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Il basket dei playoff e il metro arbitrale
28 apr 2025
I recenti falli di Dort e Thompson sono volontari o solo il risultato della durezza del basket dei playoff?
(articolo)
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Qualche giorno fa, verso la fine del primo quarto di gara-2 tra Golden State Warriors e Houston Rockets, Amen Thompson è caduto testa e spalle addosso a Jimmy Butler, che si trovava in aria per andare a raccogliere un rimbalzo. La spinta di Thompson ha ribaltato Butler, che dopo aver fatto leva sull’avversario è ricaduto a terra pesantemente con il fondoschiena. Praticamente per lui è stato come cadere di schiena, e di slancio, da un muro alto un metro e mezzo o due.

Butler è rimasto qualche minuto a terra dolorante, si è rialzato, ha tirato i liberi del fallo, e zoppicando ha provato a continuare a giocare evidentemente indolenzito. È rimasto in campo per un paio di azioni per poi uscire a testa bassa e non tornare più nella partita. La successiva lastra non ha rilevato niente di rotto, ma il giocatore di Golden State ha saltato anche gara-3 ed è in dubbio per gara-4.

In campo gli arbitri hanno fischiato un normale fallo da gioco ad Amen Thompson (cioè non un flagrant o peggio), mentre in telecronaca Stan Van Gundy ha subito fatto notare come il giocatore dei Rockets era «stato un po’ spinto», quasi a giustificare il suo intervento e il seguente infortunio di Butler. Dopo la partita, invece, si è discusso molto, e in maniera molto accesa (eccessiva?), sull’intervento, in una divisione manichea tra colpevolisti e innocentisti.

Ovviamente la discussione non è stata sul fallo in sé, ma sulla sua volontarietà. Amen voleva fare male a Butler di proposito? La “volontarietà” è un concetto che negli sport da contatto è difficile da definire, soprattutto in uno come il basket dove spinte, sbracciate, salti, gomiti larghi e ancate fanno indissolubilmente parte del gioco, che siano all’interno di quanto è permesso dal regolamento oppure oltre. Come valutare se un fallo è duro ma all’interno delle regole cavalleresche del gioco o piuttosto è un atto deliberato di far male a un avversario?

L’intervento di Thompson finisce abbastanza comodamente in questa zona grigia del basket, tanto che in inglese esiste un termine preciso per definirlo: undercut, che si riferisce a quando un giocatore spinge o tocca un avversario nella parte bassa del corpo (di solito mentre è in salto), facendogli perdere l’equilibrio. L’undercut è sempre un intervento pericoloso, perché può causare brutte cadute e infortuni seri, ma non è sempre volontario.

In questo caso specifico, a vederlo in diretta, Thompson sembra tuffarsi di testa in maniera quantomeno imprudente verso Butler, tanto che qualcuno sui social lo ha paragonato all’iconico gol di Van Persie contro la Spagna. Guardando meglio, però, non si può non notare come il suo tuffo potrebbe essere causato da quanto avviene alle sue spalle.

Se prendiamo come riferimento il video rallentato e cerchiato di giallo nel punto giusto postato da questo account X, riconducibile a un tifoso di Houston, Thompson frana addosso a Butler perché Podziemski gli spinge addosso il ben più grosso Adams (che non fa molto per resistere) e perché Green cerca di tenerlo dietro con la gamba destra. Essendo coinvolto anche Green, che ha una storia riconosciuta di giocate antisportive, c’è anche chi ha provato a girare la questione, sostenendo la colpa fosse sua, a partire da Dillon Brooks (anche lui con una fedina penale non proprio immacolata).

Interrogato dopo la partita, Udoka, l’allenatore dei Rockets, ha fatto notare come non esiste al mondo un giocatore che possa fare un fallo violento e volontario buttandosi di faccia addosso all’avversario, lasciando intendere che esiste un istinto di conservazione anche se sei un atleta straordinario come Thompson, che può piegare la gravità al suo volere.

Anche Kerr, l’allenatore degli Warriors, ha sostenuto come, sebbene fosse un fallo duro, non credeva fosse stato volontario, ma solo all’interno del livello fisico tenuto dai Rockets nella serie (che ha paragonato a una di quelle serie degli anni ‘90, dove prima ci si menava e poi si giocava a basket).

Quindi, fallo totalmente involontario?

Ecco però che, invece, prendendo in considerazione quest’altra inquadratura, può sembrare che Thompson si aggrappi alle gambe di Butler e le spinga in avanti, con l’intento di provocarne una brutta caduta.

Per chi sostiene questo punto di vista, qui mostrato da un account riconducibile a un tifoso dei Golden State Warriors, il giocatore dei Rockets avrebbe deliberatamente messo a rischio l’incolumità di Butler, che poteva finire anche molto peggio (se invece che di fondoschiena fosse caduto di testa?). Thompson quindi dovrebbe essere squalificato, se non a vita, almeno per tutti i playoff. La sua sarebbe quella che negli Stati Uniti chiamano dirty play, una giocata sporca: un atto volontario, riuscito, di infortunare l’avversario. Qui subentra anche una sorta di complottismo: il sottinteso è che Thompson agisca volontariamente perché quello è Jimmy Butler, playoff Jimmy, uno dei migliori giocatori della NBA. Toglierlo dalla serie sarebbe un vantaggio non da poco per Houston, e questo giustificherebbe la volontarietà. Se al posto di Butler ci fosse stato Gui Santos o Quentin Post (o Kuminga), Thompson non lo avrebbe fatto, o il suo intervento sarebbe stato al massimo scomposto, non volontario.

Ma andiamo avanti, perché poche ore dopo, a circa due minuti e mezzo dalla fine del secondo quarto della gara-3 tra Oklahoma City Thunder e Memphis Grizzlies, Scottie Pippen Jr. per evitare il recupero di Lu Dort alle sue spalle ha eseguito un passaggio schiacciato all’indietro verso Ja Morant che arrivava a rimorchio a tutta velocità. Sul successivo tentativo di schiacciata, Morant è franato addosso a Dort, ricadendo anche lui con slancio e dall’alto, non col fondoschiena ma sull’anca. Un altro undercut.

Come Butler, Morant è rimasto a terra qualche minuto, poi si è rialzato molto dolorante, ha tirato i due liberi (sbagliandoli) per poi uscire direttamente dal campo e non tornare più. Anche lui ha saltato la partita successiva, quella che ha chiuso la stagione dei suoi Grizzlies.

In campo gli arbitri, dopo aver fischiato un normale fallo (come per Thompson), hanno deciso però di rivedere l’episodio per vedere se c’erano gli estremi per un flagrant (e cioè “un fallo personale che comporta un contatto eccessivo o violento che potrebbe causare un infortunio al giocatore che subisce il fallo”), ma hanno deciso di rimanere con la decisione iniziale. In diretta i telecronisti hanno subito notato come Dort, cercando di cambiare direzione dopo il passaggio schiacciato di Pippen Jr, abbia perso aderenza, finendo per franare addosso a Morant proprio a causa della sua involontaria scivolata. Dopo la partita Dort si è giustificato dicendo che non si era neanche accorto di avere Morant alle sue spalle, che ha provato a cambiare direzione per recuperare il pallone e dopo i due si sono scontrati. «Ovviamente non volevo fargli male», è stata la sua chiusa.

Anche qui, anche se in maniera meno rumorosa che per Butler e Thompson, essendo una serie chiusa ancora prima di iniziare, si è discusso intorno alla volontarietà o meno del fallo di Dort.

Un punto di vista è che sia stato lo stesso Morant a causare il suo infortunio, decidendo di passare sopra a Dort invece di provare ad aggirarlo. Morant, nonostante un fisico minuto per la NBA, è un giocatore che vive su questo tipo di giocate, che attacca il ferro senza curarsi della sua incolumità fisica (e che infatti gli è costato più di un infortunio, e in generale un’usura eccessiva del proprio corpo). Poteva evitare Dort facendo un po’ di attenzione? Accorgersi che aveva perso l’equilibrio e che quindi diventava un rischio per lui?

Dall’altra parte dello spettro c’è chi dice che, invece, sarebbe dovuto essere Dort a spostarsi. Se la sua scivolata sembra naturale, il movimento successivo, e cioè il tentativo di provare comunque a difendere in qualche modo il canestro alzando le braccia e rimanendo sulla linea di penetrazione di Morant, è volontariamente compiuto per fargli male o comunque un’esagerazione da punire.

Se Thompson agisce per far fuori Butler dalla serie, la giustificazione per parlare di volontarietà da parte di Dort è semplicemente il fatto che sia considerato un giocatore scorretto. In questa discussione su Reddit viene addirittura definito il più scorretto della NBA, ma anche quello più sconsiderato, quello cioè con meno rispetto della cavalleria dello sport, dove anche in un contesto duro come quello dei playoff esiste un limite non scritto da non superare.

Questo è un tipo di bias che colpisce i grandi difensori nella NBA (e sia Dort che Thompson lo sono): per essere un difensore forte bisogna necessariamente sporcarsi le mani, essere asfissianti, anche sgradevoli, non pensare mai alla propria incolumità, né a quella degli altri. Se al posto di Dort ci fosse stato un difensore svogliato, o comunque un giocatore che ha costruito la sua carriera sull’attacco, al massimo sarebbe stato accusato di essere goffo, e tutto sarebbe stato derubricato come un colpo di sfortuna, o come l’ennesimo tentativo spericolato di Morant di arrivare al ferro pagato con un infortunio. Trattandosi di Dort, invece, è plausibile che, pur di non concedere due punti facili, abbia messo a rischio la sua presenza nella serie, rischiando di essere espulso.

Perché è questo il non detto dei falli di Dort e Thompson: si può davvero mascherare la volontarietà agli arbitri in maniera inequivocabile? E dove finisce la foga e inizia la volontarietà? Si può distinguere tra un brutto fallo genuino e uno non genuino?

C’è un precedente storico su cui la NBA ha provato a rivedere le sue regole a riguardo. Durante gara-1 delle finali di Conference del 2017 tra Golden State e San Antonio Spurs, Zaza Pachulia infilando il suo piede sotto quello di Kawhi Leonard mentre stava ricadendo dopo un tiro in sospensione gli causò un infortunio alla caviglia già dolorante, costringendolo a lasciare partita e serie, che poi sarebbe stata vinta agevolmente dagli Warriors.

Si discusse tantissimo sulla volontarietà o meno del gesto di Pachulia, che dopotutto rispecchia l’identikit perfetto del cattivo (e anche di quello che si può sacrificare, se pensiamo a un gesto volontario non spontaneo, ma deciso a tavolino, prendendosi il rischio delle conseguenze). Lo stesso Leonard, almeno a caldo, disse che l’intervento non sembrava volontario (come, ovviamente, fece Pachulia), tuttavia le polemiche furono così tante, che l’NBA si sentì in dovere di cambiare il proprio regolamento, inserendo quella che oggi viene definita la Zaza rule, che consente agli arbitri di rivedere questo tipo di giocate per decidere se c’è “malizia”, e in caso punirla con un flagrant.

Nei casi di Thompson e Dort è davvero impossibile rilevare se c’è malizia: il primo è stato sicuramente spinto da dietro, mentre il secondo è sicuramente scivolato. Nei centesimi di secondo successivi, sono riusciti davvero a pensare: ecco ora posso far male a qualcuno, se abbasso la testa e spingo o se reggo la gamba di Butler e la rigiro? Se scivolando non mi sposto di lato ma rimango al mio posto mentre Morant è lanciato come una palla di cannone? Se ci sono riusciti, la loro capacità di prendere decisioni così complesse in centesimi di secondi deve essere quantomeno diabolicamente apprezzata.

I due infortuni a Butler e Morant sembrano piuttosto il (necessario?) contrappasso dell’intensità difensiva che stiamo vedendo in questi playoff, forse una risposta a tutte le critiche ricevute durante la stagione regolare, dove come un mantra abbiamo ripetuto che i giocatori non si impegnavano abbastanza. Il passaggio è stato persino troppo repentino, e forse l’NBA deve chiedersi come trovare una via di mezzo. Se da una parte è, indubbiamente, più bello un basket dove sono permessi più contatti e si fischiano meno falli, dall'altra un basket in cui regna l'anarchia rischia, nei casi migliori, di creare polemiche arbitrali (come nei recenti finali delle partite tra Knicks e Pistons e quella tra Lakers e Timberwolves) nei casi peggiori infortuni come quelli di Butler e Morant (ma anche quello a Tatum). Inoltre con tutta questa discrezionalità si creano delle storture: Brunson con il suo talento riesce a guadagnare montagne di falli, perché gli arbitri ritengono i contatti su di lui falli, mentre Curry viene "malmenato" in ogni azione senza ricevere fischi, perché il tono generale della serie tra Rockets e Warriors è molto più permissivo riguardo ai contatti.

Se le regole cambiano così tanto, diventa difficile anche per i giocatori adattarsi e finisce che siano loro i primi a "esagerare", che sia volontario o del tutto casuale, come nei casi di Dort e Thompson.

La NBA deve allora chiedersi cosa vuole che sia "un fallo" nei playoff, perché nel basket è così: la linea di demarcazione tra concesso e non concesso può essere spostata in avanti e indietro, ma farlo comporta delle conseguenze per i giocatori.

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