L’NBA torna stanotte, finalmente. Si parte in casa dei Boston Celtics campioni in carica, come da tradizione, che dopo la cerimonia di consegna degli anelli inaugureranno la stagione 2024/25 contro i New York Knicks; a seguire sarà il turno di Los Angeles Lakers e Minnesota Timberwolves, prima della nottata di domani in cui altre venti squadre scenderanno in campo e poi a seguire cinque mesi e spicci pieni di partite di regular season.
Ma come arrivano le squadre a questo momento? Le due settimane di pre-season hanno dato qualche indizio sui nuovi roster e i vecchi difetti. È interessante andare a vedere da vicino alcuni temi, sia per capire come stanno le varie franchigie, sia in un’ottica più personale, ovvero per il vostro Fanta-NBA. Poche settimane fa abbiamo pubblicato la guida per il draft perfetto, 100 nomi tra cui pescare e in che posizione, oggi proviamo a vedere come si è evoluta la situazione, cercando di dare qualche dritta last minute a chi sta per affrontare un draft per costruire il proprio fanta-roster.
Per comodità, come nel precedente appuntamento, quando faremo riferimenti a questa seconda sfera utilizzeremo un’unica metrica, per poter disporre di un unico criterio di valutazione; lo faremo attraverso gli STAZ Points (al minuto, modalità “True Shooting”), sistema di punteggio utilizzato su STAZ, la nuova piattaforma ideata e realizzata - tra gli altri - dalle quattro mani che vi hanno consegnato questo articolo.
Come funzionano gli STAZ Points, secondo i due sistemi “True Shooting” e ”Statpadder”
Parleremo delle sensazioni su alcune pretendenti al titolo, poi daremo una prima occhiata a qualche rookie intrigante e a una manciata di profili che potrebbero stupire, nel bene e nel male. Prima però, essendo la pre-season (per gli spettatori almeno) un momento in cui soddisfare principalmente le curiosità, partiamo da un paio di volti importanti dell’ultima decade NBA che hanno appena cambiato maglia. E da un interrogativo che si stanno ponendo in molti: solo grandi nomi, o c’è un anno di riscatto all’orizzonte?
Klay sì o Klay no?
Di più scioccante che vedere Klay Thompson ai Dallas Mavericks, c’è solo vedere Klay Thompson ai Dallas Mavericks tirare 0/9. Nonostante la serata storta contro i Clippers andata in pasto a decine di parody account, l’ex Splash Brother ha chiuso con un 6/12 complessivo da tre punti nelle altre due partite di pre-season, il tutto senza usufruire di quelli che presto saranno gli spazi spalancati da Luka Doncic. Non dovrebbero esserci dubbi sul fit offensivo con il backcourt formato dallo sloveno e Kyrie Irving, un po’ di più sulla coesistenza nell’altra metà campo: Klay ha fatto intravedere un discreto effort in termini di difesa di squadra, ma ha perso più di un passo soprattutto sulla palla.
Un bel problema, considerando i noti passaggi a vuoto di Doncic e i limiti fisici di Irving, tanto da rendere PJ Washington l’unico difensore Point-of-Attack di livello nel quintetto titolare. Questo potrebbe costare a Thompson qualche minuto e forse anche i finali di partita, vista la presenza a roster di un solidissimo Naji Marshall. Magari puntare su Klay (0.59 STAZ PTS/MIN nella passata stagione) può ancora avere senso in vista di qualche exploit di fianco a Doncic, ma non fra le vostre prime scelte.
Westbrook sì o Westbrook no?
Un dilemma che va avanti da oltre 15 anni, animando il dibattito teorico-filosofico nei salotti più esoterici dell’universo NBA. Non si parla più di una stella, né di un role player, ma di un minimo salariale dal quale ci si aspetta qualcosa in più, perché si chiama Russell Westbrook. La sua personalità accentratrice ci mette del suo - nel media day, ad esempio, ha detto: «io ho caratteristiche uniche e fin qui nessuno mi ha permesso di sfruttarle», ma - limitandoci a quello che succede sul parquet - potrebbe trovarsi nell’ambiente più funzionale da un paio d’anni a questa parte.
Denver è più corta rispetto al passato: la promozione di Christian Braun in quintetto apre un vuoto da colmare in termini di energia difensiva in uscita dalla panchina, e Russ in pre-season si è fatto valere - sorpresa - a fasi alterne. 0/5 al tiro contro i Suns per cominciare, 3/3 per chiudere; tanta intensità nella prima uscita, poi una serie di dormite imbarazzanti e palle perse contro i Timberwolves. O bianco o nero, con Westbrook è così da sempre e va accettato. Il ruolo ridotto e il fit offensivo con Jokic - sia da portatore, sia da bloccante - lo rendono una scommessa intrigante per la vostra panchina nel reparto guardie. In pre-season ha prodotto 0.69 STAZ PTS/MIN, l’anno scorso 0.68.
I Denver Nuggets sono più deboli
Restiamo in Colorado, allargando la prospettiva. Non è una novità che le fortune dei Nuggets passino dalle mani di Nikola Jokic, ma forse questa volta ne dipendono un po’ troppo. Dopo l’addio di Bruce Brown nell’estate del titolo, se ne è andato anche Kentavious Caldwell-Pope, tiratore di movimento, solido difensore sulla palla e di squadra, nonché pedina centrale nel sistema offensivo costruito da coach Malone. E il rimpiazzo non esiste: Westbrook va considerato come colpo al minimo salariale ed energy guy in uscita dalla panchina, ma sono noti i suoi limiti; il rookie DaRon Holmes ha finito la stagione per infortunio prima ancora di iniziarla; Julian Strawther, al suo secondo anno in NBA, sembra quello che ci vuole in termini di scoring - 33 punti contro i Timberwolves e pre-season con un ottimo 10/18 da fuori - ma non risolve la questione della difesa Point-of-Attack.
Il quadro che ne emerge è una carestia abbastanza inattesa per una squadra che ha vinto il titolo NBA poco più di un anno fa (e che non ha dovuto gestire terremoti estivi, avendo saldamente le redini dei contratti più onerosi). Lo sgretolamento di alcune sicurezze, però, è un dato di fatto. La regular season non sembra in pericolo, e magari servirà anche a recuperare il miglior Jamal Murray, apparso fuori forma alle Olimpiadi; la struttura di questo roster in ottica Playoffs, però, appare depotenziata rispetto al recente biennio, e la Western Conference ancora più equilibrata.
Donte DiVincenzo non l’ha presa bene
The Big Ragù e “fame” nella stessa frase sembrano non appartenere al campo semantico della pallacanestro, e invece è proprio questo il caso. Donte DiVincenzo, scambiato appena qualche settimana fa dai Knicks ai Timberwolves, ci ha messo una sola notte (sì, di pre-season) al Madison Square Garden per litigare con l’intera panchina newyorkese. Una rapida escalation: da una battuta rivolta a coach Thibodeau dalla linea del tiro libero si è arrivati alla separazione forzata da Rick Brunson, padre dell’amico Jalen e assistente di Thibs.
Un pezzo dei “Nova Knicks” si è staccato, e non sembra proprio averla presa bene. L’aspetto positivo è per Minnesota (e per i fanta-allenatori che hanno puntato su di lui dopo lo 0.73 STAZ PTS/MIN l’anno scorso), visto come si è presentato a questa pre-season: 4/4 al tiro nella prima notte, locked-in, occhi grifagni e 38.5% su 6.5 triple tentate a gara. Nel sistema di coach Finch, agognante per un po’ di spaziature dinamiche e amante di un flow offensivo sostenuto, ma privo di interpreti per praticarlo, DiVincenzo avrà più spazio che mai. Con questa garra, poi…
Mikal Bridges è rotto
Tormentata e chiacchierata - per motivi diversi - è stata anche la pre-season di Mikal Bridges. Se ne è accorto prima di tutti Anthony Edwards: il suo tiro sembra molto cambiato, e in peggio. L’ala ha mandato a referto un pessimo 2/19 da tre in pre-season, chiudendo con la ciliegina sulla torta dello 0/10 contro i Wizards; e tutti ciò con molti tiri aperti, dal momento che il nuovo attacco dei Knicks con Towns da 5 apre praterie smisurate per tagli o triple di qualità. Stando a quanto appreso di recente, Bridges sta cercando di aggiustare la sua forma di tiro da sette anni, nel tentativo di riavvicinarsi a quella dei tempi di Villanova, pur con risultati discutibili. Il tempo stringe, il capitale speso per portarlo a New York non può che mettere pressione e per i Knicks questo è il primo anno di quella che sarà una finestra verso il titolo. Decisamente non il miglior modo di cominciare per il giocatore e per il pubblico della Grande Mela.
Terra chiama Wembanyama
L’extraterrestre si è presentato al mondo NBA con la fluidità e la facilità di movimento ormai note, e mai viste prima in dote a una struttura fisica del genere. A braccia e gambe che sembrano senza fine, Wembanyama abbina anche un’intelligenza cestistica, e non solo, raffinatissima. Guardandolo, viene da chiedersi: non sarà un po’ troppo per la Terra? Se difensivamente ci sono pochissimi dubbi sul fatto che si giocherà i prossimi dieci premi di Defensive Player of the Year, o giù di lì, nella metà campo offensiva sembra ancora dover trovare la propria dimensione. O quantomeno un singolo aspetto elitario del suo gioco.
Nell’anno da rookie ha chiuso bene al ferro (70%), ma non benissimo (55esimo percentile fra i pari ruolo), il che è abbastanza deludente per uno con quel corpo. L’unico dato balistico positivo è nelle triple dall’angolo, limitate però a sole 22 totali nell’arco di una stagione - su tutto il resto, non si scavalla mai il 43esimo percentile. In pre-season Wemby ha ancora una volta viaggiato con percentuali disastrose: in due gare, 1/9 da 3 punti e 6/12 da 2 punti, entrambi dati abbondantemente sotto quella che è stata la media NBA 2023/24.
Certo, la stagione deve ancora cominciare, ma le tendenze sono apparse molto simili a quelle del suo primo anno in maglia Spurs. Ripartire da cose “semplici” come il buon vecchio pick&roll con Chris Paul, usato sicuro in tal senso, potrebbe aiutarlo a ottenere più occasioni nel pitturato: le situazioni dinamiche, in fase di taglio e da rollante, si sono rivelate infatti, numeri alla mano, le migliori per innescare quelle braccia a quella velocità. Si tratta solo di usarle un po’ di più, di comportarsi “più da essere umano” per poter dominare con maggior costanza sul pianeta terra. La sua venuta, per quanto rivoluzionaria e mediatica quando la palla entra nel cesto, deve ancora essere supportata da determinati step di crescita. Al fanta-NBA parte da un rookie season da 0.95 STAZ PTS/MIN: sky’s the limit.
Fun fact: questo è stato l’unico assist di CP3 a Wembanyama in pre-season (l’altro è un regalo del play-by-play NBA) e ha interrotto una serie di 4 jumper sbagliati dal francese.
Zach Edey è il Rookie of the Year
Per quanto possa sembrare arrogante affermarlo, non c’è nulla da ritrattare. Vincitore di tutti i premi individuali possibili in quattro anni a livello collegiale, il gigante canadese al Draft 2024 è sceso fino a ritrovarsi in mano ai Memphis Grizzlies, che non hanno esitato un istante. Il fit è perfetto, si tratta di un bloccante roccioso ed enorme per le scorribande nel pitturato di Ja Morant, di un’ancora a rimbalzo alla quale affiancare Jaren Jackson Jr. in aiuto a difesa del ferro. In un sistema nel quale Steven Adams ha avuto enorme successo, Edey si presenta come il suo sostituto naturale. E con grande voglia di rivalsa, dopo essere stato snobbato da molti front office a causa dell’età più avanzata di altri prospetti. A Memphis non gli verrà richiesto di evolversi, ma di impattare fin da subito mettendo sul parquet quello che sa fare meglio. Un uomo in missione, con tanti minuti e una squadra attorno che può valorizzarlo: non ci sono profili migliori sui quali puntare.
Cap otturato, largo ai rookie
Il giochino di puntare sui rookie delle squadre Playoffs dalla pre-season può essere pericoloso: giusto un paio di anni fa, Kenneth Lofton Jr. per due gare si è presentato nei lanciatissimi Grizzlies come la seconda venuta di Zach Randolph, girando a 17-5-3 di media con un’efficienza mostruosa; alla quarta maglia in due stagioni, è appena stato tagliato dai Bulls ed è attualmente senza squadra. Jared Butler, miglior rookie per punti di media nella pre-season 2021 con la canotta dei Jazz (reduci dalle semifinali di Conference), un paio di giorni fa ha visto il proprio contratto stracciato dai non proprio profondissimi Washington Wizards.
Adesso, però, la situazione è differente. Il nuovo CBA non lascia il minimo margine di manovra alle squadre sopra il cosiddetto “second apron”, cioè che hanno all’attivo un monte salari che supera la soglia prestabilita, perciò i front office con le mani legate devono adeguarsi. Il modo migliore è il Draft. Non è un caso che i Phoenix Suns, squadra più “cara” della Lega, si siano mossi con estrema attenzione dietro le quinte per arrivare prima a Ryan Dunn (scelta 28), poi a Oso Ighodaro (40), entrambi finiti in un attimo fra i 15 contratti a roster. Il primo in particolare si è affermato come protagonista assoluto della pre-season, tirando con un clamoroso 13/30 (43.3%) da 3 punti dopo aver segnato 12 triple totali in due anni di college. Se dovesse mantenere queste medie anche in stagione, diventerebbe automaticamente uno dei giocatori con più minuti in squadra, considerando che si era presentato più che altro come un prospetto difensivo d’élite (non ricordatelo a Cade Cunningham).
La lista non si esaurisce qui. Per esempio i 76ers, payroll top-10 che in estate ha dovuto lavorare su ogni dettaglio per ricostruire il roster da zero attorno a Joel Embiid, hanno deciso di non scambiare la scelta numero 16 al passato Draft - presente in molti trade rumors - per pescare Jared McCain e investire su di lui come combo guard in uscita dalla panchina. Oltre al conflitto generazionale con Kyle Lowry, il prodotto di Duke è stato quinto per punti di media segnati fra i rookie in pre-season (12.8), tirando con circa il 38% su 5.8 triple a gara.
Ragionamento simile ma opposto quello fatto dai Timberwolves (secondo payroll della lega), che al Draft hanno scambiato per salire alla scelta 8, aggiudicandosi Rob Dillingham, scorer puro da sviluppare come point guard sotto l’egida di Mike Conley; il tutto prima di pescare anche un altro prospetto “NBA ready” come Terrence Shannon Jr. alla 27esima chiamata, finendo per investire su due rookie e rinunciare a due free agent di livello come Monte Morris e Kyle Anderson.
Per chiudere, non si può che menzionare il rookie dei Lakers, Dalton Knecht, divenuto virale per i suoi 35 punti segnati contro i Suns, di cui 20 di fila dei 22 finali dei giallo-viola. Al di là di questo exploit - nelle prime tre ha tirato 5/24 da fuori - il profilo sembra quello perfetto per Los Angeles, trattandosi di un tiratore di movimento senza alcuna paura e con tre anni di esperienza collegiale alle spalle. Knecht sembra avere un potenziale abbastanza limitato, ma è plug-and-play, arruolabile sin dal giorno zero, e si è presentato con un buon 0.71 STAZ PTS/MIN in pre-season.
A proposito: non dormite sui Lakers
L’eccessiva attenzione mediatica riservata a Bronny James ha un po’ oscurato quella che è stata la più grande rivoluzione dell’offseason giallo-viola: l’arrivo di JJ Redick come head coach. Le gigantesche mani lebroniane hanno lasciato il segno pure in questo impasto, trattandosi tra l’altro di un collega nel mondo del podcasting, ma i primi segnali sono stati buoni. I Lakers hanno circondato l’allenatore “rookie” di assistenti esperti come Nate McMillan e Scott Brooks, per compensare l’inesperienza e la modernità estrema dei concetti tattici espressi dall’ex tiratore (talmente innovativo, che sembra quasi attingere da X per le chiamate nel suo Playbook). Troppo presto per capire se vedremo questi principi traslati sul campo della regular season e soprattutto degli eventuali Playoffs, certo è che Redick ha portato un po’ di aria fresca e idee nuove a un ambiente che ne aveva bisogno.
Magari a beneficiarne sarà proprio quel Rui Hachimura da cui i tifosi si aspettano il “next step” - ma non ditelo a coach Redick!
Pistons, don’t give me hope
Sembra incredibile a dirsi, ma a Motor City si può essere cautamente ottimisti. L’avverbio attenuativo è necessario quando si parla di una squadra, i Detroit Pistons, che da ormai un lustro raschia il fondo della Eastern Conference, e non vince una serie Playoffs dal 2008. In estate, però, l’inversione di rotta potrebbe essere iniziata. Cade Cunningham, che al tempo del Draft 2021 era considerato il pilastro sul quale costruire, arriva da una stagione di transizione a seguito di un biennio iniziale nella lega tormentato dagli infortuni. La buona notizia è che ha finalmente avuto un’off-season piena, e che la squadra assemblata attorno alla point guard è senza dubbio la più funzionale messa a disposizione da una guardia con le sue caratteristiche.
Cade porta i segni dei più moderni “mega-creator”, e ora intorno a lui sono arrivati tiratori di movimento come Beasley, Hardaway Jr. e uno che è qualcosina in più come Tobias Harris, oltre alla conferma di Fontecchio. Dietro o accanto a Jalen Duren adesso c’è Paul Reed, e dal punto di vista difensivo va segnalato l’arrivo dal Draft di un demone come Ron Holland, da affiancare ad Ausar Thompson. Coach Bickerstaff, appena assunto, ha un talento riconosciuto nel valorizzare il gioco offensivo delle proprie guardie anche in contesti apparentemente poco favorevoli, come visto a Cleveland. In pre-season, Jaden Ivey è sembrato quello che ne può beneficiare maggiormente, come mostrano le sue cifre:
Con un roster finalmente profondo i presupposti per puntare quantomeno al Play-In ci sono tutti. E da Cunningham, ci aspettiamo molte gare in doppia-doppia, e forse un’efficienza superiore a quella dei suoi primi anni a Detroit. Le stocks dei Pistons non sono mai state così alte, così come quelle di Cade, chiamato al leap definitivo dopo la lauta estensione firmata in estate. Se proprio volete dare speranza ai Pistons, questo potrebbe essere l’anno buono.
Kawhi Leonard, sempre lì
Purtroppo, ciò che la pre-season dei Clippers non ci ha offerto è un’idea delle condizioni fisiche di Kawhi Leonard, “fuori a tempo indeterminato” per un problema al ginocchio destro. Non è una sorpresa: l’ex Spurs e Raptors ha saltato 229 partite in totale negli ultimi quattro anni, e nonostante le 68 in cui è sceso in campo la passata stagione (il massimo dal 2017 in avanti) sarà assente nel debutto ufficiale all’Intuit Dome, senza una data prevista per il suo ritorno.
Vi sentite pronti per sfidare la sorte? L’anno scorso girava a 23.7 punti di media, con 6.1 rimbalzi, 3.6 assist, 1.6 palle rubate e percentuali solidissime al tiro (53% dal campo, 42% da tre e 89% in lunetta), per un totale di 27.6 STAZ PTS di media (0.80 al minuto). La sua efficienza offensiva e la capacità di riempire la statline in entrambe le metà campo non sembra essersi deteriorata nel tempo, e la partenza di Paul George potrebbe aumentare ulteriormente il suo carico di responsabilità, ma sono numeri vuoti se non può stare in campo. Anche senza arrivare all’estremo di Kendrick Perkins che ne suggerisce il ritiro dal basket, in tanti ormai hanno gettato la spugna con Leonard: attenzione quindi, potrebbe essere ancora disponibile dopo i primi round nella vostra fanta-lega, e forse forse…
Lonzo Ball, una vita dopo
A proposito di infortunati plurirecidivi, la pre-season ce ne ha restituito uno di cui quasi ci eravamo dimenticati, dopo l’eterna assenza iniziata nel gennaio 2022. Lonzo Ball è finalmente tornato, abbracciato calorosamente dallo United Center durante la sfida di pre-season tra Bulls e Timberwolves, che ha chiuso mandando a referto 10 punti con 4/6 al tiro (2/4 da tre, inclusa la tripla dall’angolo al primissimo tocco) in soli 15 minuti. Nelle due gare giocate ha messo in mostra tutto il lavoro svolto lontano dai riflettori su quello che un tempo era un punto dolente, la meccanica di tiro; a New Orleans è diventato poi un tiratore da quasi 38% su un alto volume di triple tentate (6.3 e 8.3 a partita), prima di raggiungere addirittura il 42.3% (7.4) a Chicago, fino allo stop. Soprattutto, Lonzo ha dato l’impressione di stare bene fisicamente e di non aver perso eccessiva mobilità:
La speranza è che il lungo incubo in cui è stato trascinato dai problemi al ginocchio, con tre operazioni all’attivo, sia ormai alla spalle; va detto però che il suo curriculum di infortuni è sempre stato allarmante, come ci ricordano le 98 partite saltate su 349 totali prima del lungo stop.
Nei 76ers si gioca poco
No, non per scelta di coach Nick Nurse (anzi). Curiosa la genuinità di Joel Embiid nel dichiarare che con ogni probabilità non metterà mai più piede in campo nei back-to-back, dal momento che si parla di ben 15 gare stagionali (dalle quali escluderne potenzialmente altre per eventuali problemi fisici). Cercando di affrontare la questione con i battiti cardiaci un po’ più controllati di quelli di Kevin Garnett: se questo è il prezzo da pagare per arrivare ai Playoffs sani, tutt’altro che scontato per uno con lo storico di Embiid, ha senso rinunciare anche alle 65 presenze minime per l’eleggibilità per i premi stagionali. Il problema è che anche il secondo violino, Paul George, storicamente non offre sicurezze dal punto di vista fisico, e ha già sfiorato un infortunio gravissimo per un’iperestensione al ginocchio sinistro.
Le 74 presenze stagionali dello scorso anno sono il massimo dal 2019, dopo il quale non era mai andato oltre quota 56. Pensare di far sedere sulla propria panchina oltre 100 milioni di dollari di stipendi può far specie, e il record in stagione regolare potrebbe seriamente risentirne, ma potrebbe essere l’unica alternativa a rimorsi primaverili ben più dolenti per i Sixers. Per chi può - e soprattutto vuole - permettersi certi ragionamenti a cuor leggero, invece: state lontani da questo duo nel draft della vostra fanta-lega, oppure rassegnatevi a vivere con apprensione ogni injury report di qui a marzo inoltrato.
Chris Paul, “Unc still got it”
Il celebre meme ben si presta a Point God, che nel muovere i suoi primissimi passi in maglia San Antonio Spurs si è rivelato… esattamente lo stesso che conosciamo da vent’anni a questa parte. I 7 punti e 5 assist di media ad alta efficienza sono un antipasto di quello che vedremo durante la stagione, quando gli verrà chiesto di giocare per periodi ridotti di tempo e di smistare il gioco come suo solito per valorizzare l’ancora grezzo materiale a roster. Non è uno sul quale spendere una pick alta nella vostra fanta-lega (0.60 STAZ PTS/MIN l’anno scorso), ma verso la fine degli ultimi round può offrire buone garanzie. Il duo con Wembanyama, anche se per pochi minuti, si prospetta scoppiettante: uno così lungo e così mobile a cui passarla CP3 non l’ha mai avuto. Ci sarà da divertirsi (se non come a Lob City, quasi).
La consacrazione di Jalen Johnson?
Dopo l’exploit della scorsa stagione, in cui Jalen Johnson ha avuto una crescita da candidato Most Improved Player (non raggiungendo però le 65 partite necessarie per l’eleggibilità), la pre-season ci ha confermato come l’ala degli Hawks sia un profilo da tenere d’occhio. Nelle tre partite disputate nelle ultime settimane, ha avuto una media di 16.9 punti in soli 23 minuti di impiego, conditi da 7.3 rimbalzi, 2.0 palle rubate e 1.7 assist; la sua produzione in pre-season si è assestata a 0.64 STAZ Points/minuto (l’anno scorso viaggiava alla stessa andatura in quasi 34 minuti), una cifra non impressionante ma da prendere con le pinze: un po’ per la spropositata mole di palle perse, 12 in 69 minuti, destinata a calare (un po’ fisiologicamente e un po’ con la presenza di Trae Young); e un po’, d’altra parte, per le percentuali al tiro (20/29 dal campo e 7/8 da tre) chiaramente non sostenibili su una span più ampia di partite.
Le doti atletiche, gli istinti da passatore e la propensione a riempire diverse caselle del boxscore - e piuttosto in fretta - lo rendono attraente in ottica fantasy. Per la sua quarta annata nella lega è lecito nutrire aspettative, ma molto potrebbe dipendere dal contesto: secondo le indiscrezioni di mercato degli ultimi mesi, infatti, Jalen Johnson è l’unico giocatore intoccabile nel roster degli Hawks, come sembra confermare la freschissima notizia di un rinnovo da 150 milioni di dollari in 5 anni appena firmato. Siete disposti anche voi a scommettere su di lui?