Prima ancora di muovere un passo nella NBA, le aspettative su Trae Young si erano già accumulate come nuvole cariche di pioggia. Da una parte c’era la pressione derivata dall’essere il “primo discendente” di Steph Curry, mentre dall’altra responsabilità di non tradire le attese dopo essere stato preferito a Luka Doncic dagli Atlanta Hawks.
Non solo: nella prima parte della sua stagione da rookie, Young sembrava avere grossi problemi a replicare i lampi di talento assoluto mostrati all’università dell’Oklahoma, e il fatto che Trevis Schlenk, nuovo General Manager degli Hawks, lo avesse voluto fortemente per la ricostruzione della franchigia raddoppiava la pressione, viste le mai nascoste intenzioni di Schlenk (a lungo nello staff dirigenziale dei Golden State Warriors) di tracciare una sorta di linea di continuità con la rivoluzione copernicana iniziata dal “Modello Golden State” di qualche anno prima.
Young, però, non si è mai scomposto neanche nei momenti di difficoltà più marcati. A partire dalla pausa per l’All-Star Game della scorsa stagione ha iniziato una crescita costante che lo ha fatto emergere, sera dopo sera, non soltanto come uno dei giovani più interessanti della NBA, ma anche in uno dei giocatori più divertenti da veder giocare in assoluto. I 28 punti di media (sesto nella lega) con 8.7 assist e almeno un paio di giocate da Sports Center a sera di questo avvio di stagione sembrano confermare il trend e, al tempo stesso, spazzare via i dubbi sul suo futuro, regalando a Young una propria dimensione nella quale affermarsi - libera da paragoni o confronti.
Forse la miglior notizia possibile, per lui e per gli Hawks, sta proprio qui: nel fatto che Young non sia ormai più inseribile nella fascia di quei giocatori costretti a dover fare i conti con ombre importanti. Tocca a lui costruirsi il proprio percorso, e, nel bene e nel male, sarà proprio dalla sua evoluzione che passerà il destino di Atlanta.
A 21 anni, Trae Young è diventato il più giovane giocatore di sempre a far registrare tre partite consecutive con almeno 30 punti e 10 assist. Nella vittoria degli Hawks sul campo dei Denver Nuggets c’è tutto l’estro, il talento e la lucida follia del suo repertorio.
Più Nash che Curry
Per quanto sia stato spesso paragonato a Steph Curry, il suo stile di gioco è in realtà piuttosto diverso. Certo, anche Young possiede range di tiro e quel pizzico di incoscienza che servono per sparare dal logo del centrocampo con nonchalance, e come Curry anche lui è in grado di esercitare una particolare pressione sulle difese avversarie gravitando sul perimetro. Ma a differenza del due volte MVP, Trae non è mai stato un tiratore efficiente: Steph non ha mai chiuso una stagione, neanche in NCAA, sotto al 38.7% dalla lunga distanza (se si esclude questa sfortunatissima stagione nella quale, però, potrebbe teoricamente ancora tornare), mentre Young non è mai andato oltre il 36% tra college e questo primo anno e qualche mese di NBA.
I miglioramenti sono senza dubbio evidenti: dopo un inizio di carriera NBA attorno al 30%, in questo inizio di stagione tira col 40% su 9 tentativi a sera, ed è letteralmente infallibile sugli scarichi (1.83 punti per possesso, terzo assoluto dietro a Kyle Korver e Chris Paul). Ma il timbro che dà colore al suo gioco e a quello degli Hawks non risiede nella capacità di aprire il fuoco anche da lontanissimo: guardando giocare Trae Young la prima cosa che salta all’occhio non sono le sue triple, bensì la scienza con la quale passa il pallone col tempo e nel modo giusto.
Sotto questo aspetto Trae Young ha molti più tratti in comune con Steve Nash che, non a caso, era il suo idolo da ragazzino – tanto che, quando nel corso dell’ultima estate si è presentata l’occasione di lavorare assieme, Young non ci ha pensato due volte. Come Nash, anche la stella degli Hawks sembra avere una comprensione profonda del gioco e di quello che succede davanti a lui: sa sempre come muoversi sul campo ed è uno dei migliori in NBA nel navigare la linea di fondo. Già ai tempi del college Young era fenomenale nel trovare il rollante sui pick and roll e non ci è voluto molto prima che l’intesa con John Collins sbocciasse in un amore cadenzato.
Uno dei tanti giochi a due tra Young e Collins di questo inizio di stagione, prima che il lungo venisse squalificato per 25 partite per doping.
Quasi il 60% del gioco offensivo di Young si sviluppa proprio da pick and roll, dove con 15.4 possessi a partita guida questa speciale classifica. La sua efficienza realizzativa si è normalizzata dopo il grande inizio (con 0.94 punti per possesso resta comunque nel 70° percentile), ma la pressione che è in grado di esercitare sulle difese avversarie ha pochi eguali nella NBA già in questo momento. È grazie a lui se gli Hawks possono dare battaglia ogni sera: quando è in campo Atlanta segna 110 punti su cento possessi (un dato che li metterebbe al sesto posto della NBA), mentre quando si siede crolla fino a 92 – il peggiore di squadra per distacco.
Per essere il terzo giocatore della lega dietro James Harden e Kawhi Leonard con l’Usage Rate più alto (35.7%), la sua percentuale di palle perse è tutt’altro che pessima, mentre su cento possessi è in grado di smistare ben 23.7 assist – terzo dopo Doncic e Derrick Rose tra i giocatori con almeno il 30% di Usage.
Young possiede grande sensibilità di tocco e un senso raro dei tempi di gioco, tanto che il pallone quando lascia le sue mani sembra collegato con un filo invisibile alle mani del ricevitore. La sua capacità di mettersi nella condizione di avere sempre la più ampia gamma di soluzioni, sia di passaggio (inteso come bersagli disponibili a cui scaricare) che di qualità di passaggio (un lob, una palla schiacciata a terra, una freccia che fende a metà l’aria) gli permettono di essere una minaccia più o meno da ogni zona di campo, anche dalla propria linea di fondo, e soprattutto permette ai suoi compagni di esprimersi al meglio, tanto che quando lui si siede l’efficacia reale della squadra crolla di quasi 9 (!) punti percentuali, passando dal 55% a 46.5%.
Young rende le cose così semplici: ai compagni basti muoversi per essere pericolosi.
Genio dell’assist
Essere un passatore di alto livello in NBA è un’arte estremamente complessa. Serve un controllo tecnico-fisico del proprio gioco notevole, entrambe le mani devono essere in grado di far muovere il pallone con fluidità ed è obbligatorio avere una condizione atletica impeccabile, soprattutto nelle zone muscolari più sollecitate per muoversi (esplosività, rapidità, reattività) e per muovere la palla (addominali, bicipiti, postura del corpo). Non è un segreto che uno dei punti di forza del passing game di giocatori come James Harden o LeBron James (o anche lo stesso Doncic) risieda anche nelle loro qualità fisiche. Dall’alto dei suoi 185 centimetri, invece, Young non è in grado di vedere tutto il campo sopra i difensori come altri portatori di palla, ma il suo feeling per il gioco è di altissimo livello, così come la coordinazione occhio-mano (anzi, al plurale, visto che entrambe sono già estremamente sviluppate) nel gestire lo spazio e la capacità decisionale.
Prendiamo come esempio queste tre azioni contro i Pistons nella prima partita stagionale. A guardarle in maniera distratta sembrano tre azioni in fotocopia, eppure Young è impeccabile nel leggere i movimenti della difesa di Detroit, punendo il “drop” con la tripla quando il lungo si stacca e scaricando il pallone con tempi perfetti quando invece cerca di mettergli pressione. Gestione del pick and roll di altissimo livello.
Ma Young non è solo un passatore di alto livello, è un passatore geniale. Questo perché, oltre all’innato talento naturale, ha imparato a padroneggiare le tre qualità necessarie per essere fenomenali nello smistare assist in NBA:
1) saper processare una grandissima quantità di informazioni in pochissimo tempo, così da intuire quello che succederà in campo e prevedere quali e quanti spostamenti faranno gli altri nove giocatori sul parquet;
2) leggere in anticipo gli aggiustamenti difensivi e reagire di conseguenza, manipolando lo scacchiere tattico e costringendo gli avversari a giocare sempre con una mossa di ritardo sul piano partita;
3) essere in grado di manipolare in prima persona gli avversari, soprattutto con gli occhi, spostando giocatori e liberando zone di campo che diventeranno cruciali nello svolgimento dell’azione.
Il segreto è agire invece di reagire, un po' come un quarterback che guarda una zona di campo intensamente di modo da muovere le safety avversarie lontano dal suo reale obiettivo, che sia il giocatore e la porzione di campo dove fin dall’inizio aveva programmato di far svolgere l’azione. È un’arte complicata e sottile che in pochissimi riescono a maneggiare con padronanza: Trae Young è uno di questi e lo fa in maniera quasi diabolica, consapevole della propria forza.
Guardate come Young, dopo aver girato il blocco di Jabari Parker, sfrutti l’aggressività della difesa degli Spurs a proprio vantaggio, facendo abboccare Derrick White quel tanto che serve per toglierlo da sotto canestro per favorire la ricezione di Bruno Fernando.
Adattati o muori
Young è un giocatore con una cultura del lavoro maniacale, capace di lavorare sul proprio gioco sotto ogni aspetto, dalla cura del corpo alla tecnica. Sfruttando a pieno la possibilità di disinteressarsi del risultato, Lloyd Pierce e il coaching staff di Atlanta hanno saputo farlo crescere sapientemente, cercando di toglierlo dalla sua comfort zone per farlo lavorare sui propri limiti.
Se nella metà campo difensiva i dubbi resteranno ben presenti a lungo – e occorrerà del tempo e un roster più competitivo di quello attuale per capire fino a dove, e se, potrà crescere o potrà rivelarsi un limite per i suoi –, in quella offensiva Young ha già mostrato dei miglioramenti interessanti. Non tanto nei numeri, che comunque sono cresciuti, quanto nella capacità di aggirare gli ostacoli con tutta una serie di trucchi e contromosse.
Fin dai tempi del college finire al ferro è sempre stato un problema per lui ma, nonostante anche in questo inizio di carriera NBA le difficoltà restino con uno scarso 50% al ferro, rispetto a un anno fa sembra avere meno timore nel gettarsi contro gli avversari per cercare il contatto, come dimostrano i quasi 7 liberi tentati a partita (rispetto ai 5 della passata stagione). I sei chili di muscoli guadagnati durante l’estate lo stanno aiutando ma, ancora più importante, Young sta imparando a depistare le proprie tracce verso il ferro, zigzagando le proprie penetrazioni di modo da renderle meno prevedibili.
Una delle signature move di questo inizio di stagione è la sua capacità di finalizzare dopo aver “rifiutato” un blocco (il cosiddetto “reject” nella terminologia NBA). Consapevole come lo sono gli avversari che il grosso dell’attacco degli Hawks deriva dalle sue capacità di creazione dal pick and roll, Young è fenomenale nel capire quando il proprio difensore si muove troppo presto verso il blocco del lungo, sfruttando quell’attimo di esitazione, quel leggero squilibrio del corpo, per cambiare mano e attaccare dalla parte opposta. Alcune volte per arrivare al ferro, altre per sparare dal palleggio una tripla completamente aperta.
Solo Lou Williams, un altro maestro del pick and roll, esegue più giocate simili a partita, ma nessuno è più efficace di lui in questo inizio di stagione.
Inoltre, conscio che probabilmente sarà molto difficile cancellare del tutto le difficoltà nei pressi del ferro, Young ha saputo affinare un floater che già da ragazzino era una lacrima di una morbidezza assoluta. E, considerato che la sua capacità di trovare compagni aperti in ogni pertugio tiene costantemente in scacco le difese avversarie, il suo floater diventa un tiro difficilmente contrastabile, con i lunghi avversari che restano bloccati a metà strada.
Tra i giocatori ad aver tentato almeno quattro tiri dentro il pitturato ma fuori dal semicerchio attorno al ferro, Young è il primo per efficacia (60%) con un 21/34 che riesce a mascherare i problemi che sussistono nel chiudere al ferro (20/39)
Tracciare la rotta
Per quanto non sia del tutto a suo agio nel muoversi lontano dalla palla, Young dovrà per forza di cose crescere sotto questo aspetto, sia per aggiungere un ulteriore tassello alla propria dimensione offensiva sia perché, come detto, sugli scarichi è una sentenza. DeAndre Hunter ha mostrato flash incoraggianti come portatore di palla primario in questo avvio, così come Kevin Huerter – già in grado di passaggi di questa difficoltà – o Cam Reddish, più indietro nello sviluppo ma forse anche il più talentuoso del lotto. Poi, ovviamente, ci sarà anche la possibilità di aggiungere dei pezzi in corsa, una volta finito di gettare le fondamenta.
In questo momento il roster è composto per oltre metà da giocatori che sono ancora nel contratto da rookie e l’altra metà da albatross in attesa di scadenza (62,2 milioni impegnati per Chandler Parsons, Evan Turner e Allen Crabbe), lasciando grande flessibilità per il futuro. Atlanta è anche una meta gradita ai giocatori NBA, fattore che potrebbe contare nell’estate del 2021 quando ci saranno soldi a sufficienza per provare a tentare l’assalto ad alcuni dei migliori free agent sul mercato.
Schlenk è un General Manager a cui piace rischiare e con delle idee ben precise, come dimostrano perfettamente le ultime sessioni di Draft (Collins, Young, Huerter, Hunter e Reddish negli ultimi tre anni); ma per credere nei progetti così giovani e ambiziosi c’è bisogno di qualcuno che sia in grado di elevare l’intera organizzazione a un livello superiore - e Young sembra avere tutto il necessario per riuscirci. Se le sue prestazioni dovessero restare quelle di questo inizio stagione diventerebbe difficile tenerlo fuori dall’All-Star Game e, anche se magari non sarà ancora in grado di garantire la costanza di rendimento necessario ad Atlanta per tenersi dentro il novero delle squadre in lotta per un posto ai playoff già in questa stagione, ha già raggiunto il livello necessario per tracciare in positivo la traiettoria di una franchigia come gli Hawks e guidarla verso una nuova era di successi.