
Le prime dieci partite della carriera di Evan Mobley erano state così impressionanti per maturità e impatto difensivo da farci immediatamente scrivere un articolo su di lui, nonostante non fosse passato neanche un mese dal suo debutto in NBA. Negli ultimi tre anni mi sono ritrovato spesso a pensare di scrivere di nuovo su di lui per analizzare come e se era migliorato da quello sfolgorante debutto, ma non sono mai riuscito a trovare il momento giusto. Negli ultimi tre anni infatti Mobley è sembrato non progredire mai dal livello già alto da cui era partito, e a me restava la sensazione che ci fosse niente di nuovo da dire.
La crescita di un giocatore in NBA non è mai lineare, e quella di Mobley è stata per certi versi unica nel suo genere. I numeri del giovane lungo californiano sono stati pressoché identici nei suoi primi tre anni di carriera: si è attestato su un livello di rendimento complessivo medio-alto, con picchi di assoluto dominio nella metà campo difensiva e lampi di efficacia offensiva, che però sotto coach JB Bickerstaff non sono mai stati davvero continui. Mobley ha giocato sempre bene, ma senza mai diventare uno di quei giocatori che "spostano".
Il modo in cui ha concluso i playoff dello scorso anno ha però fatto intravedere qualcosa di diverso: dopo che Jarrett Allen si è infortunato all’addome, Mobley ha disputato l’intera serie contro Boston da unico lungo del quintetto e ha inanellato prestazioni sempre più convincenti contro i futuri campioni NBA, culminati con i 33 punti realizzati nella gara-5 che ha messo fine alla sua terza stagione. Non che quei Cavs avessero davvero una chance in quella serie, ma se non altro Mobley aveva concluso la sua seconda esperienza ai playoff in maniera ben più convincente rispetto alla prima, dove era sembrato semplicemente spaesato contro la fisicità dei New York Knicks nel 2023.
Si dice che coach Kenny Atkinson abbia ottenuto il ruolo di capo allenatore dei Cavs soprattutto grazie al piano di sviluppo per Mobley presentato alla dirigenza e alla proprietà della franchigia proprio, con il lungo individuato da subito come la chiave per sbloccare il vero potenziale del roster. Forse convinti dal piano illustrato dal coach, i Cavs hanno resistito alla tentazione di spezzare sia la coppia formata da lui e Allen, sia quella delle guardie Darius Garland e Donovan Mitchell, ripresentando lo stesso identico roster che era sembrato inadeguato a competere con Boston ai playoff.
Abbiamo già analizzato la striscia di 15 successi con cui i Cavs hanno cominciato questa stagione, lasciandoci a fine articolo con la promessa di scrivere più approfonditamente di Mobley. Ebbene, quel momento è arrivato - perché tra tutti gli elementi che hanno determinato il dominante inizio di stagione dei Cavs, il salto di qualità di Mobley è quello che ha il maggior peso specifico.
DOVE È MIGLIORATO EVAN MOBLEY
Arrivati ormai quasi alla boa di metà stagione, i Cavs stanno viaggiando a una velocità di crociera che potrebbe portarli a fine stagione a superare quota 70 vittorie come solo due squadre nella storia NBA, i Chicago Bulls del 1995-96 (72 vittorie) e i Golden State Warriors del 2015-16 (73 vittorie e 9 sconfitte). Con ogni probabilità questi Cavs non riusciranno a tenere questo passo, ma già solo che siano in ritmo per riuscirci ci dice tutto su che razza di stagione stiano mettendo assieme.
Volendo ridurre a un singolo elemento un fenomeno complesso come la crescita di una squadra da ottima a dominante, basterebbe questo dato: Evan Mobley sta tirando col 41.6% da tre punti in stagione su quasi 3 tentativi a partita. Sia la precisione che il volume sono entrambi fondamentali: il tiro da tre è un aspetto cruciale che rende quello dei Cavs il miglior attacco della lega (i Cavs sono la squadra che tira meglio di tutta la NBA) e Mobley è uno dei sei giocatori della rotazione che sta tirando sopra il 41% dall’arco. Ma Mobley non è diventato solamente un tiratore preciso: è diventato un tiratore volenteroso, e fa tutta la differenza del mondo.