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I Miami Heat non crollano mai
30 mag 2023
Neanche l’assurdo buzzer beater di Derrick White ha scalfito la forza mentale di Jimmy Butler e compagni.
(articolo)
8 min
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IMAGO / USA TODAY Network
(copertina) IMAGO / USA TODAY Network
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Pochi minuti dopo la fine di gara-6, nella quale i Boston Celtics erano riusciti miracolosamente a vincere con un canestro irripetibile di Derrick White sulla sirena, Erik Spoelstra si è presentato in conferenza stampa con un messaggio ben chiaro da lanciare ai suoi giocatori e a tutto l’ambiente. Invece di lamentarsi del destino avverso o del fatto di essere andato a due centesimi di secondo dalle Finals, aggrappandosi a scuse o lasciandosi andare allo sconforto, ha cominciato a preparare mentalmente il campo per gara-7: «In questo preciso momento non so come riusciremo a farcela, ma andremo là e vinceremo. Questa è l’unica cosa a cui dobbiamo pensare nelle prossime 48 ore» ha detto con la convinzione negli occhi di chi non accetta nessun altro risultato possibile. «Non c’è niente di facile in questa stagione per il nostro gruppo ed è così che devono andare le cose. Non potrebbe andare in altra maniera. Vorremmo poter cominciare gara-7 adesso, in questo preciso momento, e giocarci altri 48 minuti» ha concluso, battendo gli indici sul tavolo davanti a sé per rimarcare il concetto.

Quarantotto ore dopo, i suoi Miami Heat hanno reso realtà le sue parole al termine di una partita che sono stati incredibilmente bravi a rendere meno memorabile rispetto a gara-6. Con tutta la pressione del mondo addosso per il rischio di diventare la prima squadra avanti 3-0 a farsi rimontare e battere nella storia della NBA e con la scimmia sulle spalle di quel canestro di Derrick White, in gara-7 i Miami Heat hanno messo in campo una prestazione di una forza mentale mostruosa, ammutolendo il pubblico del TD Garden e strappando il biglietto per le settime finali della loro storia, le seconde negli ultimi quattro anni dopo quelle nella bolla di Orlando. Un risultato che dopo gara-3 sembrava scontato, visto che nelle 150 occasioni in cui una squadra è andata sopra 3-0 in una serie al meglio delle sette è sempre avanzata al turno successivo, ma che non era scontato né prima dell’inizio della serie (quando agli Heat veniva dato appena il 3% di possibilità di vittoria) né tantomeno dopo gara-6, quando quel buzzer beater subito avrebbe potuto stroncare un elefante. Ma ancora una volta i Miami Heat si sono dimostrati più forti di tutto.

L’ennesimo capolavoro tattico di Erik Spoelstra

Le parole di Spoelstra ovviamente hanno “settato il tono” mentalmente per gli Heat, ma è anche tatticamente che hanno vinto la partita. Lungo tutto il corso della serie Miami è stata la squadra più pronta, più continua, più preparata e più disciplinata nelle due metà campo, dando sempre l’impressione di sapere benissimo cosa fare, quando farlo e come farlo. Messi uno di fianco all’altro tra i due roster non c’è paragone in termini di talento, motivo per cui così tante persone hanno scommesso su Boston sia prima della serie che anche dopo la vittoria in gara-4 che ha cambiato l’inerzia delle finali di conference, ma il talento sulla carta da solo non basta a certi livelli.

La difesa a zona degli Heat, in particolare, si è rivelata un enigma irrisolvibile per i Celtics specialmente nelle ultime partite, andando a mettere macigni negli ingranaggi dell’attacco di Boston che in gara-7 si è completamente impantanato. Complice la distorsione alla caviglia che ha subito Jayson Tatum dopo appena 26 secondi di partita, limitandolo per sua stessa ammissione nel resto del match («Ero l’ombra di me stesso, non potevo muovermi»), i Celtics hanno tirato 9/42 da tre punti di squadra, un 21.4% che supera a malapena la loro peggior prestazione stagionale, il 7/35 di gara-6 dal quale sono riusciti a salvarsi solo grazie a White e un insostenibile 14/22 di squadra dalla media distanza.

I Celtics hanno pescato dal mazzo la peggior prestazione offensiva della loro stagione (appena 84 punti segnati, non erano mai andati sotto quota 92 in regular season e 95 ai playoff) nel peggior momento possibile, segnando appena 93.3 punti su 100 possessi e tirando sotto il 46% effettivo di squadra, peraltro perdendo anche negli altri tre fattori (percentuale di palle perse, rimbalzi offensivi e viaggi in lunetta) che sono necessari per ottemperare a qualsiasi serata storta al tiro. La zona di Miami è entrata nelle teste dei Celtics minuto dopo minuto, in particolare in quella di Jaylen Brown.

Al momento della sua ottava palla persa di serata (peggior dato di tutta la carriera, regular season compresa), Brown aveva più turnover di tutta Miami messa assieme. E considerando anche i 15 tiri sbagliati nella sua partita, si va ampiamente in doppia cifra di possessi buttati per i Celtics: in una gara-7 non ce lo si può permettere.

Boston ha provato a cercare in Derrick White una fonte di gioco per rimanere aggrappata alla partita nel terzo periodo, quarto nel quale ha segnato 13 dei suoi 18 punti finali, ma non è bastato per impensierire una difesa che sembrava leggerli nel pensiero prima ancora che loro provassero a fare qualcosa. Certo, difendere a zona è molto più semplice quando gli avversati tirano col 21% da tre (Boston ha sbagliato le prime 12 triple tentate) e dall’altra parte tu tiri col 50% (14/28 di squadra), ma le percentuali in questo caso sono una conseguenza di come si è sviluppata la partita e del piano-gara eseguito da Miami, e non solamente una causa.

Caleb Martin, l’eroe che non ti aspetti

Per quanto il premio di MVP della serie sia andato a Jimmy Butler, che con il senno di poi ha avuto di fatto i picchi che l’hanno decisa nei finali di partita in gara-1 e soprattutto in gara-2 con l’epico faccia a faccia con Grant Williams, gli Heat non avrebbero mai potuto raggiungere le settime Finals della loro storia senza Caleb Martin. La sua è una delle storie più assurde di questi playoff: meno di due anni fa veniva tagliato dagli Charlotte Hornets (lo riscrivo in maiuscolo per rendere meglio l’idea: TAGLIATO DAGLI CHARLOTTE HORNETS) e sembrava che per lui non ci fosse più un posto in NBA; poi i rapper J Cole ha fatto una chiamata a Caron Butler, assistente allenatore di Spoelstra agli Heat, e gli ha procurato un provino con la franchigia. Da lì è arrivato un contratto non garantito, poi un two-way, poi un triennale da 20.6 milioni di dollari e adesso la cavalcata playoff della sua vita, suggellato da una serie contro Boston nella quale ha sfiorato i 20 punti di media tirando con il 60% dal campo e il 49% da tre punti.

Dopo aver già segnato 25 punti in gara-2, Martin si è superato in gara-7 mettendone 26 (suo nuovo massimo in carriera ai playoff, ovviamente) con una sicurezza nei suoi mezzi al limite dell’arroganza. Martin ha segnato in ogni modo e in ogni situazione: a rimbalzo d’attacco, facendosi trovare pronto sugli scarichi, correndo in transizione, attaccando in uno contro uno e soprattutto mettendo palla per terra contro i closeout della difesa, la vera specialità di un giocatore che fino a questa stagione non sembrava destinato a lasciare il segno tra i professionisti. Ma, ancor più importante, Martin ha segnato ogni volta che gli Heat ne hanno avuto bisogno, ricacciando indietro ogni tentativo di rimonta di Boston e, senza mezzi termini, surclassando Jaylen Brown che in estate potrà firmare un quinquennale da 295 milioni di dollari.

Con i Celtics al massimo sforzo per rimanere a contatto, Martin si è inventato un parziale personale di 8-2 a cavallo di terzo e quarto periodo con due triple e un canestro a un secondo dalla fine del terzo quarto nascondendosi sulla linea di fondo. A quel punto era già a quota 26 con appena 4 errori al tiro su 15 tentativi, aggiungendo anche 10 preziosissimi rimbalzi e 3 assist alla sua memorabile partita. Nel corso della serie ha segnato 22 triple, quattro in più di Brown e Tatum messi assieme.

Al momento della decisione finale sul premio di MVP ben quattro giornalisti su nove hanno dato il loro voto a Martin mentre gli altri cinque hanno preferito Butler, una circostanza impensabile anche solo poche settimane fa, figuriamoci due anni fa quando nell’estate del 2021 era senza squadra. Martin è solo l’ultimo della lunghissima serie di undrafted che compongono questa versione degli Heat (con la promozione di Martin sono addirittura tre in quintetto), una squadra nel quale il giocatore scelto più in alto al Draft è Cody Zeller (scelta numero 4 nel 2013) che però non può stare in campo in una serie playoff, due giocatori teoricamente da rotazione come Victor Oladipo e Tyler Herro si sono fatti male subito e le loro assenze non si sono neanche sentite, dove un giocatore panchinato da due anni come Duncan Robinson viene rimesso in campo e spacca le partite e nella quale la stessa squadra che in regular season ha tirato col 34.4% da tre punti (quarta percentuale più bassa di tutta la NBA) all’improvviso si è scoperta infallibile dall’arco, tirando col 45% contro i Milwaukee Bucks e col 43.4% nella serie contro i Celtics e concedendosi una serie di stacco quando se lo poteva permettere contro New York (30.6, ma comunque meglio del 29.9% dei Knicks).

Miami è diventata così la seconda squadra con la testa di serie numero 8 a raggiungere le finali dopo i Knicks del 1999, e si affacciano alla serie contro i Denver Nuggets con tutti gli sfavori del pronostico. Ma dopo aver sovvertito per tre volte consecutive il fattore campo, aver eliminato le due squadre col miglior record della stagione regolare e aver dimostrato partita dopo partita di essere incrollabili dal punto di vista nervoso e mentale, c’è qualcuno che ha ancora voglia di scommettere contro di loro?

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