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Cosa ci ha detto il primo derby della bolla
31 lug 2020
I Lakers hanno avuto ragione dei Clippers in un finale tirato.
(articolo)
7 min
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È in qualche modo coerente con la narrazione della stagione 2019-20 che la prima partita importante della ripartenza di Orlando sia il derby di Los Angeles tra Lakers e Clippers. Le due squadre si tengono d’occhio ormai da un anno intero, cioè da quando Kawhi Leonard ha deciso di non unirsi a LeBron James e Anthony Davis in gialloviola per costruire la “sua” contender sull’altra sponda di Hollywood insieme a Paul George. E i tre incontri che ci sono stati finora durante la stagione — due vinti dai Clippers, l’ultimo di marzo conquistato dai Lakers — non hanno fatto altro che accrescere l’attesa per una eventuale serie di playoff tra le due rivali, con quattro dei primi 10-15 giocatori della lega gli uni contro gli altri.

Entrambe le squadre sono arrivate alla bolla di Orlando con diverse assenze con cui fare i conti. Come è noto i Lakers non avranno a disposizione Avery Bradley, rimasto a casa insieme al figlio che ha una malattia respiratoria cronica, e hanno perso Rajon Rondo al primo allenamento. I Clippers invece hanno mezza squadra indisponibile, tra giocatori in quarantena (Lou Williams), appena usciti dalla quarantena (Ivica Zubac, Landry Shamet e Patrick Beverley) e uno che è fuori da Disney World ormai da quasi due settimane (Montrezl Harrell).

La partita tra Lakers e Clippers, abilmente posizionata dalla NBA nel prime time della ripartenza, serviva dunque soprattutto per dare una prima valutazione dello stato di forma dei singoli interpreti e delle due squadre in generale. Le risposte sono state altalenanti e certamente non esaustive: il livello di intensità è stato più che soddisfacente mentre quello tecnico è andato ben lontano da quello che le due squadre possono realmente dare, in una gara condizionata dai tanti errori (ben 38 palle perse) e dai tantissimi falli fischiati (57 in tutto) — segno evidente che tutti debbano riprendere un po’ il discorso interrotto bruscamente a marzo.

Ma non potrebbe essere altrimenti: non viviamo più nello stesso mondo che conoscevamo, e dare quasi per scontato un gesto fortissimo come quello dell’inginocchiarsi tutti assieme — arbitri compresi — prima della partita senza che nessuno lo trovasse controverso (Donald Trump in altri tempi avrebbe dedicato almeno una mezza dozzina di tweet a quel gesto) ci fa capire quante cose sono successe negli ultimi quattro mesi.

Parziali e controparziali

Anche se nessuna delle due squadre è andata sopra i 13 punti di vantaggio, la gara ha avuto dei padroni chiari nel suo svolgimento. I Lakers come da tradizione hanno controllato il primo quarto, che hanno vinto per la quarta volta su quattro in questa serie stagionale: merito soprattutto di Anthony Davis, che con 14 punti è sembrato semplicemente immarcabile per la difesa dei Clippers che non ha un vero corpo da opporgli.

Marcus Morris in particolare ha avuto una prestazione orrenda, tanto che coach Rivers si è visto costretto a schierare JaMychal Green e rispolverare Patrick Patterson pur di non vederlo in campo.

Dopo il primo quarto giocato sulle ali dell’entusiasmo e dopo aver toccato il massimo vantaggio sul +13 con i primi punti di LeBron James, l’attacco dei Lakers si è però inceppato con il secondo quintetto di riserve, quello che attorno a James ha visto in campo JR Smith-Dion Waiters insieme a Dwight Howard e Kyle Kuzma. La scelta di coach Vogel di separare i minuti di James e Alex Caruso (incredibilmente produttivi durante la stagione) in favore di Smith, in particolare, non è sembrata particolarmente felice: in attacco i gialloviola si sono fermati e in difesa non avevano modo di fermare Kawhi Leonard, che praticamente da solo ha rimesso in partita i Clippers con 14 punti nel solo secondo quarto. Nonostante il punteggio fosse in favore dei Lakers sul 54-52 (complice una grande difesa sull’ultimo possesso di James su Leonard), era chiaro come l’inerzia della partita fosse girato dalla parte dei Clippers.

Un trend confermato anche dall’inizio del terzo quarto, decisamente tragico per i Lakers dal punto di vista offensivo (nove errori consecutivi al tiro, portando il totale a 6/29 in un periodo di 19 minuti) e infuocato per Paul George, che con tre triple in tre minuti ha portato i suoi avanti di sei lunghezze. Un assist e un canestro da tre di Leonard hanno poi spinto il vantaggio fino al +11 con l’inerzia della gara che sembrava completamente in mano ai Clippers, ma la risposta dei Lakers propiziata da due triple di Anthony Davis (che ha progressivamente allargato il raggio di azione nel secondo tempo) è stata da squadra consapevole dei propri mezzi. Non è un caso se i gialloviola, che fino a quel momento avevano tirato un tremendo 4/21 da tre punti, hanno trovato quattro triple in fila in apertura di ultimo quarto con Waiters, Kuzma, James e Danny Green, ritrovando quel ritmo offensivo che sembrava completamente perso.

Le magie di Paul George (30 punti alla fine con 6 triple a segno, insieme ai 28 di Kawhi Leonard) hanno nuovamente riaperto la partita nei due minuti finali, quando le giocate decisive di LeBron James — suoi gli ultimi quattro punti di squadra e, soprattutto, la difesa sul possesso decisivo cambiando da Kawhi Leonard a Paul George senza perdere un colpo. Una difesa che nasce da un ottimo possesso per chiudere il primo tempo in cui James, mandando Leonard a sinistra, lo ha costretto a un brutto tiro. Dopo essere riuscito di nuovo a mandarlo sulla mano debole, James è stato poi veloce a cambiare subito su George, appoggiando dolcemente un avambraccio sul suo corpo quel tanto che basta per non fargli prendere il tiro in totale ritmo.

Tutto il finale di gara è stato da partita vera: non ci saranno gli spettatori e l’ambiente a cui eravamo abituati, ma l’intensità non dovrebbe di certo mancare neanche a Disney World. E non era necessariamente scontato.

Cosa ci ha detto la prima gara della ripartenza

Più che dare indicazioni su come giocheranno le squadre, la sfida di questa notte ha dato agli allenatori qualche indicazione su chi non può giocare in una eventuale serie tra le due squadre. Al netto delle assenze di un asse fondamentale dei Clippers come il pick and roll tra Lou Williams e Montrezl Harrell (il -18 di plus-minus nei minuti con Leonard in panchina non è un caso), la rotazione dei centri formata da Ivica Zubac e Joakim Noah ha lasciato molto a desiderare (-17 di plus-minus combinato), tanto che Doc Rivers si è ritrovato presto a far affidamento su Green e Patterson da 5 tattici. Un’indicazione buona per entrambi gli allenatori invece è che i due Morris sono notevolmente indietro di condizione: Rivers ha dovuto reinserire Marcus per necessità più che per reale convinzione e non ne ha ricevuto nulla (è 0/13 al tiro in due partite contro i Lakers), mentre Frank Vogel ha potuto lasciare Markieff comodamente in panchina praticamente per tutto il match.

Quella tra Lakers e Clippers, come spesso accade nella NBA contemporanea, nel finale si è trasformata in una caccia al mismatch favorevole — e, allo stesso tempo, nel tentativo di nascondere gli anelli deboli difensivi agli avversari. Vogel ha dovuto reinserire Caruso in fretta e furia dopo che Waiters era stato battuto troppo facilmente a livello difensivo, ma deve anche stare attento in certi frangenti a non togliere troppo talento offensivo dal campo — perché molte delle fortune dei Lakers passeranno da come verranno gestiti i possessi che non vengono finalizzati dalle mani di James e Davis.

Per i Clippers comunque non è da buttare tutto quello che si è visto: la profondità a disposizione di coach Rivers con un roster totalmente a disposizione permette di pescare un jolly inatteso più o meno a ogni partita (in questa c’è stata perfino una tripla di Amir Coffey) e tutto sommato arrivare a giocarsela fino alla fine pur con tutte quelle palle perse, quelle assenze pesanti e quei minuti per Reggie Jackson (produttivo all’inizio fino a diventare poi dannoso) è un segnale incoraggiante. Spazio per migliorare ce n’è, per quanto la (pressoché nulla) circolazione di palla rimanga sospetta e il rischio di fare a turni in attacco sia il principale tallone d’Achille della squadra.

I Lakers invece dovrebbero rallegrarsi soprattutto per la prestazione composta di Kyle Kuzma, che è rimasto nel suo, si è preso i suoi tiri, non ha sporcato il foglio e ha difeso in maniera solida, portando comunque in dote 4 triple e 16 punti finali nella metà campo offensiva. Sembrano cose da nulla, ma la sua definitiva trasformazione in “glue guy” potrebbe rivelarsi la miglior notizia possibile per una squadra che, dopo questa vittoria, è a un solo successo dall’assicurarsi il primo posto nella Western Conference. E non è un traguardo scontato, visto da dove arrivavano solo un anno fa.

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