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Tutti i problemi dei Los Angeles Lakers
29 apr 2025
Luka e LeBron sono con le spalle al muro, a una sconfitta dal perdere la serie con i Timberwolves.
(articolo)
8 min
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Nei 1878 minuti giocati insieme da LeBron James e Luka Dončić in regular season, i Los Angeles Lakers hanno avuto un rendimento offensivo stellare. Per quanto relativamente poco possa valere un paragone del genere, se avessero giocato insieme fin dall'inizio sarebbero al secondo posto nell’intera lega per Offensive rating, e, cosa ancora più importante, i numeri dei quintetti a completa guida di Doncic avevano numeri altrettanto lusinghieri, segno di una squadra che si stava iniziando ad adattare ad un nuovo creatore primario.

I playoff però sono uno sport diverso, e la serie contro i Minnesota Timberwolves sta mettendo in luce tutti i limiti offensivi della squadra di Redick, tutti insieme e tutti nel momento peggiore possibile.

Nel quarto quarto di gara-4 l'offensive rating dei Lakers è stato di 78,9. Un numero tragico. Che l'attacco dei gialloviola fosse in difficoltà era stato già visibile nelle prime tre partite della serie, ma era difficile aspettarsi un tracollo del genere nel momento più importante, in una partita che sembra aver indirizzato il destino di questa serie. Ora i Lakers sono sotto 3-1 e non possono più sbagliare nulla.

Il primo a finire sul banco degli imputati per questo disastro non poteva che essere proprio Luka Dončić. Se i suoi numeri personali in gara-4 sono al di sopra di ogni sospetto (38 punti, 7 rimbalzi e 4 assist) è stata però la sua gestione dei possessi a far alzare più di qualche sopracciglio. È inevitabile che avere un giocatore di questo tipo ti porti a giocare in un certo modo, ma quello che si è visto, specialmente negli ultimi sei/sette minuti, con la partita in pieno equilibrio, è difficile da accettare, anche accettando il tipo di giocatore che è lo sloveno, un mega-creator moderno con tutti i suoi pregi e difetti. Non si può pensare di vincere una partita di playoff, contro qualsiasi avversario, partendo sempre da fermo, sempre palla in mano e contro una difesa che sa esattamente dove vuoi andare a parare, nel 2025 molto semplicemente non si può.

20 Assist e 18 palle perse nella serie, alcune delle quali difficilmente spiegabili

Uno dei problemi principali, per quanto sembri paradossale dirlo, è stata la gestione dei raddoppi: i Timberwolves hanno modificato il loro piano difensivo, rendendo più aggressiva la marcatura sul palleggiatore e blitzandolo sempre in situazioni di pick&roll. Dopo trenta e più minuti di gestione perfetta da parte di Dončić e compagni di questa foga difensiva di Minnesota, che gli aveva permesso di giocare la miglior partita offensiva della serie a metà campo, la luce si è completamente spenta. Già nei primi tre quarti c’era stata qualche avvisaglia, troppo spesso Luka si era trovato a metà campo chiuso sulla linea laterale, spalle a canestro e aveva buttato via il pallone - anche per merito della grandissima prova difensiva di Jaden McDaniels - concedendo a Minnesota facili punti in transizione. Contro questo tipo di difesa è fondamentale portare i blocchi con gli angoli giusti e in questo la mancanza di corpi adatti nel roster dei Lakers si è fatta drammaticamente sentire.

Un’altra grossa problematica per i Lakers è stata quella relativa alla gestione del ritmo. Contro una difesa organizzata è importante entrare nei set offensivi presto: palleggiare sul posto per venti secondi raramente porta a qualcosa di buono. La questione o diatriba fra pallacanestro organizzata e improvvisata è stata al centro di enormi polemiche per tutta la stagione dei Lakers, e in questa gara-4 è tornata fortemente alla ribalta. Quando i Lakers in questa serie hanno giocato delle situazioni codificate (definizione in cui sono compresi “schemi” e similari) hanno prodotto 1.21 punti per possesso, di contro quando hanno improvvisato ne hanno generati 0.95. Non è tutto qui, ovviamente le fattispecie che cadono nella seconda definizione sono estremamente variegate e non è semplice giocare sempre come si vorrebbe, sicuramente però danno un’idea di come e dove si possa migliorare in attacco.

Uno degli esempi principali è quello che nel playbook di Redick si chiama Horns-3, ovvero, senza andare troppo nel tecnico, un allineamento che prevede Luka e LeBron ai due gomiti per iniziare l’azione a cui seguono poi varie possibilità per chi riceve. Mischiare opzioni di questo tipo a isolamenti e P&R (inevitabili giocando con questo roster) sarebbe fondamentale per dare meno punti di riferimento alla difesa, ma per stanchezza o mancanza di lucidità nelle ultime due partite sono quasi sparite.

Non è infatti solo Dončić ad avere sulla coscienza questa partita, anche Redick dovrà riflettere sulla gestione che ha avuto sulla partita, specialmente delle rotazioni. È la prima volta nella play-by-play era (quindi dal 1997 ad oggi) che una squadra in una partita di playoff non cambia un singolo giocatore del quintetto per 24 minuti consecutivi, ovvero, in questo caso, i 24 minuti conclusivi della gara. Il roster dei Lakers non è certo il più profondo della lega, anzi, ma pensare che si possa mantenere alta l’intensità a queste condizioni è chiedere davvero troppo. Quattro giocatori sopra i quaranta minuti in campo, di cui due a 45 e 46, roba da Thibodeau d’antan che inevitabilmente porta a vista appannata e gambe che cedono nel finale.

Difficile dire quanto sia da biasimare Redick per questa scelta e quanto lo siano invece i giocatori rimasti seduti. La produzione della panchina dei Lakers in questa serie è senza mezzi termini inesistente, sei i punti segnati nell’ultima partita, due se consideriamo, come è giusto fare, Finney-Smith uno starter e Hayes un rimpiazzo. Anche Vincent, che pure nelle prime tre gare aveva dato un minino di contributo, ha fatto sciopero bianco, e il “banshee” (termine derivato dal mondo della fantascienza con cui lo ha definito Redick) Goodwin non ha messo la consueta intensità.

Un altro ottimo esempio di possibile counter alla difesa aggressive dei Timberwolves.

Si potrebbe a questo punto aprire un'enorme parentesi sui limiti di un attacco guidato in questa maniera, su quanto le soft-playmaking skills di Dončić non siano elitarie quanto quelle primarie, e soprattutto sulla percentuale di responsabilità che possano avere dei role-player in relazione a quelle della superstar, soprattutto nella squadra di LeBron e Luka, ma per questi discorsi ci sarà tempo in futuro. Una rilevazione estremamente interessante da fare è però come questa serie, e in generale questi playoff, confermino come la pallacanestro stia virando verso il diventare un cosiddetto weak-link sport, ovvero, detta in maniera molto semplice, perché su questo sarebbe da aprire un capitolo enorme, uno sport in cui non vince più chi ha il giocatore migliore (o i due migliori come in questa serie) quanto più chi ha il giocatore peggiore meno peggiore, l’anello debole meno attaccabile, in entrambe le metà campo.

Grafico per gentile cortesia di Itzok Franko che mostra la distribuzione dei minuti in queste prime 4 partite.


Tradotto: i Lakers hanno LeBron James e Luka Dončić, ovvero, sulla carta, i due migliori giocatori di questa serie (ma non ditelo ad Anthony Edwards), ma se i loro quinti/sesti/settimi di rotazione non possono stare in campo, mentre quelli degli avversari sono Conley, Reid e DiVincenzo, cioè non fenomeni, ma giocatori competenti, che riescono a stare nella serie e avere un impatto, non è più detto che il vantaggio lo abbiano loro.

Proprio LeBron è il grande convitato di pietra di questo discorso. La sua partita a 360° non si può non definire commovente, persino migliore della masterclass offensiva di Gara 3. Specialmente dal punto di vista difensivo sta mostrando un’applicazione e un impatto che non si vedevano da anni (un dato: è il miglior giocatore della lega per percentuale concessa agli avversari al ferro, 36,4%), dimostrando di poter essere ancora decisivo anche in questo frangente del gioco se connesso e concentrato. Se difensivamente parliamo di una prestazione senza pecche, offensivamente siamo stati invece testimoni di una perfetta celebrazione di Giano Bifronte. Tre quarti di assoluta nobiltà cestistica, 27 punti con soli nove tiri dal campo (prima volta in carriera con una partita in singola cifra per tentativi ai playoff), un clinic di pallacanestro essenziale e poi un quarto quarto degno de “Il Muro” di Sartre, totalmente straniato ed assente dalla partita, incapace di reagire all’assurdità che gli si stava parando davanti.

È più che comprensibile che a 40 anni, dopo 40 minuti in campo, LeBron non possa prendersi tutte le responsabilità, magari nemmeno la metà nella squadra offensivamente di Dončić, però dal miglior performer nella storia dei playoff, in una partita di questa magnitudo, uno squillo, un segnale a una squadra che stava chiaramente annaspando ce lo si poteva aspettare, e lui per primo ne è probabilmente il più consapevole. Il fatto che sia arrivato l’ennesimo record, primo giocatore di sempre con 27+12+8+3+3 in una gara di post-season, è una magra consolazione.

Redick, nella conferenza stampa post-partita, visibilmente nervoso, ha provato a incolpare gli arbitri per il contatto sul finale tra Dončić e McDaniels e gli ha fatto eco James parlando dell’episodio che ha portato ai due liberi di Edwards, entrambi ottimi argomenti (il primo dei quali corroborato tra l’altro dal last-two-minute report NBA) ma che sono solo corollari a una sconfitta che ha profonde motivazioni tecniche.

Oltre alle problematiche tattiche i Lakers devono mangiarsi le mani anche per singoli episodi: il layup sbagliato da Dončić in contropiede, che ha portato da un possibile +12 a un parziale di 8-0 per Minnesota, su tutti ma sono varie le situazioni favorevoli gestite molto male.

Il fatto che dopo tutte queste difficoltà, a cui si aggiunge la star avversaria che ha sfoderato la miglior prestazione in carriera, i Lakers siano comunque arrivati a giocarsela e a un fischio dal vincerla è sicuramente un segnale positivo, il problema è che il tempo dei segnali è finito. Se c’è un giocatore in NBA che può rimontare da questa situazione è LeBron James, e lo sappiamo bene, ma a giocare con il fuoco non è detto ti vada sempre bene.

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