Da un punto di vista razionale, non c’era alcun motivo per cui i Phoenix Suns dovessero essere invitati nella bolla di Orlando. Le proiezioni di Kevin Pelton di ESPN davano letteralmente lo zero percento di possibilità alla squadra di Monty Williams di raggiungere l’ottavo posto nella Western Conference e meno dell’1% di chance di agguantare il nono per forzare lo spareggio play-in. Una percentuale talmente bassa che secondo molti la loro presenza era superflua, specie con il rischio che comportava avere una quarantina di persone in più nella bolla con la pandemia al suo picco.
La bellezza dello sport però è anche che le cose più inaspettate possono accadere. I Phoenix Suns ci hanno regalato due settimane incredibili, vincendo tutte le otto partite nella bolla di Orlando e dando vita a una corsa ai playoff durata fino all’ultimo possesso dell’ultima partita che contava qualcosa. Vincere sempre e comunque era l’unica cosa che potesse permettere ai Suns di rimanere in corsa, e così hanno fatto: dopo aver battuto gli Washington Wizards nella prima partita della bolla, i Suns hanno cominciato a crederci superando Dallas e gli L.A. Clippers in back-to-back, con la vittoria contro i losangeleni arrivata sulla sirena grazie al singolo highlight delle partite di Orlando.
Paul George lasciato sul posto, l’aiuto di Kawhi Leonard mandato a vuoto, il tiro della vittoria di nuovo contro le braccia protese di PG13 dopo uno svitamento (e con un fallo non fischiato): Kobe Bryant would be proud.
La corsa dei Suns avrebbe potuto interrompersi contro gli Indiana Pacers dell’infuocato ex TJ Warren, invece hanno vinto anche quella in una gara in cui Booker ha pensato più a passare il pallone (10 assist) che a metterlo nel canestro (20 punti), mostrando di essere diventato un giocatore ancora più completo. Con un po’ di fortuna, i Suns hanno poi approfittato delle assenze di Oklahoma City e Philadelphia per presentarsi all’ultima partita con una residua chance di conquistare i playoff, superando infine anche le (scarse) resistenze dei Dallas Mavericks per poi rinchiudersi in stanza a tifare per i Brooklyn Nets. La squadra di New York si è impegnata fino all’ultimo e ha avuto il tiro per vincere contro Portland, ma l’errore di Caris LeVert ha condannato Phoenix a rimanere fuori dai playoff per il decimo anno consecutivo.
A rendere ancora più speciale la cavalcata dei Suns è stato il fatto che ci sono riusciti senza Kelly Oubre e Aron Baynes - due giocatori chiave per la loro rotazione - e con un gruppo formato quasi interamente da under-26 con la sola eccezione di Ricky Rubio, che deve ancora compiere 30 anni ed è già trattato come il veterano saggio dello spogliatoio. Proprio il fatto di avere un gruppo poco testato a livello di partite che contano — con 24.6 anni di media sono la squadra più giovane della bolla — ha reso così interessante il rendimento nella bolla di Orlando: per molti giocatori si è trattata della prima esperienza nella quale si stavano realmente giocando qualcosa e la risposta è stata entusiasmante, specialmente in termini di spirito di squadra. Se si tratti solo di una magia disneyana di qualche settimana o se sia realmente sostenibile è il grande tema che li accompagnerà fino all’inizio della prossima stagione, quando e se si potrà svolgere.
Dove sono migliorati i Suns
Vedendo il rendimento così diverso dei Phoenix Suns rispetto alla regular season, è inevitabile chiedersi cosa sia stato fatto di differente rispetto a ciò che si era visto fino a marzo. In realtà anche a inizio stagione i Suns erano andati molto bene cominciando semplicemente a fare le cose normali, salvo poi perdersi con la lunga sospensione da 25 partite di Deandre Ayton e con un ritorno sulla terra delle percentuali di Aron Baynes.
Con un campione di gare così ristretto, bisogna anche provare a togliere un po’ di “rumore” ai dati dei Suns, che al momento li vedrebbero come il 2° miglior attacco e la 4^ miglior difesa della bolla. Se il primo dato è comunque sostenuto da buone percentuali al ferro e un basso numero di palle perse, il secondo è influenzato non solo dalle già citate assenze o scarse motivazioni degli avversari, quanto soprattutto dal 32.2% da tre concesso in difesa (di cui un fortunato 20% dagli angoli). In più i Suns hanno concesso molti tiri al ferro, pur facendo un buon lavoro nel difenderli e nel limitare le conclusioni da tre degli avversari. Su base stagionale e con una normalizzazione dei dati, la difesa di Phoenix non sarebbe così buona come è apparsa a Orlando.
Ad esempio, i miglioramenti nella metà campo difensiva di Ayton erano chiari già prima che si ricominciasse a giocare, anche se — come scritto da Ben Falk di Cleaning The Glass — ci sono ancora azioni in cui alcuni errori di posizionamento e lettura sono ancora evidenti. D’altronde lo stesso bahamense ha ammesso nel podcast di Adrian Wojnarowski di aver cominciato a studiare i filmati solamente durante la sospensione («Sono diventato uno studente del gioco, prima non mi avrebbero mai convinto a vedere una partita in cui non c’ero io») ed è evidente che ci sia ancora del margine di miglioramento — una splendida notizia per i tifosi dei Suns e una preoccupante per il resto della Western Conference.
«Siamo entrati in questa bolla con il sincero pensiero di affrontare un allenamento, una sessione video e una partita alla volta» ha detto Monty Williams a The Undefeated parlando dei suoi giocatori, che a un certo punto ha sorpreso buttandosi in piscina completamente vestito per togliersi la patina di “allenatore serio” che si sentiva addosso. «Puoi raccontare a una persona di un posto, ma fino a che non ci vanno e non lo provano, non possono sapere com’è. Lo stesso vale per i playoff e le partite con qualcosa in palio: si crea un legame diverso. I ragazzi erano già un gruppo unito, ma ora si sacrificano l’uno per l’altro. L’esperienza non si può rimpiazzare con nulla: la speranza è che questo serva per costruire qualcosa negli anni a venire».
Lo spirito di squadra mostrato dai Suns è stato effettivamente rinfrescante, specie dopo anni in cui tutti sembravano andare in direzioni diverse. Merito del lavoro del general manager James Jones, che ha saputo costruire con criterio la squadra attorno a Devin Booker: innanzitutto mettendogli di fianco Ricky Rubio, che gli ha permesso di giocare meno possessi con il pallone in mano (-10% di pick and roll rispetto allo scorso anno) ma di maggiore qualità e con maggiori risultati, oltre che rimanere efficiente in uno contro uno.
Kevin O’Connor di The Ringer ha sottolineato come la selezione di tiro di Booker possa fare ulteriormente un passo in avanti: tenta ancora solo 3.3 triple dal palleggio (4.1 nella bolla) e preferisce ancora i tiri dalla media distanza, ma modificando qualche sua tendenza potrebbe essere ancora più efficace.
In più il trio di ali formato da Oubre, Mikal Bridges e Cameron Johnson fornisce giocatori intercambiabili e con caratteristiche peculiari (il primo più realizzatore, il secondo è il miglior difensore della squadra, il terzo tiratore puro) che permettono di strutturare i quintetti a seconda delle necessità con una flessibilità invidiabile.
La grande differenza rispetto alla regular season è però il rendimento della panchina. I titolari dei Suns infatti hanno sempre mantenuto Net Rating positivi durante la stagione (Booker +2.7, Rubio e Ayton +4), mentre la panchina non riusciva a difendere il vantaggio accumulato. A Disney World invece i giocatori con i migliori differenziali su 100 possessi sono principalmente riserve, a partire dalle due guardie Cameron Payne (+23.1 in 183 minuti) e Javon Carter (+18.1 in 191 minuti). Il primo, in particolare, sembrava destinato a una carriera lontano dagli Stati Uniti, invece si è ritagliato il suo posto dopo un’ottima stagione in G-League e ha tirato in maniera incredibile a Orlando, con il 58.7% di percentuale effettiva (nessuno meglio di lui) e sembrando finalmente un giocatore NBA.
Cosa rimane in vista del prossimo anno
Se i Suns sono diventati la squadra-simpatia della bolla di Orlando è anche per l’incredibile lavoro fatto dai social media manager della squadra, che a Disney World hanno trovato l’ispirazione regalando perle su perle e intrattenendo quasi quanto la squadra in campo. La loro battaglia alla ricerca di attenzione è cominciata già a metà bolla quando la rimonta dei Suns, seppur pronta a spegnersi alla prima sconfitta, dipendeva anche dalle sconfitte degli altri, commentando con disappunto ogni successo che andava contro i propri interessi.
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Nell’ultima giornata poi hanno dato il massimo, tirando fuori perle dimenticate come la maglia dell’All-Star Game con il logo dei Brooklyn Nets indossata da Devin Booker in vacanza con D’Angelo Russell.
I Suns alla fine non possono avere nulla da rimproverarsi: non avrebbero potuto fare niente di più di quello che hanno fatto a Orlando e dovranno fare tesoro delle esperienze accumulate per poterle sfruttare anche nella prossima stagione. L’importante sarà evitare di commettere lo stesso errore fatto nel 2014, quando una squadra costruita per tankare trovò improvvisamente una chimica assurda vincendo 48 partite e rimanendo di pochissimo fuori dai playoff. Invece di essere un punto di partenza quella squadra però rappresentò il punto di arrivo di quel gruppo, a cui venne aggiunto anche Isaiah Thomas creando un mostro a tre teste con Eric Bledsoe e Goran Dragic che è stato poi risolto cedendone due e firmando un contratto orrendo come quello dato a Brandon Knight.
Questi Suns devono essere bravi a non perdere la testa e a continuare sul percorso che hanno intrapreso bene in questa stagione: continuare a costruire attorno a Booker e Ayton, cambiare la cultura della squadra (che passa anche da scelte sbagliate dal punto vista del mercato come cedere TJ Warren e una seconda scelta per cash considerations, ma che vanno nella direzione di voler cambiare lo spogliatoio) e affrontare ogni partita come se in palio ci fosse qualcosa, che per i Suns può anche banalmente dire un record superiore al 50% (accaduto una sola volta nell’ultimo decennio in quel famoso 2014) prima ancora che puntare ai playoff in un Ovest sempre più competitivo.
Quando si concluderà la stagione la dirigenza dovrà prendere delle decisioni importanti, a partire dai rinnovi di Dario Saric e Javon Carter (restricted), Aron Baynes (unrestricted) e le team option su vari giocatori (Cameron Payne, Cheick Diallo e Frank Kaminsky). Con 83 milioni già impegnati per il roster dell’anno prossimo e un salary cap di cui ancora non si ha alcuna certezza, non è chiaro quali possano essere gli obiettivi sul mercato di questa squadra, ma una cosa si può dire: nella bolla si è visto che non serve andare subito all-in su un grande nome dal contratto pesante (nel recente passato si erano fatti quelli di Blake Griffin e Kevin Love), ma si può capire dove può arrivare questo gruppo così giovane con una stagione completa a disposizione. E anche se non sono rimasti per giocarsi i playoff, nessuna squadra se ne va da Orlando in condizioni migliori di come è arrivata quanto i Phoenix Suns.