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I San Antonio Spurs devono guardare al futuro
21 apr 2020
L’analisi del periodo più difficile dei San Antonio Spurs dalla fine degli anni ‘80.
(articolo)
19 min
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La brutta stagione 2019-20 dei San Antonio Spurs ha radici molto profonde e affonda i suoi problemi su una lunga serie di contraddizioni che hanno lentamente minato alle basi la filosofia vincente dei nero-argento. Per la prima volta da diversi anni a questa parte la direzione appare incerta: il ricambio generazionale che più volte era stato predetto in realtà non si è mai realizzato, privando la franchigia di elementi come Sean Marks e Mike Budenholzer che hanno poi fatto fortuna da altre parti.

Un asse di questo livello, con ogni probabilità, avrebbe traghettato la squadra nel nuovo millennio in maniera più flessibile e forse avrebbe affrontato il doloroso divorzio con Kawhi Leonard con un piglio più coraggioso. Gli speroni sono ormai impossibilitati ad affronare la prospettiva di “ricostruzione morbida”, consapevoli che senza un giocatore di riferimento di primissimo livello è ormai inevitabile una transizione lunga e complessa verso il futuro. Ciò nonostante, l’organizzazione non sta muovendo i passi necessari per accelerare il processo e continua a rimanere sospesa in bilico tra la tradizionale lotta per i playoff e una linea di rinnovamento che appare nebulosa e priva di lucido raziocinio.

È quasi un paradosso: il sistema che ha generato un numero ineguagliato di dirigenti e allenatori che si sono fatti apprezzare in giro per tutta la lega, ad oggi non ha certezze riguardo il passaggio di testimone di coach Gregg Popovich. E lo storico condottiero sembra quasi più interessato alle varie scadenze con la nazionale USA che a plasmare la rifondazione texana, ormai sempre più prossima all’orizzonte.

https://twitter.com/espn/status/1198036105477660672

L’erede?

Un’altra estate lunga e complessa

L’epilogo delle trattative con Marcus Morris - che ha inizialmente aveva accettato un biennale da 20 milioni salvo poi stralciare l’accordo qualche giorno dopo e firmare un annuale da 15 milioni con i New York Knicks - ha fatto deragliare buona parte dei progetti tecnici previsti nella scorsa off-season. Un pasticcio reso ancora peggiore dal sacrificio di Davis Bertans, scaricato a Washington per fare spazio a un giocatore che poi non è mai approdato in città. Allo stesso tempo DeMar Derozan ha passato l’estate con il cartello “vendesi” appiccato alla schiena e i vari imbarazzi legati alla mancata estensione contrattuale hanno fatto arrossire un ambiente solitamente prodigo con i suoi veterani.

Il pacchetto delle acquisizioni estive si è allora concentrato su DeMarre Carroll nel tentativo di aumentare il potenziale difensivo e la batteria di tiratori, siglando un accordo triennale da 20 milioni di dollari per uno specialista di 33 anni. Un’operazione che lo staff tecnico ha subito scoperto indigesta per la difficoltà del nuovo arrivato di calarsi nel basket cerebrale dei texani. Il brusco taglio del veterano avvenuto il 18 febbraio, sostanzialmente pagando pur di farlo giocare altrove, ha evidenziato un mercato fallimentare. La firma di Trey Lyles come sostituto di Morris si è dimostrata tutto sommato poco significativa.

Ancora oggi la costruzione del roster degli Spurs segue i dettami che hanno contribuito al successo dell’era Duncan e si basa su una serie di regole molte rigide riguardo il reclutamento dei giocatori. Gli Spurs che hanno basato i propri successi su un atteggiamento squisitamente “gattopardesco” - per il quale hanno sempre operato numerosi cambiamenti per evitare che nulla potesse davvero cambiare - sono infine incappati in un pericoloso immobilismo. La dirigenza passa ancora al vaglio tutte le candidature dei giocatori in entrata per aumentare le possibilità che i nuovi protagonisti si “convertano” alla cultura dell’organizzazione. Ma questa politica pone enormi problemi sulle varie deadline del mercato, bloccando praticamente tutte le operazioni di scambio a metà stagione (i texani non si muovono alla deadline da sei anni) e rendendo oltremodo difficoltose quelle estive. La miscela esplosiva di veterani e giovani prospetti ha finito per diventare una sorta di minestra riscaldata, con i giocatori più maturi che soffrono un discutibile rapporto con l’ambiente e con la linea verde che non sembra contare sulla piena fiducia della guida tecnica.

La dirigenza, insomma, non ha esattamente brillato negli ultimi dodici mesi. E non è un caso che la nomina ufficiale del nuovo GM Brian Wright abbia conosciuto una forte accelerazione, di fatto disorientando molti addetti ai lavori. Il passaggio di R.C. Buford al ruolo di CEO ha naturalmente acceso i riflettori sul lavoro del suo erede che da diversi anni è il regista del Draft (le scelte di Dejounte Murray e Derrick White portano la sua firma) e un prezioso suggeritore nelle varie fasi di mercato. Ciò nonostante il suo margine operativo nei confronti di Buford è ancora un mistero e molti insider gli accreditano una limitata autonomia, una condizione di apparente dualismo già sperimentata con Sean Marks. Il suo lavoro sembra fortemente orientato al futuro e alla ricostruzione, al netto delle abitudini di reclutamento della franchigia. Una filosofia che al momento appare in decisa controtendenza con la panchina dove siede un Gregg Popovich in versione fieramente conservatrice. La permanenza dell’allenatore-monumento obbliga necessariamente a scelte obbligate e poco lungimiranti, con l’intento di garantire la possibilità di lottare per i playoff.

Wright ha rivitalizzato lo scouting della squadra che tra il 2011 e il 2015 aveva prodotto abbastanza poco, se escludiamo le selezioni di Cory Joseph e di Kyle Anderson. Dejounte Murray nel 2016 ha inaugurato una gestione nuovamente brillante con delle pick al margine del primo giro (Lonnie Walker e Keldon Johnson i più recenti) che hanno costruito una base interessante e restituito parzialmente fiducia nella capacità della franchigia di rinnovarsi attraverso il Draft. La nota dolente di questo processo è l’apparente mancanza di comunicazione con lo staff degli allenatori, che spesso non ha alcuna voce in capitolo o esercita la possibilità di influenzare i meccanismi di scelta in modo troppo discreto. Questo inconveniente ha prodotto una serie di giocatori decisamente interessanti ma con caratteristiche troppo simili, oltre che una palese allergia alle triple. Il profilo che emerge è quello di uno “slasher” vecchio stile, con istinti più adatti alla pallacanestro anni ‘90 che al gioco estremamente condizionato dallo spacing come quello in voga oggi. Il trio Walker-Murray-White ha collezionato una media combinata di 5-5 triple tentate per gara a dispetto delle oltre 6 conclusioni dall’arco che il solo Patty Mills offre alla causa. Una situazione molto stonata che ha ulteriormente messo a nudo i difetti di Derozan e di Aldridge e ha di fatto impedito di mettere in mostra discreto il talento dei prospetti selezionati da Wright.

https://twitter.com/N_Magaro/status/1237026846727946240

I primi accenni di Keldon Johnson.

Ci sarebbe da considerare anche la scelta numero 19 spesa per Luka Samanic allo scorso Draft, ma il profilo fisico del giovane tiratore è ancora acerbo per immaginare un impiego in pianta stabile nella pallacanestro NBA. Il serbo è molto differente dai giovani che sono stati preferiti negli ultimi tempi e dietro il suo processo di selezione c’è lo zampino di R.C. Buford, che ha voluto lasciare il reparto scouting con quella che spera essere l’ultima perla di una grande carriera. Il futuro è certamente dalla parte di Samanic, ma dopo di lui sono stati scelti giocatori che hanno già convinto come Matisse Thybulle o Brandon Clarke. Il giocatore dei Memphis Grizzlies, in particolare, avrebbe contribuito a un utilizzo più razionale di LaMarcus Aldridge e regalato maggiore versatilità a un frontcourt che dopo due anni deve ancora integrare al meglio Jakob Poeltl, sostanzialmente l'unico rim protector presente nel roster. Una missione che sulla carta doveva spettare a Marcus Morris e che alla fine è rimasta senza interpreti. Il roster costruito per il 2019-20, insomma, si è dimostrato scevro di alternative e sviluppato su protagonisti poco versatili dal punto di vista tattico.

Una stagione caotica

Nel corso del 2019-20 il rendimento difensivo non ha mai trovato una efficacia degna della prima fascia della lega e ha penalizzato le possibilità di una squadra che, suo malgrado, si è trovata ad affrontare il peggior momento della franchigia dalla metà degli anni ‘80. I punti concessi agli avversari per possesso hanno spesso flirtato con l’ultima posizione assoluta e si sono assestati ai livelli di squadre in piena ricostruzione come gli Atlanta Hawks e i Cleveland Cavaliers. Le maggiori difficoltà si sono concentrate nella pessima protezione del ferro e in una evidente difficoltà nel limitare il flusso dei pick and roll avversari. Problemi dovuti alla caratteristiche di LaMarcus Aldridge, che è stato spesso costretto a giocare da centro tattico per equilibrare le spaziature dei compagni, e a un utilizzo massiccio di Trey Lyles. L’ex Nugget ha evidenziato le stesse peculiarità negative nella sua metà campo e ha di fatto reso impossibile una variante tattica in grado di cambiare lo scenario di gioco, fosse anche per pochi minuti. In questo modo la coperta si è rivelata corta fin dal principio: un quintetto di difensori sopra la media e la stagnazione offensiva, o il suo esatto opposto? Gli esperimenti e i numerosi tentativi di aggiustare la rotazione non hanno mai prodotto una sintesi efficace in grado di invertire la rotta.

L'estensione contrattuale di 64 milioni di dollari di Dejounte Murray è stata accolta con entusiasmo, ma la pietra angolare del futuro ha ripreso le attività sul parquet con comprensibile cautela dopo un anno di stop. Il suo circoscritto utilizzo al principio della stagione ha favorito lo scarso impiego in coppia con Derrick White, un fattore che nel corso dei mesi è diventato un piccolo mistero. A fine febbraio, il potenziale backcourt titolare del futuro aveva messo insieme solo la miseria 83 minuti giocati, nonostante sprazzi interessanti e la pressione notevole di tutta la stampa. A dispetto degli intriganti mezzi difensivi la coppia non brilla nel tiro da fuori (anche se Murray è vicino al 38% nelle triple, seppur su pochi tentativi) e questo stato di cose ha costretto a un utilizzo obbligato di giocatori mono-dimensionali come Bryn Forbes.

Per buona parte di quest’anno è stato oggettivamente impossibile schierare il tandem di playmaker insieme a DeRozan per palesi problemi di equilibrio offensivo. Nel tentativo di salvare una stagione che già a dicembre appariva fallimentare, il veterano è rimasto in campo e Popovich ha rimodellato la squadra sulle sue caratteristiche, una scelta che ha fatto molto discutere una stampa locale che da oltre un anno sta chiedendo palesemente la sua cessione e lo sdoganamento della linea verde.

Dejounte Murray ha illuso al principio della stagione quando ha collezionato 14 punti, quasi 9 rimbalzi e 5 assist di media in 23 minuti di impiego nelle prime apparizioni, facendo strabuzzare gli occhi a molti. L’impiego a scartamento ridotto ha però oscillato più volte tra il quintetto e le riserve, e un anno di ruggine unita alla concorrenza di Derrick White (che ha finito per contendere con lui spazio vitale) hanno fatto quasi subito scendere le sue quotazioni. Il play ha dimostrato progressi tangibili al tiro e ha costruito un repertorio di soluzioni molto interessanti dalla media distanza (non la squadra giusta per metterlo in mostra, vero?), ma le sue letture di gioco necessitano di una paziente e attenta revisione.

https://twitter.com/N_Magaro/status/1235225629722841089

Dejounte Murray al suo meglio.

White al contrario ha già nelle corde la possibilità di guidare la squadra con discreti risultati, ma il volume limitato di tiri che garantisce finisce per oscurare le sue qualità e i suoi notevoli istinti difensivi. In ogni caso lo sfolgorante esterno capace di mettere in difficoltà i Denver Nuggets in sette tirate gare al primo turno del 2019 si è visto solo a sprazzi e si è velocemente rassegnato a un ruolo limitato, suscettibile di molte variazioni. La sua mancanza di aggressività ha fatto rapidamente dimenticare i 36 punti che lo avevano al messo al centro dell’attenzione lo scorso anno e il suo bottino di 10 punti per sera ha finito per deludere. Dopo un buon dicembre chiuso con il 50% dal campo, il 41% dalla lunga distanza e un ottimo 85% dalla linea della carità ha finito per sparire all’interno del caos generale.

Per molte partite il suo tiro ha rappresentato una mera soluzione di emergenza nei secondi finali, un aspetto che ha penalizzato necessariamente le sue statistiche e ha finito spesso per mettere in luce i compagni. Con più spazio e maggiori garanzie avrebbe probabilmente fatto meglio, ma rosicchiare minuti a Patty Mills (che ha realizzato il record carriera di 11.7 punti, la media più alta dopo DeMar DeRozan e LaMarcus Aldridge) non era certamente impresa semplice.

Il veterano ha giocato un’annata sopra le aspettative anche in considerazione della nutrita concorrenza, ma il suo apporto divide molti analisti. Ci sono due correnti di pensiero molto distanti circa il suo contributo: da una parte i detrattori criticano il suo minutaggio perché sottrae spazio prezioso ai giovani, ma sul versante opposto i suoi sostenitori fanno notare che con questa strutturazione il suo contributo è indispensabile per rimanere competitivi. Bryn Forbes in un roster ideale dovrebbe giocare un ruolo alla Seth Curry (e il prossimo contratto potrebbe essere simile), ma le necessità di forza maggiore lo hanno trasformato in un titolare che ha finito per far rimpiangere lo stesso White e l’emergente Lonnie Walker nella maggior parte delle situazioni difensive. I suoi 25 minuti di media e le 6 bombe per partita convertite con un onesto 38% sono state in ogni caso indispensabili per garantire spazio vitale ai compagni.

Sono andati male due veterani come Marco Belinelli e Rudy Gay, che hanno registrato un netto calo di produzione rispetto lo scorso anno. Il tiratore italiano ha dimezzato la sua media punti (poco sotto quota 6) e accusato un calo di efficienza dal campo che ha lentamente rivoluzionato le gerarchie della panchina, togliendogli progressivamente minutaggio. Gay ha mandato a referto la peggiore stagione dal punto di vista statistico della carriera (10 punti e 5 rimbalzi) e ha perso nettamente efficacia nei caratteristici isolamenti, finendo per recitare un ruolo sempre più marginale e mettendo il suo contratto in scadenza 2021 di fatto sul mercato. Le esigenze tattiche hanno penalizzato anche la stagione di Jakob Poeltl che ha finito per essere impiegato come al solito per meno di 20 minuti. Alla soglia dei 25 anni l'austriaco resta uno dei giovani rim-protector più interessanti, ma il suo gioco offensivo deve necessariamente costruirsi un tiro piazzato.

DeRozan della discordia?

Dopo una serie di sconfitte imbarazzanti maturate a dicembre, coach Popovich ha chiamato a colloquio LaMarcus Aldridge esortandolo a tirare maggiormente dall’arco e seguire idealmente le orme di Brook Lopez. Un invito che il veterano ha raccolto con grande disponibilità, fissando il suo record in carriera con 157 triple complessive tentate in 53 gare (con una percentuale intorno al 39%). Numeri incoraggianti che diventano ancora più interessanti se analizzati nei primi mesi del 2020 e che raccontano di quasi 5 tentativi per gara dalla lunga distanza convertiti con un efficace 45% che ha di fatto migliorato il gioco e le prospettive. Aggiustamenti necessari per agevolare le operazioni nel midrange di DeRozan, che rispetto al suo discreto primo anno ha evidenziato qualche pericoloso passo indietro a livello di rendimento, più che di produzione in senso assoluto. Il californiano ha trascorso i primi mesi di stagione regolare in pieno corto circuito difensivo, arrivando a ritoccare il differenziale dei punti subiti in sua presenza in una mortificante doppia cifra che ha sollevato in coro il sopito istinto polemico degli analisti texani.

La situazione è progressivamente migliorata grazie alla nuova posizione di LaMarcus che di fatto gli ha spalancato le porte di una inedita posizione di ala forte (!) e permesso di avvantaggiarsi di una grande libertà dentro l’area grazie a spaziature meno congestionate e una maggiore possibilità di innescare i compagni. Sono arrivate una serie di convincenti gare intorno ai 25 punti di media, un netto incremento dei tiri liberi e una rinnovata capacità di agevolare il flusso offensivo dei compagni grazie a oneste letture da play secondario. Il cambio di scenario ha beneficiato tutti i componenti del roster e portato a ipotizzare un cambio del backcourt in pianta stabile nelle ultime gare della stagione con Murray e White finalmente protagonisti allo stesso tempo e lo spostamento di DeRozan sempre più in ala. Ma gli innegabili miglioramenti della squadra sono arrivati probabilmente troppo tardi e hanno dovuto fare i conti un rendimento difensivo del tutto incompatibile con le aspirazioni da post-season. Plasmare l’intera squadra sulla bandiera dei Raptors ha definitivamente dimostrato che per far rendere al meglio il suo talento è necessaria la presenza contemporanea di almeno tre tiratori, una condizione che gli ha permesso di mettere a referto 22.2 punti, 5.6 rimbalzi e 5.6 assistenze con oltre il 50% al suo attivo. Una strutturazione che San Antonio non è però in grado di reggere dal punto di vista difensivo e che deve portare a profonde riflessioni.

Tra DeRozan e gli Spurs c’era già diversa ruggine e prima della confusione legata al coronavirus era praticamente scontata l’uscita dal contratto da parte del californiano. Allo stato attuale è difficile fare delle previsioni, ma secondo varie voci ci sono diverse squadre a Est intenzionate a ricorrere ai suoi servigi, magari via trade. Si tratta di realtà che in questo momento sono di secondo piano (si parla di Detroit Pistons, ad esempio) ma che potrebbero metterlo al centro del progetto per diversi anni, una possibilità che San Antonio non sembra in grado di poter garantire. Una mortificante panchina punitiva (un classico di coach Pop) nei minuti più importanti di partita una persa contro gli Houston Rockets a fine 2019 ha causato molte tensioni che hanno richiesto diverse settimane di disgelo. Al momento vanta un’opzione annuale di 27 milioni per il 2020-21, ma in caso di permanenza è altamente improbabile che la squadra sacrifichi un'altra stagione per ottimizzare la resa della sua pallacanestro. Gli Spurs sono in vista di un reset salariale a fine 2021 e devono probabilmente cambiare rotta dal punto di vista tecnico a prescindere dalla situazione del suo tecnico e del suo giocatore di riferimento.

Il nuovo telaio

Ci sono ragioni per essere ottimisti nonostante il 27-36 di record e il malinconico 12° posto nella Western Conference? Senza dubbio. Il ritorno di Tim Duncan con un ruolo ufficiale è un primo segnale della possibile successione in panchina, anche se il suo ingaggio a inizio anno è arrivato più come un favore personale al suo mentore che per reale convinzione del caraibico. Anche Manu Ginobili, che era in lizza per un posto di assistente prima del “no” alla prima proposta della scorsa estate, a stretto giro di posta potrebbe finalmente capitolare. La presenza dei veterani di questo livello potrebbe agevolare la transizione verso il futuro e rendere più morbida la situazione senza coach Pop, anche se nessuno dei due sembra ancora pronto ad affrontare una responsabilità del genere. Lo scettro della guida tecnica tra i collaboratori dello staff è saldamente nelle mani della scrupolosa Becky Hammon: l’ex giocatrice delle Stars è in squadra dal 2014 e conosce meglio di chiunque altro l’evoluzione recente della squadra, con i suoi pregi e i suoi difetti dal punto di vista umano e tattico. I dubbi restano, ma le qualità umane a disposizione della franchigia dovrebbero garantire diversi anni di stabilità.

Sul fronte del campo, il trio Murray-White-Walker ha mostrato un potenziale notevole e probabilmente già nella prossima stagione è lecito aspettarsi un aumento esponenziale dal punto di vista delle responsabilità e del minutaggio. Lonnie Walker ha intrigato per l’intensità che ha dimostrato in difesa e per le doti di aggressore del ferro che hanno già fatto bella mostra in diversi filmati in regular season, il suo gioco va disciplinato ma la cattiveria agonistica lo ha reso il prospetto degli Spurs più eccitante degli ultimi dieci anni. Dal principio del 2020 ha collezionato 18 minuti di media con il 45% complessivo e progressi dal tiro dalla lunga distanza che vanno necessariamente confermati. Non ha ancora un ruolo definito e probabilmente si esprime nel migliore dei modi in uscita dalla panchina, ma i texani potrebbero aver messo le mani su un sesto uomo di grande impatto. Attira inerzia e sguardi come una calamita.

https://twitter.com/spurs/status/1232870578778001409

https://twitter.com/spurs/status/1234678862455267329

Due giocate manifesto di Lonnie “Sky” Walker.

Dejounte Murray è nel pieno della sua parabola ascendente: la sua presenza fissa nella classifica dei palloni rubati (1.7 di media) e una naturale crescita nella comprensione del gioco potrebbe farlo risaltare a brevissimo. Il 23enne ha messo assieme una stagione da quasi 11 punti, oltre 5 rimbalzi e 4 assist su 25 minuti di impiego ma deve trovare maggiore continuità. Derrick White deve imparare a essere più agonista ed esigente con i suoi mezzi, ma il suo potenziale di giocatore in senso assoluto resta forse quello più difficile da leggere in questo lotto di promesse. La stagione problematica potrebbe averlo penalizzato oltre misura e merita sicuramente una nuova possibilità anche in considerazione della possibile estensione, ma la presenza di Patty Mills potrebbe diventare limitante con il passare del tempo. Ha lasciato intravedere degli sprazzi interessanti anche Keldon Johnson che nelle ultime quattro gare prima della sospensione stava registrando numeri e partite molto interessanti dal punto di vista difensivo.

Gli Spurs scelgono bene al Draft e di solito sviluppano egregiamente, ma per sopravvivere nella Western Conference è vitale evolvere e trovare nuovi fuoriclasse di riferimento. La squadra è probabilmente attesa a un paio di anni complicati, ma ciò nonostante appare molto più avanzata di tante realtà. Una volta sciolto il nodo del nuovo allenatore, sarà importante stabilire il margine operativo di Wright che al momento è avvolto da un fitto mistero: la prossima off-season potrà essere un ottimo banco di prova a questo riguardo. La franchigia ha bisogno di scelte nette quanto radicali per agevolare il momento della ricostruzione a prescindere dalla permanenza di DeRozan e confermarsi una delle realtà tecniche più solide della lega. San Antonio ha la possibilità di prolungare ancora per poco la sua finestra di competitività con questa strutturazione, ma soprattutto deve confrontarsi con una lunga tradizione di eccellenza. Dal 1976 la squadra ha mancato i playoff solamente quattro volte e mai per due anni di fila, con una striscia di 22 apparizioni consecutive che solo il coronavirus attualmente non ha interrotto. Un retaggio quasi incredibile, ma che in Texas dovranno imparare a lasciarsi presto alle spalle per guardare al futuro.

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