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I Sixers faranno scoppiare la bolla di Orlando?
26 giu 2020
La squadra più imprevedibile della lega è pronta per le montagne russe di Disney World.
(articolo)
13 min
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Negli ultimi tre mesi, durante i quali abbiamo vissuto in uno stato di sospensione della realtà e dove ogni tipo di normalità è stata ribaltata, l’unica certezza che mi ha tenuto ancorato al mondo come l’ho conosciuto sono state le discussioni sui Philadelphia 76ers. Ai media alla ricerca disperata di qualche tipo di contenuto bastava buttar dentro la parola “Sixers” per avere un segmento riempito di hot takes e giudizi apocalittici senza neanche dover discutere di 5G e di come appiattire le curve.

La stagione dei 76ers già viaggiava verso i confini della realtà e la pausa forzata di inizio marzo potrebbe aver avuto l’effetto analgesico, alleviando i dolori ma non intervenendo sulle cause. Un minimo di sollievo però potrebbe far bene alla squadra allenata da Brett Brown, che si chiuderà nella bolla di Orlando tra mille dubbi ma anche con una percentuale di talento così alta da poter essere cliente scomodissimo per chiunque.

I Sixers alloggeranno al Grand Floridian insieme alla borghesia della NBA, ma non con l’alta nobiltà come si sarebbero aspettati ad inizio stagione. Un declassamento che evidenzia bene come qualcosa non abbia funzionato e che le scelte estive, che sulla carta potevano avere un senso, si sono rivelate sul campo estremamente disfunzionali.

Difficile che gli oltre 100 giorni di pausa riescano a cambiare molto del modo in cui Philadelphia gioca a basket, nonostante sia plausibile che Brett Brown abbia messo i suoi assistenti a riguardare tutte le partite giocate finora in stagione per trovare qualche appiglio.

In lotta con gli infortuni

Questa lunga interruzione innanzitutto ha aiutato i Sixers a recuperare dai tanti infortuni occorsi alle proprie superstar. Negli ultimi anni Philadelphia è stata falcidiata da una serie assurda di problemi fisici, arrivando addirittura a inventarne di nuovi quando tutti quelli già conosciuti erano finiti. La stagione in corso è stata, e qui vanno usate tutte le virgolette del caso, più tranquilla delle precedenti, ma ha contato comunque 54 partite perse solo dal quintetto titolare. Tobias Harris è stato l’unico a essere sempre presente, mentre Embiid ne ha già saltate 21 e anche Ben Simmons, che negli ultimi due anni aveva perso solo tre partite dopo il primo anno fermo ai box, è stato frenato da problemi alla schiena.

Nelle ultime tredici partite poi il bollettino è stato sanguinoso: Josh Richardson fuori per tre gare, Embiid per cinque e Simmons per le ultime nove a causa di un’infiammazione nervosa nella parte bassa della schiena durante una sfida contro Milwaukee verso la fine di febbraio. Da allora non ha più visto il campo da allora e, nonostante la sua condizione venisse costantemente monitorata, le possibilità di recupero in tempo per la fine della stagione regolare erano molto basse.

La pausa in questo caso è stata provvidenziale, in quanto ha dato la possibilità a Simmons di tornare per i playoff, cosa che non sarebbe stata possibile con il normale calendario. Brett Brown ha già anticipato che il giocatore australiano verrà reinserito con tutta calma nelle rotazioni per evitare pericolose ricadute, anche perché potrà sfruttare le otto partite che chiuderanno la regular season per gli ultimi aggiustamenti in corsa.

Se gli acciacchi di Simmons sono una novità in casa Sixers, più consuete sono le domande su come Embiid si presenterà al ritorno in campo. Il lungo camerunense ha una certa predilezione per farsi trovare fuori condizione quando la stagione inizia a scottare. In parte non è colpa sua: il peso e la struttura imponente non gli permettono di entrare e uscire di forma come altri giocatori più longilinei; inoltre la sua breve carriera è stata costantemente funestata da piccoli o grandi infortuni che gli hanno impedito di potersi allenare con grande frequenza.

Ad esempio Embiid non ha mai iniziato i playoff senza qualche fastidio fisico da dover gestire. Nella serie del 2018 contro i Miami Heat, complice uno scontro fortuito con la spalla di Markelle Fultz, esordì solo in gara -3 esibendo con grande preveggenza una mascherina al volto, che però limitava molto la sua visibilità periferica. L’anno successivo saltò una gara nella serie contro Brooklyn e la tendinite al ginocchio ne limitò l’efficacia contro i Raptors.

Quindi per la prima volta Embiid avrebbe la possibilità di presentarsi tirato come una molla e senza dover passare attraverso le tribolazioni di un’intera stagione regolare alle spalle. Allo stesso tempo ha però dimostrato di non essere sempre impeccabile nel prendersi cura della propria forma fisica quando la NBA si ferma e poche partite di ambientamento prima dei playoff non gli consentono di essere in ritardo di preparazione o di esagerare con gli Shirley Temple.

Embiid quando è stato sano ha dimostrato anche in questa stagione di essere dominante.

La produzione di Embiid solitamente cala quando si entra nella postseason a causa di difese più preparate e avversari che hanno come unico compito limitare il camerunense (Marc Gasol o lo stesso Al Horford). Nella scorsa stagione il suo rendimento per possesso è calato da 1.04 punti in regular season a 0.965 nei playoff, passando da essere sopra la media per l’attacco a metà campo dei Sixers a scendere sotto. Arrivare preparati sia fisicamente che psicologicamente sarà fondamentale per invertire il trend.

E mentre Simmons ci informa con grande dovizia di particolari tramite i propri social tutta l’estetica del sudore dietro ai suoi allenamenti, Embiid è meno presente se non c’è da trollare qualcuno su Twitter. Di Joel durante il lockdown sappiamo solo che ha finalmente preso la patente, quindi i tifosi di Phila possono sperare che il loro miglior giocatore si sia impegnato con i pesi quanto con i parcheggi in retromarcia.

Al netto di tutte le speculazioni che affollano la stampa generalista, l’asse Simmons-Embiid è la base su cui poggiano tutte le speranze di successo dei Sixers: averli al meglio delle loro possibilità a Disney World può davvero rappresentare un’occasione unica. Con l’intero roster tirato a lucido Philadelphia può competere contro chiunque, nonostante gli evidenti limiti e difetti strutturali.

Cosa fare con Al Horford

Una necessità costante per l’allenatore di Phila, che ha dovuto fare spesso di necessità virtù provando ogni possibile incastro per far rendere al meglio un roster disfunzionale. L’assenza di Simmons ha riportato in quintetto Al Horford, il punto interrogativo più grande della stagione dei Sixers, che era stato relegato in panchina al posto di un esterno per garantire maggior playmaking e spaziature. Ovviamente anche Big Al ha vissuto una stagione costellata da infortuni, specialmente alle ginocchia, ma ha giocato sul dolore - una situazione che ha condizionato le sue prestazioni.

Arrivato per giocare insieme e al posto di Embiid, l’ex Celtic ha disatteso le aspettative soprattutto per la prima parte dell’equazione, dimostrando come sia impossibile per i Sixers schierare due lunghi insieme a Simmons senza distruggere ogni fluidità in attacco.

I quintetti che vedono contemporaneamente impiegati Simmons, Embiid e Horford hanno fatto segnare un Net Rating negativo (-0.8), non riuscendo neanche a mettere a tabellone 100 punti su 100 possessi. Numeri che per ora consigliano di accantonare il progetto estivo delle Twin Towers per una rotazione che divida il più possibile i minuti di Embiid e Horford, di fatto relegando un giocatore da 28 milioni di dollari al ruolo di sesto uomo.

Nonostante ciò in Florida, dove ha avuto una strepitosa carriera collegiale, Horford potrebbe essere qualcosa in più di uno strapagato panchinaro. Il domenicano ha già dimostrato di saper alzare il proprio livello di gioco quando le partite contano sul serio e di poter essere un fattore quando il ritmo rallenta e ogni possesso diventa una guerra di trincea. Per quanto l’età cominci a farsi sentire e la composizione del roster non esalti le sue qualità da collante universale, Horford è stato firmato da Elton Brand quasi esclusivamente per gli accoppiamenti che può generare contro le avversarie ai playoff.

Sul lungo periodo avere un lungo in grado di aprire il campo per le due giovani stelle dei Sixers sarebbe sicuramente da preferire, ma nel breve campione da giocare in un contesto surreale come quello di Orlando l’esperienza di Horford potrebbe tornare utile. Nelle ultime partite stava cominciando a prendere confidenza con gli schemi dei Sixers, sfruttando l’assenza di Simmons e conseguentemente un maggiore spazio di manovra. Nelle ultime sette partite ha viaggiato a oltre 15 punti, 8 rimbalzi e 6 assist di media, i migliori numeri da quando veste la maglia di Philadelphia.

Brett Brown dovrà decidere se puntare nuovamente sul suo veterano o dare spazio all’esponenziale crescita di Shake Milton, che prima dell’interruzione stava vivendo in una realtà simulata nella quale non esistevano gli errori dal campo. Il prodotto di SMU scelto con la 54^ chiamata nel Draft 2018 ha sfruttato i vari infortuni per ritagliarsi uno spazio nella rotazione di Brett Brown e mettendo in mostra uno skillset che potrebbe davvero far molto comodo ai Sixers in futuro.

L’esplosione di Milton è stata solo una delle tante, pirotecniche follie della stagione di Philadelphia, ma per molti versi è la più importante. I Sixers sono da anni alla disperata ricerca di qualcuno che sappia creare e tirare dal palleggio da affiancare a Ben Simmons sin da quando è naufragato il progetto Markelle Fultz.

Milton ovviamente non ha il potenziale della prima scelta assoluta, ma è un tiratore di alto livello che può giocare sia con la palla che senza e accendersi in un lampo come ha dimostrato durante il tour dei Sixers ad Ovest, coronato da una prestazione da 39 punti in casa degli L.A. Clippers in diretta nazionale.

Le tredici triple consecutive con le quali Shake ha pareggiato il record NBA.

Ora Shake dovrà dimostrare che le ultime settimane non sono state un fuoco di paglia e che può diventare l’ultimo pezzo del quintetto dei Sixers al posto di Al Horford, rispetto al quale è un fit più tradizionale e sensato. Certo, finora non ha ancora giocato un singolo minuto con tutti gli altri titolari, visti i continui infortuni, e ha solo 54 partite di NBA in curriculum, ma inserirlo con compiti limitati non dovrebbe essere troppo complicato per Brett Brown.

L’ulteriore evoluzione lo vedrebbe gestire da principale ball-handler i possessi della second unit, dividendosi i compiti con Josh Richardson e Alec Burks quando Simmons riposa. Le gerarchie in casa Sixers sono ancora tutte da decifrare, visto anche il continuo rimescolamento della panchina che per ora non mostra alcuna certezza oltre a Furkan Korkmaz e Matisse Thybulle, anche loro da testare a livelli competitivi.

La scatola di cioccolatini chiamata Philadelphia

Nonostante le mille personalità che possono interpretare durante una singola partita, dei difetti strutturali ormai ampiamente discussi e le continue crisi di nervi all’interno e all’esterno dell’organizzazione, i Sixers hanno già dimostrato in singola partita di poter demolire le migliori squadre della lega, specie quando si giocava alla Wells Fargo Center.

Quando girano i Sixers sono capaci di ridicolizzare ogni avversario, peccato che non succeda così spesso.

Tra tutte le squadre che scenderanno in campo sul neutro di Disney World, i Sixers sono quella con il rendimento più altalenante tra casa e trasferta. Tra le mura domestiche sono pressoché imbattibili - le uniche due sconfitte sono arrivate in due partite consecutive a dicembre contro Miami e Dallas - mentre appena si allontanano da Philadelphia diventano una squadra da tanking, con un record sotto il 30% di vittorie. I più maligni sostengono che i giocatori abbiano bisogno degli strilli e degli spergiuri del sempre esigente pubblico di casa per svegliarsi e giocare al massimo delle loro possibilità, una possibilità che non mi sento di screditare vista l’indolenza spesso mostrata.

Le cause però sono da ricercarsi al di là del quadro clinico e psicologico della squadra, che a volte sembra perdersi in un bicchier d’acqua e butta via partite già vinte, e in un impianto di gioco che non ha ancora gli automatismi rodati per imporsi comodamente contro avversari inferiori. In una stagione lunga come quella NBA, portare a casa vittorie facili, chiudendole ben prima della sirena finale e gestendo le forze, è d’obbligo se si vuole arrivare sani fino in fondo.

Invece per i Sixers non c’è niente di facile. Tutto - non solo il roster - è pesante, greve, come se l’intera squadra calzasse colate di cemento. La loro filosofia di gioco è definita nella metà campo difensiva, dove non sono il muro insormontabile che ci si aspettava in estate, ma performa comunque a livelli accettabili (107.6 di Defensive Rating, sesti in NBA). Ma a discapito dei luoghi comuni, i Sixers non sono riusciti a portarsi sull’aereo le proprie abilità difensive, passando da un eccellente 102.7 Defensive Rating tra le mura amiche ad un brutale 112.1 in trasferta. Uno sbalzo troppo netto perché un attacco poco esplosivo e senza un reale go-to-guy possa colmarlo.

Un attacco rodato permette di concedersi dei cali di concentrazione che invece una squadra fondata sulla difesa non permette. I Sixers hanno mostrato troppe pause in questa stagione, facendo segnare un disastroso -5.4 di Net Rating in trasferta: solo sei squadre fanno peggio dei Sixers, e nessuna di questa è stata invitata a Disney World. La continua rivoluzione del gruppo, causata sia dall’incessante player trading della dirigenza sia dalla carneficina degli infortuni ha reso impossibile per Brett Brown definire un quintetto e una rotazione. E per una squadra che vorrebbe rendere efficienti soluzioni che l’evoluzione del gioco sta rendendo poco remunerative - come ad esempio i post-up di Embiid e le triple di Al Horford - l’affiatamento è fondamentale.

I Sixers non sono mai riusciti a stabilire il proprio ritmo, non trovando un equilibrio tra le eccellenti prestazioni al Wells Fargo Center e le imbarazzanti debacle in trasferta. Ora entrambe queste situazioni sono state sostituite da una bolla in Florida, senza spettatori e con partite una dietro l’altra. Come le nuove condizioni influenzeranno la fragile personalità della squadra è tutto da scoprire: potrebbe alleggerirsi di tutte le pressioni che sembrano tremendamente soffrire e giocare senza niente da perdere, o allo stesso tempo potrebbero non trovare gli stimoli e la concentrazione necessaria per entrare subito nella competizione.

Uno degli aspetti più affascinanti della bolla di Disney World, oltre al fatto di giocare dentro il parco divertimenti più grande del mondo, è che non abbiamo idea di come si evolverà il gioco lì dentro. Verranno avvantaggiate le squadre piccole e rapide che entreranno prima in condizione, o prevarranno quelle fisiche che in un contesto meno dinamico potranno far pesare il proprio dominio di chili e centimetri? O ancora: quanto verrà cercato il tiro da fuori considerando le mani congelate da mesi di inattività, e quanto invece gli isolamenti verranno privilegiati rispetto alla circolazione forsennata del pallone?

Io credo che inizialmente vedremo partite a basso ritmo e punteggio, con i ferri a risuonare sordi nel silenzio attorno al parquet. Una condizione che potrebbe aiutare non poco i Sixers, nonostante tutti gli interrogativi con i quali scenderanno in campo. Al momento i Sixers sono al sesto posto nella Eastern Conference con lo stesso record di Indiana (che però ha il vantaggio negli scontri diretti) e sono a due partite da Miami, potendo contare su un comodo cuscinetto sui Brooklyn Nets.

Se, come sembra probabile, non ci saranno grossi scossoni durante le restanti otto partite della stagione regolare, Philadelphia dovrebbe trovare al primo turno i Boston Celtics per l’ennesimo capitolo di una delle rivalità tra le più sentite della lega. I Sixers hanno vinto tre dei quattro scontri stagionali, imponendo il proprio peso sui più leggeri Celtics, ma prima della pausa Boston aveva trovato un certo abbrivio, spinta soprattutto dall’esplosione di Jayson Tatum. E nonostante tutti gli asterischi che saranno da mettere a questo finale di stagione e conseguenti playoff, un ulteriore fallimento potrebbe rappresentare il trampolino per un’altra rifondazione. Sia Brown che Brand si giocheranno a Disneyland le ultime fiches di credibilità insieme presumibilmente alla loro poltrona, ma d’altronde quale luogo è più adatto a rappresentare la stagione dei Sixers se non un parco giochi pieno di montagne russe?

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