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La stagione di Minnesota è già un successo
10 mar 2022
Essere tornati una franchigia competente è il primo passo di un percorso intrigante.
(articolo)
13 min
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Quante volte abbiamo atteso che i Minnesota Timberwolves ci dessero un segnale di vita, o quantomeno un barlume di speranza per una delle franchigie più perdenti dello sport americano? Eppure oggi, in una Western Conference quantomai particolare tra “ex” favorite alle prese con roster disfunzionali e/o pieni di infortunati e vecchie-nuove protagoniste che avanzano, i T’Wolves si stanno ritagliando un loro spazio, agli albori di un progetto che dopo mille peripezie si spera essere finalmente quello giusto, con un nuovo allenatore e un roster che sembra costruito a sua immagine e somiglianza.

Un inizio difficile

I primi mesi di Chris Finch sulla panchina dei T’Wolves sono stati ardui, a cominciare dal tumulto scatenato, suo malgrado, dal suo arrivo sulla panchina di Minnesota, proveniente dalla panchina dei Toronto Raptors di cui era assistente. È molto raro vedere un coach di questo tipo fare le valigie nel bel mezzo della stagione, soprattutto in una squadra problematica come quei T’Wolves; nonostante gli insuccessi di Ryan Saunders, la logica avrebbe detto di continuare con il figlio di Flip fino a fine stagione, non avendo alcun obiettivo per cui lottare (se non una scelta alta al Draft). Invece l’ex GM Gersson Rosas ha stupito un po’ tutti, chiamando un uomo di fiducia con cui aveva già collaborato in passato: dal 2009 al 2011, infatti, i due avevano lavorato assieme, con gli stessi incarichi che avrebbero poi ricoperto a Minneapolis, ai Rio Grande Valley Vipers, squadra di G-League affiliata agli Houston Rockets.

Normalmente, in caso di esonero di un capo allenatore durante la stagione, è prassi promuovere di un grado il primo assistente, che nel caso di Minnesota era il rispettatissimo e quotatissimo David Vanterpool. La decisione di Rosas suscitò parecchie critiche tra media e giocatori, sia per il trattamento riservato a Saunders che per la scelta di affidarsi a un coach esterno piuttosto che a un assistente bravo e preparato come Vanterpool. Oltretutto, la scelta di bypassare l’ex giocatore del CSKA Mosca venne visto come l’ennesimo tentativo di escludere un coach afro-americano, e per molti più che pronto per certi palcoscenici, da una panchina NBA.

Negli anni, Finch ha lavorato per Houston, Denver, New Orleans e Toronto come una delle più brillanti menti offensive della lega, favorendo lo sviluppo di giocatori come Nikola Jokic e Brandon Ingram. Nel giorno del suo insediamento disse che la sua squadra avrebbe giocato «in maniera veloce e libera», nel senso di «non inserita in un rigido spartito da seguire». Fino a questo momento la sua promessa è stata mantenuta: la squadra effettivamente corre tanto, e sebbene il dato relativo al pace sia leggermente inferiore a quello dello scorso anno, i 101.1 possessi giocati sono il dato più alto della lega.

Altro aspetto peculiare è l’elevato numero di triple, passato dai 36.6 tiri da oltre l’arco presi su 100 possessi nella scorsa stagione (nono dato più alto) ai 40.8 di questa stagione, che si posiziona al secondo posto di pochi decimi di punto agli Utah Jazz.

Rimettere Towns al centro del villaggio

Indubbiamente, i giocatori di Minnesota hanno imparato a muoversi senza il pallone, usando blocchi lontano dalla palla per tenere la difesa sulle spine e dare meno riferimenti possibili; la presenza di tre giocatori ball dominant come Karl-Anthony Towns, Anthony Edwards e D’Angelo Russell, comunque, fa si che i T’Wolves siano settimi per frequenza di isolamenti, che occupano il 7.7% dei loro possessi offensivi e producono 0.94 punti per possesso (quinto dato più alto di lega, seppur a parimerito con altre squadre).

KAT rimane l’All-Star della squadra, come testimonia anche la terza selezione in carriera per la gara delle stelle. Al di là delle solite eccellenti medie, Towns ha fatto un passo in avanti nel modo di giocare, un passo diverso, merito verosimilmente di una rinnovata serenità e, ovviamente, di coach Finch. Ha ridotto i tiri da 3 (5.1 di media) per il terzo anno consecutivo, così come i post up, solo 3.5 a gara, il dato più basso della sua carriera dall’anno da rookie. Pur giocando 2.6 isolamenti a partita, KAT viene sfruttato molto in situazioni dinamiche, sfruttando il movimento di qualche compagno che libera spazio o anche attraverso dei finti handoff:

Tre azioni che coinvolgono KAT in maniera dinamica. L’ultima clip è un ottimo esempio di come attaccare la difesa a zona (2-3, in questo caso), muovendo il pallone dal perimetro verso il centro, e poi ancora sul perimetro. Il taglio ad uscire di Jaylen Nowell libera spazio al centro della zona per KAT, che subito riapre oltre l’arco per McLaughlin. Forbes rimane giustamente nell’angolo dove si trova Prince, costringendo però Campazzo a coprire, invano, molto campo. Il pallone arriva al play dei T’Wolves che batte agilmente il closeout forte di Campazzo, creando una superiorità numerica e apparecchiando il canestro facile del lungo.

Nonostante l’ex giocatore di Kentucky abbia ridotto i possessi spalle a canestro, è molto facile vederlo operare in quella posizione sul lato sinistro del campo, sia per andare in uno-contro-uno a canestro grazie al posizionamento dei compagni, che tendono a lasciargli l’area quanto più aperta possibile, ma anche per un assist. Avere un lungo con queste mani è un lusso che non tante squadre hanno, e già a New Orleans Finch amava usare Zion Williamson in post, sfruttando la sua gravità nei confronti dei difensori per costruire tiri comodi per i compagni: è lui stesso a discuterne brevemente in questo video.

In entrambi i casi, le azioni prevedono un simil-taglio Iverson - un blocco per l’uscita del ricevente da un lato all’altro del campo - da parte di Edwards. Nel primo, KAT fa da solo mandando Jokic in sala pesi con un intero quarto di campo a disposizione. Nel secondo caso, invece, Russell finta il blocco per Edwards, tagliando a canestro e venendo premiato con un bellissimo passaggio schiacciato a terra.

Il supporting cast

A proposito di Edwards. Dopo i primi travagliati mesi nella stagione da rookie, il ragazzo della Georgia sta diventando un giocatore di impatto sia in attacco che in difesa. Oggi non è più solo un toro che attacca l’area caricando a testa bassa, ma è anche capace di costruirsi tiro dal palleggio, soprattutto da 3. Le penetrazioni a canestro sono leggermente aumentate (da 10.5 a 11 di media), mentre i punti sono rimasti pressoché identici (6.7 lo scorso anno, 6.8 in questa stagione). Ad essere migliorata è la sua precisione da oltre l’arco, passata dal 33% della scorsa stagione al 34.7% di quella attuale, con 1.3 tentativi di media in più. Edwards ha fatto enormi progressi nel tiro piedi per terra, ora convertiti con il 40% contro il 33.5% dello scorso anno, a fronte di un numero di tentativi pressoché identico (3.3 contro i 3.4 del 2020-21).

“AntMan” si è forse innamorato un po’ troppo del suo tiro da 3 dal palleggio come un bambino che non vuole smettere di giocare col suo nuovo giocattolo: da un anno all’altro la percentuale di triple tentate dopo aver effettuato 7 o più palleggi è quasi raddoppiata, dal 5.9% di frequenza della stagione 2020-21 all’11.5% attuale. Quando Edwards si intestardisce in questa conclusione raramente accadono buone cose (solo nel 27.2% dei casi, per essere precisi), ma essere diventato un buon tiratore piedi per terra è già un’ottimo punto di partenza per un giocatore che, prima della pausa dell’All-Star Game 2021, tirava con il 30% da oltre l’arco.

Indubbiamente Edwards deve migliorare nelle letture sulle penetrazioni, che non sempre sono ottimali: buttarsi a testa bassa finendo per prendere conclusioni contestate o per perdere palla è ancora un’abitudine che dovrà smussare.

Lo stesso fisico che ama usare in attacco gli torna utile in difesa. Edwards non è un difensore sull’uomo di alto livello o continuo nel rendimento, ma sta imparando quantomeno a sfruttare i suoi portentosi mezzi atletici. Non è facile capire già da ora se possa diventare un vero two-way player, ma l’ex università della Georgia ha tutti i mezzi per farlo, oltre a un allenatore che punta molto sulla “iperattività” difensiva.

Delle tre stelle della squadra, l’unica di cui non abbiamo ancora parlato è quella che, ormai due anni fa, arrivò via trade per dare una mano a Towns ed elevare la qualità del roster. Nella sua parentesi a Minnesota, D’Angelo Russell ha faticato tremendamente a trovare continuità dal punto di vista fisico, e anche in questa stagione ci sta riuscendo parzialmente, avendo già saltato 14 partite tra acciacchi fisici e positività al Covid. Fino a poche settimane fa, “D-Lo” aveva fatto un passo indietro in termini di scoring, aumentando però i giri del motore nelle gare post All-Star Game e segnando almeno 20 punti (con un season high di 37) in quattro delle ultime sei gare. Innegabile, però, è la sua crescita da un punto di vista della creazione del gioco e della leadership.

Dopo una gara, peraltro vinta, contro i Pistons, Russell ha chiamato a raccolta i “quiet-ass fans” dei Timberwolves, invitandoli non solo ad essere più rumorosi, ma anche a dare inizio alla tradizione di rimanere in piedi fino al primo canestro segnato dalla squadra di casa. Alcune settimane fa, inoltre, lo stesso Russell ha elogiato pubblicamente lo spirito di squadra, la voglia dei compagni di passarsi il pallone per aumentare la qualità del gioco e dei tiri; nonostante Minnesota sia nella parte bassa di Lega per passaggi effettuati a partita (279 di media), la squadra è comunque quinta per assist (25.4) e ottava per assist potenziali (48.5) a partita.

I suoi 7 assist di media rappresentano il massimo in carriera eguagliando quello della stagione 2018-19, mentre le 2.6 palle perse sono il dato più basso dalla stagione da rookie. Non si può nemmeno dire che Russell benefici particolarmente del movimento dei compagni: Minnesota è infatti 24^ per frequenza di utilizzo dei tagli e 26^ in punti per possesso in questa circostanza. L’unico giocatore che alza la media di squadra, almeno in termini di frequenza, è Jarred Vanderbilt, una delle note più liete di questa stagione. L’ex giocatore dei Nuggets è un “4” moderno, dal fisico asciutto, capace di andare forte a rimbalzo ma anche di cambiare su giocatori più piccoli di lui e inserirsi sulle linee di passaggio. Come anticipato in precedenza, è bravissimo a muoversi senza palla: è sesto in NBA per frequenza di tagli (32.6%), nonostante un'efficienza ridotta in questo fondamentale (1.16 punti per possesso, nel 29° percentile di lega):

La tripla di Russell nell’ultima azione nasce dal movimento di Reid prima e Vanderbilt poi. Il pallone in area per il centro dei T’Wolves costringe l’uomo di Vanderbilt ad uscire su di lui; a questo punto, Haliburton è costretto a ruotare per seguirne il taglio, lasciando però D-Lo libero dall’arco: Reid è bravo a leggere l’azione e a servirlo per la tripla a bersaglio.

Vanderbilt è anche, se non soprattutto, uno dei migliori rimbalzisti offensivi della Lega: ne tira giù 3.1 a gara, il nono miglior dato di Lega, di cui due contestati, meglio di giocatori come JaVale McGee, Montrezl Harrell e Joel Embiid. È anche uno dei migliori giocatori della Lega in situazione di transizione, nonché uno dei pochi che può alzare il livello di attività difensiva come piace a coach Finch.

Menzione d’onore, almeno per quanto riguarda il lato offensivo del pallone, per un altro giovane giocatore come Jaden McDaniels. Il ragazzo scelto alla 28 del Draft 2020 è l’ennesimo prodotto di Seattle ad emergere in un contesto NBA; assieme a Vanderbilt è il miglior giocatore della squadra in situazioni di taglio per frequenza e produttività - è secondo in entrambi i dati - oltre a mostrare sempre più frequenti lampi di bravura nell’uno-contro-uno, soprattutto se può andare al ferro, oltre ad un tiro che sembra poter diventare uno strumento efficace.

Difendi e corri

Il vero motivo della crescita della squadra di Chris Finch, però, sta in quello che i T’Wolves hanno imparato a fare nella propria metà campo. Che l’attacco sia salito di livello non c’è dubbio, ma è in difesa che i T’Wolves hanno compiuto il miglioramento più evidente, come supportato da alcune cifre.

Per capire di cosa si tratta, basta dire che la squadra è tra le migliori nella categoria di statistiche chiamata “hustle”, che significa grinta, ma anche confusione. Effettivamente stiamo parlando di una squadra che crea confusione agli avversari quando hanno palla in mano, per la loro capacità di sporcare palloni, ruotare con ordine ma anche utilizzare le qualità fisiche per sopperire a eventuali mancanze tecniche: giocare contro questo gruppo, specie in una regular season lunga e logorante come quella della NBA, può essere estremamente frustrante per chiunque. Minnesota è terza per deviazioni a partita (16.6), quarta per palloni recuperati in difesa (3.1) e quarta per sfondamenti subiti (0.65).

In entrambi i casi possiamo vedere come tutti i giocatori siano sulla stessa lunghezza d’onda, anche quando qualcuno di loro viene battuto. Nella prima clip si nota la difesa individuale di Patrick Beverley, il cui arrivo ha sicuramente innalzato l’aggressività e la competitività della squadra, ma anche l’aiuto di Russell, altro protagonista inaspettato, prima sulla penetrazione di Rozier e poi su quella di Plumlee. Dopo il closeout sul perimetro, Vanderbilt sembra battuto, ma riesce a recuperare e a infastidire Plumlee grazie alla propria apertura alare. Alla fine, Rozier riesce a prendersi un tiro comodo, ma che fatica. Discorso simile vale per il secondo caso, dove un ruolo fondamentale è svolto da Taurean Prince, che prima aiuta al ferro sulla penetrazione di Fox, e poi chiude l’area su quella di Lamb, che si vede così costretto a scaricare il pallone sul perimetro.

Un po’ di rubate assortite, quelle che permettono a Minnesota di correre così tanto. Minnesota è settima per frequenza di utilizzo del contropiede, che avviene nel 16.4% dei possessi offensivi di squadra, pur non essendo efficiente (1.07 punti per possesso, nel 17° percentile di lega).

Ovviamente, non stiamo parlando dei Lakers del 2020 in quanto a difesa: la squadra ha ancora i suoi vuoti, e non pochi. Il loro defensive rating (109.2) è dodicesimo in NBA, ma su questo sicuramente influisce il loro gioco offensivo particolarmente veloce - e talvolta poco razionale - che aumenta il numero dei possessi e, giocoforza, quello dei canestri subiti. La squadra è penultima in NBA per numero di triple concesse dagli angoli, il tiro più redditizio dopo quello al ferro. Sono inoltre quinti per numero di triple wide open concesse a partita, 18.4, convertite con il 38.7%, nonché la seconda squadra per transizioni subite, situazione in cui concedono oltre 21 punti, secondo peggior dato della lega.

Qualche esempio dei blackout di cui sopra, tra tagli non chiamati e raddoppi non necessari.

Work in progress

Se la difesa uno-contro-uno è, quasi sempre, frutto della “voglia” del giocatore, imparare a difendere di squadra è forse l’aspetto più complicato nella costruzione della stessa. Bisogna essere in grado di comunicare e bisogna essere sulla stessa lunghezza d'onda: spesso non basta aggiungere uno o due buoni difensori perché il risultato di squadra cambi, anche perché, specialmente in NBA, grande attacco batte grande difesa.

Quello che Karl-Anthony Towns ha sempre cercato prima dell’arrivo di Finch era un allenatore - e una dirigenza - che potesse dare al gruppo una direzione dopo anni passati ad accumulare scelte e la parentesi, tutto sommato fortunata ma brevissima, di Tom Thibodeau. Il licenziamento del President of Basketball Operations Gersson Rosas poco prima dell’inizio della stagione - avvenuto per motivi disciplinari - sembrava il preludio allo stesso film visto più e più volte.

E invece, questo potrebbe davvero essere il turno dei Timberwolves. Aspettarsi di fare strada ai playoff già in questa stagione è difficile: il sesto posto di Denver è distante due partite e mezza e l’imprevedibilità del play-in rende tutto più complicato, anche perché potrebbero trovarsi di fronte degli L.A. Clippers con Kawhi Leonard e Paul George, una contender per il titolo finita per caso nel play-in. Per i pazienti tifosi della squadra del Minnesota, però, è già tanto vedere un gruppo compatto seguire il proprio allenatore, salendo uno scalino alla volta. Visto com’era cominciata un anno fa, in cui sembrava davvero di assistere all’episodio pilota dell’ennesima demenziale sit-com made in Minneapolis, una stagione ampiamente sopra il 50% di vittorie è già da considerarsi un grande successo.

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