Non è stato certo un segreto che, da quando lo scorso autunno Daryl Morey ha preso in mano il timone dei Philadelphia 76ers, la suggestione di vedere James Harden in Pennsylvania ha preso sempre più forma, fino a sfumare quando mancavano ormai poche pennellate. Alla fine del lungo e acrimonioso tira e molla con Houston, Harden si è trasferito a Brooklyn, formando un nuovo Big Three sulla costa orientale e rinforzando una diretta concorrente della stessa Division dei Sixers. E mentre ai Nets è emersa una nuova candidata forte per il trono della Eastern Conference, Philadelphia è rimasta con i soliti grossi dubbi di chi non ha avuto il coraggio o la volontà di andare fino in fondo, nonostante abbia finalmente un roster sensato e competitivo.
Morey non si è comportato da Morey
Al netto delle tante speculazioni che sono rimbalzate durante questi ultimi mesi, sia Philadelphia che Brooklyn sono state le uniche due destinazioni davvero credibili per Harden. Ai Sixers avrebbe riabbracciato il suo mentore Daryl Morey, che otto anni fa era andato a prenderlo a Oklahoma City per trasformarlo nella macchina offensiva più letale della NBA, in una squadra alla disperata ricerca di un realizzatore di alto livello da affiancare a Joel Embiid. Mentre ai Nets avrebbe trovato il suo vecchio compagno Kevin Durant, il suo allenatore preferito nel coaching staff in Mike D’Antoni e un’organizzazione decisa a ipotecare una bella fetta del proprio futuro pur di vincere subito.
Un investimento pesantissimo sul futuro a medio e lungo termine della franchigia (precisamente tre prime scelte e quattro possibilità di scambio) che Philadelphia alla fine non si è sentita di giustificare, visto che oltre agli asset in termini di scelte avrebbe dovuto mettere sul piatto della bilancia anche Ben Simmons, il giocatore più importante tra tutti quelli ventilati nei vari pacchetti. Simmons infatti è stato sempre definito come la condicio sine qua non per far funzionare lo scambio, rispondendo alla richiesta dei Rockets di ricevere un All-Star giovane come contropartita per il Barba. E le varie veline che erano trapelate lo avevano indicato più volte con un piede fuori dalla porta, al punto da portare qualche settimana fa Daryl Morey a rispondere per mezzo stampa.
https://twitter.com/ShamsCharania/status/1339730860107554816
Un’uscita pubblica con l’obiettivo di distendere gli animi e tranquillizzare lo spogliatoio, togliendo di fatto dal mercato uno dei migliori giocatori del roster. Ma Morey aveva fatto lo stesso un paio di anni prima con Chris Paul, dichiarandolo incedibile per poi scambiarlo dopo poco tempo; in quel caso era stata determinante la pressione ricevuta da Harden, che non voleva più dividere il campo con CP3 a causa le celebri tensioni tra i due dopo la finale di Conference persa nel 2018. E l’ascendente di Harden su Morey è continuato anche a centinaia di chilometri di distanza, tanto da costare al capo delle Basketball Operation dei Sixers una multa per tampering a causa di un tweet - molto probabilmente automatico - che celebrava un traguardo di Harden a Houston.
D’altronde nessuno in NBA conosce meglio il reale valore di Harden quanto Morey, e allo stesso tempo tutta la NBA sa perfettamente quanto Morey sia legato a Harden, tanto da definirlo come “colui che mi ha cambiato la vita”. Lo sapevano ovviamente gli Houston Rockets, che hanno approfittato della loro posizione di controllo su insider e giornalisti (essendo loro protagonisti della storia più importante del mercato, ovvero la cessione di Harden) per mettere pressione sui Sixers d innescare l’asta al rialzo le varie pretendenti. Proprio la sera stessa della trade Mark Stein, giornalista del New York Times e uno dei veterani più rispettati nel circuito, aveva scritto su Twitter come i Sixers stessero lavorando a un pacchetto che avrebbe dovuto comprendere Ben Simmons, Tyrese Maxey e scelte al Draft. Altre fonti invece mettevano Simmons insieme a Matisse Thybulle, con uno scambio considerato per “fatto” tanto da avvisare gli agenti dei due giocatori della possibilità che fossero ceduti. Evidentemente alla fine Morey e il GM Elton Brand hanno ritenuto che il prezzo richiesto si era alzato troppo e aveva superato il limite che si erano prefissati all’inizio della trattativa, scegliendo quindi di rinunciare alla superstar dei Rockets e spingendo di fatto Harden nelle mani di Brooklyn.
https://twitter.com/TheSteinLine/status/1349453856569253889
L’offerta dei Nets era credibilmente sul tavolo del GM dei Rockets già da qualche tempo (non si imbasitiscono trade con quattro squadre in poche ore) e si aspettava solo il possibile rilancio di Morey per ufficializzarla. Quando questo non è avvenuto, e mentre Harden in conferenza stampa tagliava definitivamente ogni ponte con la sua ormai ex-squadra, il G di Houston Rafael Stone ha premuto il grilletto dello scambio, assicurandosi Victor Oladipo e tante scelte al Draft per compensare quelle sacrificate dall’amministrazione precedente per arrivare a Russell Westbrook.
Costruire intorno a Embiid
Morey ha combattuto a lungo con la sua natura, quella di effettuare mosse spettacolari e accumulare talento purissimo a tutti i costi, e soprattutto ha rinunciato al giocatore che negli anni ha definito il suo approccio rivoluzionario al gioco della pallacanestro. Una privazione dolorosa, ma ponderata e sulla quale hanno influito anche i buoni risultati ottenuti dalla squadra in questo primo scorcio di stagione.
I Sixers sono già passati attraverso una cosmesi invasiva appena Morey è atterrato a Philadelphia, mettendo più tiro e ballhandling intorno alla coppia formata da Joel Embiid e Ben Simmons. E per quanto nessuna delle partite di questo strano periodo della stagione non sembrano in grado di darci delle indicazioni chiare, tra roster dimezzati e gare cancellate, i Sixers hanno deciso di dare un anno di prova a questo gruppo prima di premere nuovamente il pulsante dell’autodistruzione.
La ristrutturazione avviata in estate ha avuto il merito di mettere in mano al nuovo arrivato Doc Rivers un gruppo più efficace nel massimizzare le qualità di Joel Embiid, garantendogli più spazio con il quale operare in post basso e letture più facili per uscire dai raddoppi. Una libertà che il camerunense sta sfruttando in maniera sensazionale, con un inizio da serio candidato MVP dominando su entrambe le metà campo.
Quando Embiid scende in campo i Sixers hanno un record di 9 vinte e 2 sconfitte, e soprattutto un +17.8 di Net Rating nei minuti che passa sul parquet, dovuto soprattutto ai quasi 12 punti in più per 100 possessi realizzati in attacco. Una netta inversione rispetto allo scorso anno, quando quest’ultimo dato era addirittura negativo (-3.3 per Cleaning The Glass) tanto per ricordare quanto fosse disfunzionale il roster dei Sixers, e di come circondare Embiid con tiratori sia un’idea sicuramente più sensata di giocare a basket. Con più spazio per operare, Joel può ridicolizzare in uno contro uno il diretto difensore ricorrendo a ogni mossa del suo repertorio.
Inoltre, con un campo finalmente spaziato, Embiid riesce a punire con maggior frequenza i raddoppi e la gravità che impone sulle difese avversarie, trovando direttamente il tiratore pronto a colpire o innescando rotazioni che generano punti facili. Se la percentuale di assistenze e palle perse non differiscono troppo da quelle delle scorse stagioni, l’attacco dei Sixers è molto più fluido nell’uscire dalle situazioni di post per creare tiri puliti, specialmente da dietro l’arco.
In particolare l’aggiunta di Seth Curry è stato un toccasana per le spaziature dei Sixers, con Embiid che può finalmente ritrovare quella dinamica che aveva costruito con JJ Redick con il fratello di Steph, un tiratore mortifero in situazioni sia di movimento che di catch & shoot. Non è un caso che nelle partite nelle quali entrambi sono potuti scendere in campo i Sixers hanno sempre vinto, segnando quasi 125 punti su 100 possessi nei minuti che hanno condiviso.
In queste prime partite l'attacco dei Sixers ha creato una tripla dagli angoli in un possesso a metà campo su dieci, l'anno scorso era solo al 7.3%.
Ma tutti i Sixers stanno beneficiando dello spazio aggiuntivo e del semaforo verde da dietro l’arco, aumentando il volume di tentativi e avvicinandosi a essere una squadra moderna di basket. Certo, aver sostituito due tiratori mediocri e riluttanti (o forse riluttanti poiché mediocri) come Josh Richardson e Al Horford con due invece estremamente propensi a lasciar andare il pallone in Seth Curry e Danny Green ha aiutato non poco, ma anche un tiratore solitamente riflessivo come Tobias Harris sembra rigenerato. Come visto agli LA. Clippers, Harris sembra dare il meglio di sé quando viene allenato da Rivers, che è in grado di sbloccarlo psicologicamente e di lasciarlo giocare più leggero: non ferma più il pallone per poi intestardirsi in inutili piedi perni, non rinuncia più a triple aperte per infognarsi in long 2s, e dopo un tragico esordio stagionale sta arrivando al livello che i Sixers si aspettano da lui (e dal suo contratto).
L’infortunio alla caviglia di Curry, così come i tanti stop cautelativi previsti dal protocollo NBA contro il COVID-19, ha reso più lento del previsto creare la giusta sinergia con un nuovo gruppo e ha inficiato anche il record di squadra, che è sceso a 9-5. Ma è indubbio che con poche mosse ben assestate Morey abbia ridato immediatamente senso a una squadra che solo qualche mese fa era destinata a invecchiare come una delle peggio assemblate nella storia recente. Ora invece è coerente con la visione del nuovo allenatore e adatta a mettere il proprio miglior giocatore nelle condizioni più favorevoli per brillare: è stato quindi giusto non aver chiuso la trade per James Harden?
Il peso sulle spalle di Ben Simmons
Nonostante alla fine sia rimasto a Philadelphia, Simmons dovrà convivere nei prossimi anni con il paragone con James Harden e non sarà facile doversi misurare con un talento generazionale come è e rimane il Barba. E le prime uscite dopo il non-scambio non sono state serene per i tifosi 76ers: mentre Harden si sfilava il costume da omino Michelin e chiudeva in tripla doppia la sua prima partita in maglia Nets, Simmons guidava alla sconfitta sul campo di Memphis i Sixers senza Embiid, sfiorando anche lui in tripla doppia ma aggiungendo anche sette palle perse. Tre sere prima aveva chiuso anticipatamente la prima sfida stagionale contro dei rattoppati Miami Heat per falli e aveva osservato dalla panchina Embiid trascinare i suoi alla vittoria al supplementare.
Simmons è rimasto in attesa delle decisioni della sua dirigenza, sospeso in quel limbo che contraddistingue il tira e molla delle trattative attorno a una superstar, e non ha mai apertamente manifestato insofferenza o delusione. Ma è indubbio che l’incertezza degli ultimi mesi abbia in qualche modo inficiato la serenità del playmaker dei Sixers, che nonostante le parole d’amore riservategli da coach Rivers (il principale sostenitore del non-scambio per Harden) sta vivendo un inizio di stagione poco entusiasmante.
Ormai al quarto anno sui campi NBA, il playmaker australiano deve dimostrare di valere la fiducia che gli hanno accordato i piani alti della franchigia, facendo quel passetto in avanti che lo porterebbe fuori dalla comfort zone dove ormai è rannicchiato. Oltre alle solite e già discusse inibizioni al tiro o sull’uso della mano sbagliata, Simmons sembra essere regredito anche nelle cose che faceva molto bene a inizio carriera, come attaccare il ferro e mettere pressione alle difese avversarie. Quest’ultime ormai hanno imparato a contenerlo, forzandolo ad attaccare usando la mano forte per palleggiare che però non è la stessa per tirare, il che porta a soluzioni acrobatiche ad altissimo grado di difficoltà per finire girando attorno al ferro.
La mancanza di un gioco dalla media distanza per rispondere agli aggiustamenti della difesa e la poca voglia di accettare il contatto per paura di andare in lunetta lo rendono poco efficace quando c’è da sfruttare il cuscino che gli viene lasciato sfidandolo al tiro da fuori. Mai come in queste prime partite Simmons sta tirando poco e male al ferro, dimostrando una certa mancanza di esplosività oltre che di tocco. E spesso le sue penetrazioni in linea retta vengono interrotte ancora prima di arrivare al ferro, fermandosi in spicchi di campo sconsiderati e con una pessima postura del corpo, diventando immediatamente delle palle perse.
I possessi che fanno uscire di testa i tifosi dei Sixers.
I turnover sono sempre stati un problema per Simmons, ma in questo inizio di stagione - complice la poca fiducia con il pallone in mano - stanno sfiorando il ridicolo, arrivando in quasi un quarto dei possessi a metà campo. Certo, l’australiano è ancora oggi un passatore di alto livello, il quinto migliore assistman nella lega e uno dei più efficienti quando deve servire i propri compagni oltre l’arco, ma alcune ritrosie nel suo gioco stanno diventando patologiche e potrebbero mettere un limite a questa versione dei Sixers.
Philadelphia sta cercando di far convivere due talenti molto particolari costruendo attorno a loro un habitat adatto alle peculiari caratteristiche delle sue stelle, ma per quanto per ora sembri funzionare non è detto che possa bastare. La storia della NBA infatti ci insegna come in epoca recente nessuno sia riuscito ad arrivare fino in fondo senza avere un creatore primario perimetrale in grado di prendere in mano l’attacco per larghi tratti di partita, specie nei momenti più caldi. Ai playoff, quando le difese sono tagliate su misura per fermare le prime opzioni, bisogna avere qualcuno in grado sia di segnare che di creare vantaggi con continuità.
In quel ruolo i Sixers sono stati fortunati dal trovarsi in casa Shake Milton, che dopo essere esploso durante la scorsa stagione si sta confermando un attaccante di primo livello in uscita dalla panchina. Milton, scelto a metà secondo giro nel 2018 sta viaggiando a quasi 17 punti di media con oltre il 62% di percentuale reale, e tra i giocatori in maglia Sixers è quello con la percentuale di più alta di canestri non assistiti, ma non gli si può chiedere di sostenere un attacco ai playoff insieme a Embiid.
Magari dopo un’altra annata deludente Morey deciderà di muoversi per acquistare quel tipo di giocatore - ad esempio cercando di trascinare via Bradley Beal da Washington - ma superstar del livello di James Harden non sono quasi mai sul mercato, figuriamoci disponibili a venire della tua squadra. E negli ultimi anni abbiamo visto come andare all-in - dai Toronto Raptors con Kawhi Leonard ai Lakers con Anthony Davis - sia l’unico modo per darsi una chance realistica di vincere un titolo.
I Sixers hanno deciso di non prendersi questo rischio e di mantenere intatto il proprio futuro, nella speranza che il tempo gli dia ragione. Ma, specialmente di questi tempi, meglio non fidarsi troppo del lungo periodo.