi un tiro da solo, sia quando dovrà punire con un tiro piedi per terra da tre punti in una delle tante seconde occasioni che Houston si guadagna grazie ai rimbalzi offensivi.

L'identità difensiva di Houston, poi, anche perdendo Dillon Brooks, dovrebbe aiutarlo a gestire le proprie energie. Durant è sempre stato un buon difensore, ma certo nasconderlo sul peggior difensore avversario, chiedergli il minimo sforzo in difesa, per averlo al massimo in attacco, sarebbe un grande vantaggio per Houston, sempre per quella cosa che nessuno è eterno, e a 37 anni Durant, che nelle ultime stagioni ha anche sofferto di infortuni non gravi ma ricorrenti, dovrà gestirsi. E, se anche il sistema difensivo di Udoka dovesse peggiorare un pochino, la NBA ha dimostrato che non è più vero che la difesa vince i titoli.

Ovviamente, per Houston c’è un rischio in questa trade: è cioè sulla finestra che si apre davanti a loro per vincere il titolo con Durant. Per quanto ancora sarà un attaccante d’élite? Ormai è difficile fare previsioni sulla longevità di certi fenomeni, ma possiamo prevedere al massimo un paio di stagioni. Due stagioni in cui Houston dovrà provare a competere per il titolo. Ma che succede se la prossima stagione un titolare si infortuna nei playoff? La loro finestra si riduce del 50%. E se la stagione dopo qualcos’altro va storto? Abbiamo visto come nella NBA di oggi nessuno è al sicuro. Inoltre, Durant non è un “personaggio” semplice, negli ultimi anni le squadre in cui ha giocato hanno avuto problemi di alchimia, diciamo così. Se Houston sembra una franchigia molto più sana da questo punto di vista, e Udoka un ottimo allenatore nel gestire lo spogliatoio, sarà anche questo un aspetto su cui verrà valutata la trade.

Anche per questo, per Houston è stato fondamentale cedere poco in termini di asset per avere Durant. Jalen Green, ancora di più dopo la disastrosa serie contro gli Warriors, aveva perso il suo ruolo da realizzatore primario della squadra, e in generale Houston ha faticato tutta la stagione a inserirlo nel suo gioco in maniera efficiente; Dillon Brooks è sicuramente un buono specialista difensivo, ma in una squadra in cui tutti difendono alla grande, il suo contributo può essere rimpiazzato. La decima scelta in questo Draft non deve essere considerata come eccezionale dai Rockets, e certo non può essere al livello di Durant già da oggi, in una squadra che - visto il secondo posto della scorsa stagione - il prossimo anno deve pensare al titolo.

E I SUNS?
In questi giorni si sono letti diversi retroscena di quanto poco le franchigie interessate avessero offerto per Durant. Scambiare per un 37enne rimane un territorio quasi inesplorato, e probabilmente Phoenix non poteva ottenere molto di più in cambio. Certo, rispetto a quanto hanno speso per averlo appena due anni e mezzo fa, è davvero poco. Green, come detto, è un mistero, e il fit con Devin Booker non sembra un granché. Forse verrà scambiato subito, forse proveranno a vedere se possono lavorarci sopra, provare a costruire un giocatore: il suo contratto, comunque, non è terribile. Dillon Brooks probabilmente verrà scambiato da qui a febbraio. Per quanto riguarda la 10ª scelta, lo sapremo solo col tempo. A leggere i mock Draft, i prospetti migliori sono più in alto.

Per i Suns il senso di questa trade più che sportivo è economico. L’obiettivo dichiarato, infatti, è provare a stare sotto il second apron, che vorrebbe dire un risparmio consistente in termini di dollari, per una franchigia che non può permettersi di spendere così tanto senza essere competitiva. Se ci riusciranno dipenderà anche da i prossimi movimenti di mercato, ma intanto cedendo Durant iniziano ad avere le mani “più libere” anche per premere il famoso bottone della ricostruzione. Non è chiaro cosa vorranno fare nei prossimi anni i Suns, e con Devin Booker a roster è anche ingiusto pensarci ora, ma è difficile credere possano fare altrimenti.

Da questo punto di vista, forse, avrebbero dovuto provare a riavere indietro la scelta non protetta del 2027, finita proprio ai Rockets, che anche alla luce di questo scambio diventa particolarmente interessante. Ma, evidentemente, il valore di Durant, almeno sulla carta, non è più così alto. Starà a lui far vedere che, nonostante l'età, può tornare a essere un giocatore decisivo in una squadra che ambisce al titolo.

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