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Anche la NBA ha cercato di fare il suo Drive to Survive
22 nov 2024
Cosa pensare di Starting 5, la serie che segue LeBron, Tatum, Butler, Sabonis ed Edwards.
(articolo)
8 min
(copertina)
IMAGO / ZUMA Press Wire
(copertina) IMAGO / ZUMA Press Wire
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A un certo punto Domantas Sabonis si fa portare la neve a Sacramento. È la puntata di Natale di Starting 5, l’ennesima serie di Netflix sullo sport che dovrebbe emulare Formula 1: Drive to Survive. Sabonis, dei cinque giocatori NBA scelti per essere seguiti dalle telecamere durante la stagione 2023/24 (gli altri sono LeBron James, Jimmy Butler, Jason Tatum e Anthony Edwards), è quello meno sopra le righe, quello che lungo le 10 puntate della serie riuscirà meno a bucare lo schermo, a trovare una storia da raccontarci.

Eppure, nonostante questo, nonostante per tutta la serie si faccia passare per un ragazzo di basso profilo, tutto basket e famiglia, per Natale Sabonis si fa portare la neve in un posto dove l’ultima vera nevicata risale al 1976. Vediamo i camion che arrivano in pompa magna, e gli operai che iniziano a creare questa collinetta di neve artificiosa davanti a una casa piantata nel nulla della California Central Valley.

C’è qualcosa di surreale in questa scena, e non è tanto una questione climatica, facciamo finta che non sia uno smacco al mondo reale che cerca di bere il suo drink annacquato usando cannucce compostabili, ma è proprio surreale l’idea che questa cosa vada comunicata al mondo, che al mondo interessi tanto da metterla in una serie rivolta a milioni di persone che dovrebbe parlare di basket e che non sia meglio lasciarla nel privato. Sabonis giustifica questa stravaganza col fatto che, per il suo lavoro, non può portare la famiglia a sciare a Natale: è il più classico dei “se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto” (quasi in senso letterale). In un’intervista promozionale ha spiegato: «Se non mi conosci personalmente, potresti pensare che io sia un po' pazzo, o qualsiasi cosa i fan pensino di me in campo quando sono concentrato. Fuori dal basket, sono l'esatto opposto. Prima di tutto, sono un marito e un padre, e voglio solo prendermi cura della mia famiglia».

È il messaggio che cercano di dare tutti i protagonisti durante la serie, cioè che sono persone normali e affettuose, ed è un messaggio semplicemente noioso. Davvero qualcuno pensava che Sabonis fosse “un po’ pazzo”? Non lo conosco personalmente, non l’ho neanche mai visto dal vivo o dentro uno spogliatoio NBA, ma veramente basta guardarlo giocare cinque minuti, o sentirlo parlare una volta, per pensare l’esatto contrario e di certo aver visto Starting 5 non mi farà cambiare o ampliare il mio giudizio su di lui. Ma tutta la serie è così, un tentativo dei giocatori di confermare qualcosa che già sapevamo e di farlo senza contraddittorio. Avevamo bisogno di una nuova serie per farci sapere che LeBron è un padre affettuoso (al massimo, è accusato di essere un padre troppo affettuoso)? Che Butler è una persona eccentrica ed emotiva, mentre Edwards un ragazzo che sta ancora maturando?  

Le scene familiari riempiono Starting 5 come se fosse un prodotto più vicino a Un posto al sole che non a Drive to Survive. L’idea di Netflix, forse, è che per attirare pubblico per la NBA (se era l'intento, ma dopo averla vista ne dubito) bisogna farci vedere minuti e minuti di LeBron James che si prepara per la sua festa di Halloween, con delle truccatrici di Hollywood che lo trasformano in una versione pantagruelica di Beetlejuice e non farlo parlare per davvero di basket, nonostante sia - a detta di tutti - una specie di genio di questo sport, anche fuori dal campo. L’unico allenatore a parlare è Joe Mazzulla, che però lo fa nella sua maniera un po’ criptica, da santone, mentre guarda un punto fisso nel vuoto. Un paio di volte viene microfonato durante la partita, e i suoi consigli a Tatum sono tra le cose più interessanti della serie, ma sono rarità e totalmente decontestualizzate.

La festa di Halloween invece è contestualizzata benissimo.

Lì dove Drive to Survive è riuscita a raccontare le rivalità tra piloti, far capire come funziona una scuderia, farci appassionare anche alle sorti delle macchine sfigate, in Starting 5 è anche difficile capire bene che i giocatori fanno parte di una squadra e non sono solamente delle personalità random seguite dalle telecamere che vincono o perdono le partite da soli come per magia.

Se Starting 5 fosse una serie nata per titillare il voyeurismo del mondo contemporaneo, e magari lo è, non sarebbe male e la consiglio. Per 500 minuti circa l’occhio è puntato, anche se quasi mai in maniera critica o interessante, su come passano il tempo fuori dal campo LeBron, Butler, Sabonis, Tatum ed Edwards. Scopriamo che LeBron ci tiene a essere una persona spiritosa (spoiler: non ci riesce), che Butler sta in fissa col caffè, che Tatum si porta il figlio in giro per le arene NBA, che Edwards gioca tantissimo ai videogiochi e che il padre di Sabonis gli dà dei consigli su come essere un giocatore NBA. Fossimo negli anni ‘90 sarebbe anche rivoluzionario, ma oggi, nel 2024, per conoscere tutte queste cose ci basterebbe passare qualche minuto sulle loro pagine social.

Quello che di interessante rimane allora, è il poco che filtra, per sbaglio, tra le pieghe di questi atleti ideali e idealizzati. Butler non ha solo un bar in casa, cosa che magari farei anche io se avessi il suo stipendio, ma ha addirittura un barista dentro casa, a cui ogni tanto si rivolge per chiedergli un cappuccino o qualunque altra cosa gli vada in quel momento. Oppure: non ha solo una passione per la musica, come quasi tutte le persone sulla terra, ma ha dei cantanti che vengono a casa sua a registrare musica insieme a lui. Non va ai concerti, ma partecipa ai video musicali, come quello dei Fall Out Boy. LeBron ha delle macchine di lusso parcheggiate dentro casa, tiene i ricordi di famiglia in una valigia Louis Vuitton, gira con un jet privato e non con la squadra. Edwards ha uno zio che gli fa la valigia quando va in trasferta e una valigia è solo per i videogiochi. Edwards che aspetta un figlio e sembra la cosa più bella del mondo, anche se poi è scocciato dall’idea che possa nascere durante la partita (e viene ignorato il fatto che, nelle stesse settimane in cui è stata girata la serie, ha cercato di forzare una donna ad abortire promettendole dei soldi tramite messaggi su Instagram).

Insomma, siamo alle solite, ma ci piace ripeterci: perché non c’è lo sport in queste serie sullo sport? Perché non possiamo mai vedere anche il minimo accenno alle discussioni tra LeBron e Darvin Ham, che sappiamo hanno occupato tutta la stagione dei Lakers fino a portare al suo licenziamento? Perché arriviamo a vedere il parto del figlio di Edwards da dentro la sala operatoria fino al più minimo dettaglio, ma quando si parla della rimonta contro Denver in gara-7 non possiamo sapere che aggiustamenti hanno fatto nel secondo tempo, o almeno cosa si sono detti, cosa hanno fatto, cosa è successo? Come i giocatori si preparano a una partita di playoff? Si arriva a intere sequenze surreali, come quelle che raccontano l’All Star Game, con dalle voci fuoricampo che descrivono il tutto come il momento culminante della vita di un’atleta NBA, mentre scorrono le immagini della partita dello scorso anno, con i giocatori che non fanno neanche finta di provarci e con un punteggio finale di 211-186 che viene messo in bella mostra come se fosse tutto normale.

Non dico che dovevano darci una serie di X&O, ma almeno ricordarci che parliamo di sport e di sportivi, e non di influencer, il cui unico prodotto è la loro immagine. Da questo punto di vista Starting 5, prodotta dalla casa di produzione di LeBron James, da quella di Payton Manning e da quella di Michelle e Barack Obama, sembra un incrocio mal riuscito tra uno spiegone sulla NBA for dummies (come le scene in cui cercano di dare lustro alla NBA Cup come se fossero i playoff, ma in cui gli stessi giocatori riescono solo a dire che vale la pena giocare per il premio da 500mila dollari) e la voglia di LeBron di lasciarci in eredità la sua filosofia di vita o quante canzoni conosce a memoria.

Che poi sarebbe anche una serie fortunata. Scegliendo tra i migliori, Starting 5 riesce a portare le sue telecamere nei due momenti più vividi della scorsa stagione: la serie playoff tra Minnesota e Denver, finita con la rimonta della squadra di Edwards in gara 7 e la vittoria del titolo dei Boston Celtics, abbastanza scontata per quanto visto in campo, ma notevole per il percorso di Tatum e per la lunga attesa della franchigia. Questi due momenti, pur avendo una certa importanza nella serie (sono l'ultima puntata), riescono a non aggiungere quasi nulla, a meno che siate stati così bravi da non farvi spoiler, cioè arrivare a guardare Starting 5 senza sapere un risultato della stagione precedente, visto che - partite che si sono giocate mesi prima - vengono raccontate come qualcosa di nuovo o in bilico.

Certo, non è tutto da buttare: le immagini dalle partite sono di alta qualità, e con le riprese a rallentatore si può veramente godere al massimo dei dettagli: gli aggiustamenti del corpo di LeBron per usare il fisico in post, la fluidità del tiro dal palleggio di Tatum, come legge prima i passaggi avversari Butler. Alcune dichiarazioni, poi, sono interessanti, come quelle di Edwards, il più giovane e forse meno scaltro davanti a una telecamera, nel momento in cui deve giocarsi la finale contro Kyrie Irving.

Una seconda serie, comunque, è già stata confermata. Lo Starting 5 sarà composto da Kevin Durant, Jaylen Brown, Shai Gilgeous-Alexander, James Harden e Tyrese Haliburton. Tutti giocatori fenomenali e anche interessanti cestisticamente parlando, ma quanto vedremo delle loro stagioni?

KD sarà il LeBron di turno, che vuole convincerci di essere uno showman (spoiler: non lo è), Harden cercherà di ripulire la sua immagine di guastafeste. Giusto Brown potrebbe darci qualche momento interessante, magari sbroccando contro Nike con cui ha un lungo beef (difficile). Per la terza stagione, se ci sarà una terza stagione - Break Point (il Drive to Survive del tennis) si è fermato a due - il mio consiglio è di prendere invece dei journeyman della Lega, o comunque chi deve combattere per un contratto, chi viene tagliato prima della stagione, un rookie particolarmente sfigato. Se tanto dobbiamo vedere la vita fuori dal campo, non sarebbe più interessante quella di chi vive ai margini della NBA e non nel mondo delle favole?

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