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Non è più vero che la difesa da sola vince i titoli
23 apr 2025
Almeno in NBA, i dati dicono altro rispetto al mantra di Nico Harrison.
(articolo)
5 min
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Uno dei più famosi cliché dello sport statunitense sostiene che l’attacco vende i biglietti, la difesa vince i titoli. È un modo per invogliare i giocatori a dare il massimo nella propria metà campo, perché per quanto segnare valga attenzioni e interesse, è impedendo agli altri di farlo che si vincono le partite e di conseguenza i trofei. La storia attribuisce quella frase a Bear Bryant, leggendario allenatore degli Alabama Crimson Tide del football collegiale, ma è con il capo della dirigenza dei Dallas Mavericks Nico Harrison che quella frase, in particolare la seconda metà legata alla difesa, è diventata un meme.

Nico Harrison l’ha ripetuta per ben sei volte, con qualche variante, durante una chiacchierata a porte chiuse (no registrazioni, no telecamere, solo giornalisti selezionati: difficile definirla una conferenza stampa) della scorsa settimana, parlando per la seconda volta dopo lo scambio che ha portato Luka Doncic ai Los Angeles Lakers, la prima dopo le veementi proteste della tifoseria dei Mavs per quanto accaduto. Sostanzialmente la sua intera tesi difensiva per giustificare lo scambio che lo ha reso il nemico numero uno dei tifosi di Dallas gira attorno a questo: una frase che un allenatore degli anni ’70 e ’80 del football NCAA ha reso un mantra. Chiedendo a ChatGPT, sinceramente, se ne sarebbe potuto uscire con qualcosa di meglio.

I fotomontaggi, invece, sono solo all’inizio.


La frase di Harrison, poi, denota una preoccupante mancanza di conoscenza di come funziona la NBA di oggi, o ancor di più quella di domani. A differenza di molti altri sport, la pallacanestro è equa perché tutti i giocatori sono costretti sia ad attaccare che a difendere, e mai come in questa epoca farlo male in una delle due metà campo viene crudelmente esposto e attaccato dagli avversari. Sarebbe stato interessante chiedere a Harrison se ritenesse gli Orlando Magic (seconda miglior difesa della lega, ma 26° attacco) o gli Houston Rockets (quarti in difesa, 12° in attacco) competitivi per il titolo di questa stagione. Secondo il suo ragionamento, dovrebbero essere tra i favoriti per vincere il Larry O’Brien Trophy. Invece perché nelle rispettive gare-1 dei playoff sono entrambe andate a schiantarsi sui loro limiti offensivi?

È SOPRATTUTTO L'ATTACCO A VINCERE I TITOLI
I dati condivisi da Todd Whitehead di Synergy su X ci dicono che negli ultimi 45 anni solamente 7 squadre con un attacco fuori dalla top-10 della lega sono riuscite a vincere il titolo, mentre sono 4 le squadre capaci di conquistare l’anello pur con una difesa mediocre o peggio. Una discrepanza non così ampia da poter definire la metà campo difensiva così più importante rispetto a quella offensiva, anche perché tutte e 13 erano invece nella top-10 dell’altra metà campo. Le due cose sono chiaramente collegate.

Dovrebbe essere un ragionamento ovvio, ma evidentemente per Harrison non lo è.

Se invece limitiamo il campo di ricerca all’era odierna, facendola partire proprio dal titolo del 2011 dei Dallas Mavericks, notiamo che in quattro occasioni ha vinto una squadra con una difesa dalla 10^ posizione in giù, e solo in due occasioni è riuscita a vincere una squadra con un attacco fuori dalla top-10. Bisogna però fare delle specifiche: i Lakers del 2020, in una stagione fermata dal Covid, hanno chiuso all’11° posto in attacco, ma su un calendario da 82 partite avrebbero tranquillamente potuto chiudere in top-10 (e infatti ai playoff hanno avuto il terzo miglior attacco); gli Warriors del 2022, 17esimi per offensive rating su base stagionale, hanno avuto il loro secondo miglior realizzatore Klay Thompson solo per 32 partite dopo due anni di inattività — tanto è vero che poi ai playoff hanno avuto il terzo miglior attacco della NBA, oltre alla quinta miglior difesa.

Il trend comunque rimane chiaro: vince chi va bene in entrambe le metà campo.

Il basket è uno sport splendido proprio per le due metà campo che ogni giocatore è costretto a sviluppare, e non è un caso che a vincere siano le squadre che maggiormente riescono a schierare i cosiddetti two-way — atleti in grado di dare un contributo tanto in attacco quanto in difesa, o quantomeno che non risultino dannosi in una delle due fasi. Gli specialisti degli anni ’80 o ’90 trovano sempre meno spazio nella pallacanestro di oggi: non basta più saper fare una cosa molto bene, ma serve saper fare un po’ di tutto — e soprattutto non avere un chiaro ed evidente difetto attaccabile dagli avversari, che diventano sempre più spietati nel giocare contro le debolezze altrui per ricavarne un vantaggio.

Se un giocatore non è in grado di tirare o di mettere palla per terra in attacco, creando quindi un danno alla sua squadra con la sua sola presenza in campo, inevitabilmente vedrà il suo minutaggio calare con l’andare dei playoff. Allo stesso modo, se un giocatore è deficitario nella metà campo difensiva, verrà preso di mira dalle stelle avversarie come se girasse con un bersaglio delle freccette piantato sul petto e sulla schiena. Da questo punto di vista non esiste uno sport spietato come la pallacanestro.

In un gioco di flusso e di transizione come il basket di oggi, non si può più ragionare a compartimenti stagni: tutto è interconnesso e interdipendente, e una metà campo ha enorme impatto sull’altra senza soluzione di continuità. Gli Oklahoma City Thunder hanno chiuso la regular season con una delle migliori difese della storia della NBA, ma si sono potuti permettere di costruire un roster con così tanti difensori eccezionali anche perché nella metà campo offensiva c’è un fenomeno come Shai Gilgeous-Alexander in grado di nasconderne i limiti e di produrre punti per tutti. Senza di lui, Sam Presti e Mark Daigneault avrebbero dovuto reinventare la squadra da zero.

Le squadre che meglio riescono a interpretare questo spirito del tempo sono quelle che si danno le maggiori chance di vincere; quelle che invece hanno ancora alla guida persone che ragionano con una mentalità di 30 anni fa, invece, rischiano di cedere un talento generazionale come Doncic senza essere ancora riusciti a dare giustificazioni dopo mesi di tempo per trovarne una.

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