
Il post X di Shams Charania sul licenziamento di Mike Malone, l’allenatore dei Denver Nuggets, è arrivato a sorpresa, così come lo era stato, pochi giorni prima, quello sul licenziamento di Taylor Jenkins, l’allenatore dei Memphis Grizzlies. Oltre a Malone, è stato licenziato anche il General Manager di Denver, Calvin Booth.
Insomma, cosa sta accadendo in NBA?
La trade che ha portato Luka Doncic ai Lakers ha aperto una nuova era per la Lega. L'attenzione si sta spostando sul mercato più della norma. Vedere Doncic passare da Dallas a Los Angeles ha minato alcune leggi non scritte; i giocatori hanno capito di non essere più al sicuro, che la Player’s league ha preso un brutto colpo: chiunque può essere scambiato per qualunque cosa e in qualsiasi momento. Gli allenatori, però, sembravano al sicuro: storicamente l’NBA non è un posto da valzer delle panchine. Beh, dopo ieri non è più così.
COSA PAGA MALONE
Così come Jenkins, anche Malone è stato licenziato con un record positivo, più di Jenkins il suo addio è arrivato paradossale e inatteso, a cinque giorni dalla fine della stagione regolare, in un momento in cui sembra semplicemente assurdo pensare di cambiare guida tecnica. Solo in un altro caso un allenatore era stato licenziato a stagione così avanzata nella storia della NBA: Hubie Brown nella stagione 1980/81.
Denver al momento è a 47 vittorie e 32 sconfitte, a pari merito con altre tre squadre. Nella notte è scivolata al 5° posto a Ovest, che vuol dire playoff senza il fattore casalingo ma è ancora tutto da decidere. Alla fine della sua stagione regolare mancano tre partite e in base ai risultati Denver potrebbe finire tra il 3° posto (anche se ha una partita piena da recuperare ai Lakers) e l’8° (dove al momento c’è Minnesota con una partita di ritardo) che vorrebbe dire passare per l’inferno del play-in, col rischio poi di trovare Oklahoma City al primo turno.
In questo contesto Denver ha deciso di licenziare quello che è il proprio allenatore da DIECI ANNI e che ha portato la franchigia a vincere il primo storico titolo della sua storia appena due stagioni fa. Al posto di Malone sarà l'assistente David Adelman a guidare la squadra in queste tre partite. Se vogliamo guardare solo al presente, Malone paga il brutto, ultimo mese di Denver.
I Nuggets solo un mese fa, dopo aver battuto l’11 marzo i Thunder per 140 a 127, erano sembrati un po’ la seconda forza in un Ovest tutto da capire, i più credibili rivali di OKC per un posto alle Finals. Con Nikola Jokic che sta avendo l’ennesima stagione storica della sua carriera, anche più storica del solito, un Jamal Murray finalmente piuttosto vitale e un Westbrook insolitamente affidabile, l’idea era che per Denver i pezzi del puzzle si stessero finalmente incastrando, proprio quando conta. A rimetterli prepotentemente in corsa era stata una striscia di 9 vittorie consecutive arrivata dal 31 gennaio al 20 febbraio.
Dopo la vittoria con OKC, però, Denver ha perso alcune partite piuttosto incredibili contro Portland, Washington, Chicago e San Antonio. L’ultima decisiva sconfitta è arrivata contro gli Indiana Pacers, portando il record nelle ultime 10 a tre vittorie e sette sconfitte, di cui quattro consecutive. Perdere quattro partite di fila nel momento decisivo della regular season non è sicuramente piacevole, ma finora non era mai bastato per giustificare un licenziamento dell’allenatore. Anche considerando la pesante assenza di Murray, il secondo miglior giocatore della squadra.
Il proprietario dei Nuggets Josh Kroenke ha giustificato così la sua scelta: «Per quanto le tempistiche della decisione siano spiacevoli, dato anche che coach Malone ha aiutato a costruire le fondamenta della nostra squadra da titolo, è un passo necessario per permetterci di competere al massimo livello in questo preciso momento». Le fonti interne ai Nuggets parlano di una frustrazione sempre più diffusa all’interno dello spogliatoio per come la squadra stava giocando in difesa. Denver ha il 19° defensive rating in NBA (115.1, a pari merito con i Brooklyn Nets) e con questi numeri è davvero difficile pensare di vincere il titolo.
Anche senza entrare nelle statistiche avanzate, vedere la difesa messa in piedi da Malone quest’anno è stato piuttosto doloroso. Soprattutto negli ultimi due mesi a far storcere il naso era vedere come, grazie allo scarso impegno difensivo, andavano sprecate prestazioni sempre più statisticamente assurde di Jokic in attacco: nelle ultime tre sconfitte ha tenuto una media di 45 punti a partita ma non è servito. Anche il serbo sembra fosse particolarmente frustrato da come la squadra stava giocando in difesa, ed è difficile pensare che questo passo sia stato fatto senza almeno consultarlo prima.
Certo, in situazioni del genere è difficile dire quanto sia solo colpa del sistema messo in piedi dall’allenatore e quanto dell’impegno dei singoli giocatori. Lo stesso Jokic in alcuni momenti è sembrato particolarmente lascivo in difesa ma, a sua discolpa, con tutto quello che gli viene chiesto in attacco, e per quanti minuti, è difficile pensare di averlo al 100% anche dietro. Con questo roster, costruire una buona difesa non sembrerebbe impossibile, e altre versioni di questa squadra avevano sistemi difensivi tra il buono e l’ottimo (soprattutto, ovviamente, nell’anno del titolo). Malone però non sembrava avere idee su come migliorare la difesa della sua squadra. Sia lui che i giocatori sembravano piuttosto confusi sia in campo che davanti ai microfoni, quando dovevano provare a spiegare come migliorare dietro. E senza aggiustare la difesa, vincere il titolo sarebbe stato semplicemente impossibile.
Malone lascia la panchina di Denver avendo costruito un attacco di altissimo livello. Ovviamente con Jokic è più facile, e i numeri offensivi della squadra quando il serbo è in panchina sono disastrosi. Era abbastanza chiaro su chi si reggesse l’attacco costruito da Malone, ma sarebbe ingeneroso non dargli i giusti meriti. Lui ha cresciuto e sviluppato Jokic e Murray, lui ha contribuito a costruire i loro giochi a due. Il lavoro del suo staff ha portato Denver a questo livello, lavorando quasi solo con giocatori scelti al draft o con scambi mai particolarmente aggressivi.
Ma anche intorno all’attacco di Malone iniziava a esserci qualche dubbio all’interno della squadra. Denver è 30° su trenta squadre per tiri da tre punti, e per la direzione che sta prendendo la NBA è sempre più difficile vincere le partite senza questo fondamentale. I Nuggets hanno dimostrato di poterlo fare, ma in dei playoff che si prospettano molto equilibrati, dove - a parte OKC - tutti possono battere tutti, riuscire a costruire un buon numero di tiri da tre punti potrebbe essere decisivo tra passare un turno e non passarlo.
I NUOVI TEMPI DELLA NBA
Quello che non era un segreto, è che le relazioni tra lo staff tecnico e l’organizzazione erano tutt’altro che idilliache. Malone e Booth, il GM, sembra fossero particolarmente in disaccordo sulla gestione del roster. L’ultimo litigio sarebbe arrivato per la scelta di Malone di preferire Westbrook a Jalen Pickett per i finali delle ultime partite. Secondo Booth la distribuzione dei minuti di Malone era sbagliata: troppi minuti ai veterani e pochi ai giovani scelti da lui.
Per vincere un titolo NBA, o almeno provarci, è importante che tutto si incastri alla perfezione, e a Denver devono aver pensato che il clima tossico creato dai dissidi tra Malone e Booth fosse troppo pesante per i giocatori. Rimane assurdo il tempismo, se non ci sono elementi che non conosciamo (ma a questo punto sarebbero usciti). Che il lavoro di Booth fosse discutibile ormai era chiaro a tutti: la scelta di non provare a trattenere i veterani decisivi per il titolo (Bruce Brown e KCP su tutti, ma anche Jeff Green) per poi bloccare la flessibilità del monte salari con giocatori di medio-basso livello non stava pagando (Zeke Nnaji e Dario Saric).
Che poi Denver, al momento, ha il settimo payroll della NBA. Più o meno il suo livello è quello: Braun è stata una buona scelta al draft e anche Payton Watson va in quella direzione. In estate, se non fosse arrivato il titolo, il core Jokic-Murray-Porter Junior-Gordon sarebbe stato messo in discussione. Se hai il miglior giocatore del mondo e non riesci a mettergli accanto un altro All-Star per vincere è giusto che sia così.
Ma agendo d’impulso a pochi giorni dai playoff, sembra che l’interno sistema su cui Denver ha costruito il suo titolo sia in discussione. Se l’idea era licenziare il GM per il suo lavoro e per i suoi dissidi con l’allenatore, perché allora non tenere l’allenatore? È difficile dire quanti allenatori migliori di Malone ci siano oggi disponibili in NBA (si parla di Darvin Ham, certo non un chiaro miglioramento rispetto a Malone, sicuramente un allenatore più attento alla difesa). Forse Denver è convinta di avere la soluzione in casa con Adelman, così come i Grizzlies forse sono convinti che lo sia Tuomas Iisalo.
A vederla così, però, sembra solo che la fretta e l’urgenza siano diventati una questione anche in NBA. Devi vincere ora e subito, e in caso contrario non se ne discute nella lunga pausa estiva, ma in qualsiasi momento, anche se la stagione è nel suo momento decisivo, a tre partite dalla fine della stagione regolare, dopo che ne sono state giocate 79. Anche se quello che è fatto è fatto, almeno apparentemente, neanche gli allenatori sono più al sicuro. La storia di Malone sembrava proprio andare dall’altra parte: un allenatore a cui era stato concesso di lavorare per anni senza scossoni, con la pazienza che ha portato fino al titolo. Anche Jenkins a Memphis sembrava poter percorrere una strada simile. Non sarà così, il segno che la NBA sta cambiando.